Atterrando tra polverose nuvole di sabbia grigia, il modulo satellitare RB-12 soffocò con un sibilo la spinta dei reattori.
Il pilota del mezzo spaziale, tenente di secondo grado Rowan, V° corpo esploratori “Medusa”, si rilassò con un lungo sospiro.
Raggiungere l’asteroide, seguendo le dozzinali carte planetarie si era rivelato difficile e complicato, almeno quanto l’atterraggio su quell’uniforme distesa di sabbia.
Rowan aveva manovrato con il massimo della sensibilità, rischiando ad ogni istante di insabbiare il modulo, imprigionandosi con le sue mani in quel luogo desolato.
L’ufficiale slacciò l’imbragatura di sicurezza e rimase per un paio di minuti ad occhi chiusi, seduto nella postazione di pilotaggio.
Respirava regolarmente, cercando di smaltire la tensione accumulata. Il suo compito, posizionare un radiosegnalatore che emanava impulsi captabili dal traffico spaziale di quella zona, era una routine alla quale era già abituato.
Decise quindi di prendersi una breve pausa, visto che i momenti difficili erano ormai alle spalle.
Un colpo sordo contro lo scafo del modulo satellitare. Improvviso.
Rowan sobbalzò: la sua pausa era già finita. Si alzò rapidamente, avviandosi verso l’armadietto che custodiva l’equipaggiamento per le escursioni esterne. Lo indossò rapidamente, rivelando la pratica acquisita in anni di addestramento. Dietro al visore del casco, gli occhi denunciavano un’incredula preoccupazione.
Impugnò il radiosegnalatore con la mano destra e si avvicinò al portellone d’uscita. Pigiò con un colpo nervoso il pulsante di apertura.
Il desolante panorama che intravedeva ora attirò la sua attenzione per qualche istante.
Lo sconfinato succedersi di dune, illuminate pallidamente da una sconosciuta stella sperduta chissà dove, era punteggiato da robuste rocce rossastre dall’aspetto frastagliato.
Il tenente scese sul terreno sabbioso, prestando attenzione a dove appoggiava i piedi. Rimase immobile per qualche istante: un fastidio brulichio, trasmesso dalle suole dei robusti stivali scuri, gli solleticava le piante dei piedi.
Con un calcio del piede destro colpì un piccolo cumulo di sabbia lì vicino, rovesciandolo.
Il lampo di vivo disgusto che gli attraversò gli occhi, era causato dalla brulicante massa di larve che si contorcevano invischiate nella sabbia.
Il loro colorito giallastro e le forme gonfie, suggerivano l’idea di qualcosa di contagioso e ammorbante. Rowan schiacciò un paio di quegli esseri con la punta degli stivali, dissolvendoli in una nuvola di polvere.
Riprese a camminare, cercando di ignorare il fastidioso formicolio che proveniva dal terreno. Teneva il radiosegnalatore nella mano destra, domandandosi per quanto tempo avrebbe continuato a funzionare, prima di essere devastato da quelle disgustose larve.
Si era allontanato di una decina di metri dal modulo, quando l’intensificarsi del formicolio lo mise in allarme. Si inginocchiò sulla sabbia, aspettando che tornasse a diminuire.
Improvvisamente, a pochi passi da lui, una duna di sabbia esplose, lasciando fuoriuscire un’enorme creatura dal colorito verdastro.
Era una specie di rettile incompiuto, con otto paia di zampe rattrappite, attaccate al corpo tozzo ad intervalli regolari. Nelle sgradevoli fauci dalla dentatura frastagliata, numerose larve cercavano una via di fuga.
Con uno scatto secco, prima di rituffarsi nella sabbia, lo strano rettile chiuse la bocca, inghiottendo avidamente le sue prede. Scomparve improvvisamente alla vista dell’uomo come era comparso, senza lasciare segni apparenti del suo passaggio.
Rowan rimase ammutolito per qualche istante, realizzando in quel momento la natura del desolato luogo dove era atterrato.
Quello che i suoi superiori avevano indicato come asteroide 15 del sistema Asfael, altro non era che uno dei sette reliquiari dove venivano custodite le creature profetizzate dai grandi saggi.
Il tenente conosceva bene la leggenda legata alle sette creature, visto che nella terra dove era cresciuto esistevano ancora diversi templi legati a quel culto.
Aveva infatti riconosciuto la tozza creatura intravista pochi istanti prima come quella raffigurata con il nome di Ash-Asam, il dio serpente che venera il passato.
Riprese freneticamente il percorso verso il modulo satellitare, cercando di non pensare all’aspetto più terrificante del dio: il suo continuo rigenerarsi attraverso le larve portatrici del virus che lo teneva in vita.
Richiuse lo sportello di uscita premendo con violenza il pulsante. Scagliò il radiosegnalatore contro una paratia d’acciaio mandandolo a frantumarsi: ormai non serviva più.
Si tolse con rabbia la tuta, rimanendo in piedi al centro del modulo.
