Corso Bueinos Aires è rinomato per i suoi numerosi negozi, per le vetrine ben allestite, le bancarelle degli eìxtracomunitari, la metropolitana, per il via vai di gente, per la selva di odori di un popolo ormai multi etnico, insomma, è famoso per quello che tutti chiamiamo “shopping”.
Ogni mattina, in questo Corso, (direi più che altro una città nella città) passeggiava fra tutti, con aria distinta ed altolocata, una donna con abito bianco, stile ottocentesco, tutto ricamato e con merletti, con un cappello rigorosamente bianco ed un ombrellino da sole.
Sembrava un ritratto di Claude Monet, se non fosse che in quel Corso, al posto di un prato verde e degli alberi rigogliosi, si ergevano soltanto freddi negozi. La gente si chiedeva se non fosse pazza o se, invece, qualche telecamera nascosta la stesse riprendendo per girare la scena di un film. Niente di tutto questo.
Si chiamava Nicol, ed aveva due particolarità: occhi grigi con sfumature di verde e camminava a piedi nudi. Era molto timida, non parlava con nessuno, si limitava a camminare dove altri avevano da poco camminato. Sembrava un angelo tra la gente, con quella chioma bionda e lucente. C’è chi, invece, la prendeva in giro chiamandola “gelataio”.
Un lunedì pomeriggio, esco da un negozio di scarpe, e me la trovo lì, proprio in braccio a me. Sembra assurdo, ma esattamente nell’attimo in cui sto per uscire dalla boutique, mentre con una mano reggo la porta e con l’altra la borsa con i mocassini, sbuca lei dal nulla, mi viene addosso e cado all’indietro. In pochi secondi è sopra di me.
“Mi scusi signorina”, le dico impacciato e desolato. Lei, di rimando mi dice: “Non è successo niente, mi perdoni lei piuttosto, sono maldestra”. Che strano! Era la prima volta che rivolgeva la parola a qualcuno. Perchè mai proprio a me?
Mi gira un po’ la testa, ma sono giorni che ormai ci convivo, e non ci faccio caso. Mi rialzo ed aiuto la ragazza a sollevarsi. “Permetta che mi presenti” facendole l’inchino. “Piacere, mi chiamo Massimo”. Lei con aria timida esclama: “Nicol, piacere mio”. “Lei vive a Milano?” le chiedo. “No, abito dall’altra parte del mondo”, senza neppure specificare dove. Non indago per non essere invadente.
“Vorrei farmi perdonare da lei e …” mi interrompe con fermezza e gentilezza, proponendo: “Suvvia, non siamo formali, diamoci del tu, mi sentirei più a mio agio”. “Certo”, rispondo annuendo. “Nicol, desidero offrirti qualcosa da bere in questo bar”. Con mia sorpresa dice: “Perchè no, certo”.
Beviamo un “biancaneve”, ossia un caffè con la panna dentro un bicchiere da gelato. Parliamo di molte cose e lei mi confessa che erano anni che non rivolgeva la parola a qualcuno. Non chiedo il perchè, temo di toccare un tasto dolente, e quindi le sorrido per farla sentire a suo agio. Il mal di testa si fa più acuto e per un attimo non vedo più nulla, solo ombre sfocate.
Nicol, sottovoce mi sussurra: “Presto guarirai”. Non capisco, e le chiedo: “Da che cosa?” Mi dice di rilassarmi e che mi sta per rivelare un grande segreto. La cosa un po’ mi spaventa, ma lei è così bella che niente può farmi paura. Esordisce dicendo: “Massimo, da un mese hai un tumore al cervello, ed è per questo che spesso sei svenuto e che hai forti mal di testa. Sono qui per te. Dio mi ha mandato sulla terra per sentire il male della gente. Cammino scalza perchè solo così posso sentire chi ha bisogno del mio intervento immediato, e quando ti ho sentito entrare in quella boutique, ho fatto in modo che ci incontrassimo”.
Sembra un incubo. Non può essere vero. Forse Nicol è solo una pazza visionaria. “Ho ascoltato il tuo cuore e sei un ragazzo buono, a volte rompiscatole, ma buono, ed è per questo che adesso ti guarirò”. Nicol afferra le mie tempie e fa pressione con i pollici. Avverto una strana sensazione. Prima freddo, poi caldo ed infine una scossa che mi fa svenire.
Dopo cinque minuti apro gli occhi. Nicol era sparita insieme al mio mal di testa. Guardo sul tavolino del bar e scorgo un biglietto con su scritto: “Un paio di scarpe ti ha salvato la vita, ma se camminerai scalzo da oggi in poi ascolterai il dolore della gente”.
Mi affretto a pagare i due “biancaneve”, mi tolgo le scarpe e mi incammino per tutto il Corso Bueinos Aires. Alla fine mi accorgo che Corso Bueinos Aires non è solo rinomato per i suoi numerosi negozi, per le vetrine ben allestite, le bancarelle degli extracomunitari, la metropolitana, per il via vai di gente, per la selva di odori di un popolo, ma per il dolore che ciascuno di noi si porta dietro, trascinato da un paio di scarpe.
sicuramente il contatto aiuta a percepire…se ancora siamo in grado di trasmettere
“Si chiamava Nicol, ed aveva due particolarità: occhi grigi con sfumature di verde e camminava a piedi nudi. Era molto timida, non parlava con nessuno, si limitava a camminare dove altri avevano da poco camminato. Sembrava un angelo tra la gente, con quella chioma bionda e lucente. C’è chi, invece, la prendeva in giro chiamandola ”gelataio”.”
Davvero un bel racconto, complimenti!!
Lo avevo già letto ma l’ho riletto volentieri perchè è davvero bellissimo.
Complimenti
Delia
Grazie a tutti voi per i complimenti. Sono felice per questo e aggiungo che il segreto è lasciarsi guidare mentre scriviamo un racconto, e non so dirvi esattamente da cosa perchè quando scrivo sono curioso di ciò accadrà, dall’evolversi della storia e, credetemi, non so mai come finisce una trama appena l’ho iniziata.
anche a me è piaciuto,
nonostante il fatto che il protagonista ha sempre il “solito” tumore nella testa e
nonostante sia sono un po’ perplessa sul cambio di tempo. cioè all’inizio è al presente, poi si passa al passato imperfetto, tipico dei racconti delle favole o delle leggende, tipo si narra che…, poi improvv passa al presente.
comunque tre stelle
ciao cris