Respirava nervosamente, cercando di recuperare un pò di calma.
Iniziò a notare le piccole bolle, quasi trasparenti, che chiazzavano la sua pelle, segno inequivocabile dell’inizio del contagio.
Si avvicinò all’apparecchio di comunicazione olografica. Spinse il tasto viola, che si illuminò immediatamente. Il ronzio successivo annunciò la comparsa dell’ologramma dell’operatrice Alfa 12: una biondina dallo sguardo vacuo e dal tono di voce gentile.
Rowan si avvicinò alla telecamera, per effettuare il riconoscimento visivo.
La ragazza avviò la procedura di riconoscimento premendo una sequenza di tasti. Dopo pochi secondi un beep lancinante annunciò l’avvenuto riconoscimento.
– “Parli pure tenente Rowan”.
– “Procedura di installazione del radio-segnalatore fallita. Causa errata designazione dell’obiettivo nel piano di missione. Allarme infezione. Attendo squadra di soccorso.”
– “Resti in linea tenente…”
L’ologramma si dissolse per qualche istante.
Mentre attendeva la risposta, Rowan tornò ad osservare le bolle che chiazzavano la pelle. Adesso erano decisamente più marcate, avendo assunto un colore giallo acceso. Il contagio avanzava…
Tornò la voce dell’operatrice.
– “Tenente….tenente Rowan?!?”
– “Eccomi!” L’ufficiale tradiva ormai palesemente la sua inquietudine.
– Le disposizioni sono: restare sull’asteroide…”
– “Non è un maledetto asteroide!”
L’ologramma non si scompose.
-“Restare sull’asteroide, tenersi in situazione di sicurezza e attendere unità di soccorso.”
Il casco impattò contro il visore olografico con effetti devastanti. Rowan rimase per qualche istante ad osservare i danni causati dal suo lancio.
Senza perdere altro tempo tornò alla plancia di comando, si accomodò nella postazione e accese i reattori….
Non intendeva attendere un’unita di soccorso che sicuramente sarebbe arrivata troppo tardi. Preferiva sperare in un assurdo tentativo disperato, anche se non si faceva illusioni in merito. Semplicemente lo seccava l’idea di aspettare inattivo un destino ormai segnato.
Le bolle erano aumentate, mostrando orgogliose il loro nauseabondo colore giallo scuro.
La disinfestazione
Riguardando al visore olografico le immagini dell’ultimo notiziario, il capitano di vascello Traufer, V° flottiglia di disinfestazione “Genesi”, rimase a riflettere su quello che da poche ore era il suo nuovo incarico. Aveva davanti a sé, sparpagliato sul tavolino retroilluminato, l’incartamento consegnatogli dal comandante.
Il brano di conversazione del tenente Rowan con l’operatrice prima della sua scomparsa, il rapporto della squadra di soccorso su quello che si credeva un normale asteroide. Tutti i documenti ufficiali, persino le superate carte di navigazione utilizzate da Rowan, gli erano stati consegnati. A dimostrazione della volontà del presidio militare locale di risolvere quello che le fonti di informazione private avevano già battezzato come “l’asteroide del virus”.
Traufer aveva seguito, nei giorni precedenti, qualcuno dei vivaci dibattiti televisivi sulle presunte origini sacre dell’asteroide destinato, si sosteneva, come dimora del dio Ash-Asam.
Ricordò con un sorriso la foga con la quale i seguaci difendevano quell’arida distesa di sabbia dalla minaccia di disinfestazione proposta dall’amministrazione centrale.
Purtroppo per gli adepti di quel culto ormai dimenticato, a poco erano servite le proteste e i piccoli ma tenaci cortei. In una società che li considerava degli eccentrici fannulloni dalle tuniche sgargianti, nessuno si preoccupava delle loro rivendicazioni.
Traufer ripensò, per l’ennesima volta alla protesta del giorno precedente, con i dimostranti che presidiavano, con cartelli e striscioni, l’area antistante la caserma del reparto disinfestatori.
Nel salone destinato al ritrovo degli equipaggi, poco distante dagli hangar che ospitavano le astronavi, gli ultimi ritardatari si affrettavano a schierarsi.
Il rozzo palco dove il capitano Traufer avrebbe tenuto il rapido brefing era stato collocato vicino alla parete nord.
Con passo tranquillo Traufer raggiunse il palco, squadrò brevemente gli uomini che avrebbero preso parte all’operazione e iniziò a parlare.
– “Da due giorni studio gli incartamenti riguardanti la nostra operazione, e posso dire che non si presenta come una missione di routine. Chi crede di essere coinvolto in una semplice disinfestazione resterà deluso. Infatti, osservando bene le caratteristiche decisamente sabbiose dell’asteroide…”
La voce dell’ufficiale venne brevemente soffocata dai motori di un’astronave al decollo.
– “Dicevo… avendo analizzato queste caratteristiche, posso escludere a priori l’utilizzo dei decontaminatori a getto di idrogeno installati sulle nostre navi. L’utilizzo di queste apparecchiature solleverebbe una nube di polvere di dimensioni enormi che, oltre a intralciare le manovre, causerebbe un pericolo di contagio davvero alto.
Io non conosco quale sia il mezzo di trasmissione del virus, posso però assicurarvi che, in base ai dati rilevati dalla squadra di soccorso arrivata in aiuto del disperso, è particolarmente efficace e difficilmente arginabile.
A bordo delle astronavi, quattro operative più quella di comando, troveremo le tute di incapsulamento antivirali. Tutti, e ripeto tutti, dovremo indossarle…”
Traufer intravide qualche espressione incredula tra i soldati schierati.
– “Si signori, avete capito bene. Scenderemo su quell’asteroide, o qualsiasi altra cosa sia. Siamo obbligati a farlo, visti i problemi che vi ho esposto precedentemente.
Per quel che riguarda la parte strettamente operativa le istruzioni, o piano strategico se vi suona più tecnico…”
Sorriso.
– “Le due squadre, V-16 e V-7, sbarcheranno per prime sull’asteroide. Saranno equipaggiate con disinfestatori meccanizzati, e inizieranno ad entrare in azione nel punto segnato come Alfa rosso sulle mappe. I comandanti di squadra sanno di cosa sto parlando vero?”
Cenno di assenso dei quattro capisquadra.
– “Bene. Spiegherete alla vostra squadra, durante il viaggio di avvicinamento, i rispettivi punti assegnati.
Dopo che la V-16 e la V-7 avranno raggiunto il primo check-point, la V-5 e la V-12 scenderanno sull’asteroide. Raggiungeranno le due squadre ferme al check point e gli daranno il cambio.
Vi succederete nei cambi alternativamente. Questo perché sarà particolarmente problematico operare per i macchinari con tutta quella sabbia: quindi le squadre non impegnate nella disinfestazione si dedicheranno alla manutenzione della propria attrezzatura, pulendo rotori e altri parti meccaniche da eventuali sedimenti di sabbia.
Una volta completata la disinfestazione le squadre torneranno alle rispettive astronavi. Il nostro lavoro sarà terminato. Spetterà poi al presidio militare mandare un altro ufficiale degli esploratori a posizionare un radiosegnalatore. Sperando che questa volta non ci siano altri virus in agguato.”
Sorrisi e battute tra la truppa.
– “E’ tutto signori. La partenza è prevista tra due ore, rompete le righe.”
I disinfestatori lasciarono il locale, alcuni diretti verso lo spaccio, altri verso le camerate.
La squadra V-16 avanzava lentamente, con la goffa andatura provocata dalle tute di incapsulamento. Gli uomini si lanciavano, per quanto consentito dai caschi, sguardi nervosi e preoccupati: avvertivano tutti il continuo e sommesso formicolio che animava la sabbia sotto di loro. Qualcuno parlava di larve che venivano mangiate da una specie di serpente orripilante: certo questa spiegazione non rassicurava chi su quell’asteroide ci doveva camminare.
Con un gesto improvviso il caposquadra fece cenno di fermarsi. Sollevo l’indice e il medio della mano destra tenendoli uniti e facendoli roteare lentamente…
Ecco il segnale. Gli apparecchi vennero accesi, producendo il classico roboante turbinio che li contraddistingueva.
Nella semioscurità dell’asteroide risaltavano le lampeggianti luci arancioni che segnalavano l’entrata in funzioni dei macchinari.
Il disinfestatore Damp Stangler, fissava concentrato quello che veniva aspirato attraverso la sabbia. Notò quelle disgustose larve venire strappate a centinaia dal terreno, proiettate all’interno del serbatoio per venire polverizzate.
Le guardava roteare attraverso il getto di aspirazione, lottando disperatamente per cercare di tornare al loro luogo di origine. Provava un sottile piacere, inutile nasconderlo, nel vedere all’opera la rapidità e l’efficacia dell’apparecchio assicurato sulle sue spalle.
La piacevole sensazione durò pochi secondi, prima che un tonfo sordo e un improvviso getto di sabbia oscurò l’ambiente intorno. Percepì attorno a lui la presenza di un essere in movimento, sbucato dal terreno nel mezzo della squadra di disinfestazione.
Sollevò lo sguardo e, attraverso il fitto nugolo di sabbia, distinse il verde pallido di una tuta di incapsulamento sollevarsi a rapida velocità. Passarono pochi istanti, e la tuta ricadde al suolo con uno schianto.
Sentiva nell’auricolare gli ordini frenetici e affannati urlati dal suo caposquadra.
– “Spegnete i decontaminatori! Siamo stati attaccati! Chiamo immediatamente la nave di raccolta! Qui ci vogliono i soldati….caz…..”
La voce tornò nel silenzio.
Come da ordini ricevuti Stangler spense l’apparecchio. La nube di sabbia andava dissolvendosi ed era ora possibile cominciare ad individuare i compagni attraverso il velo grigio.
Due di loro erano ancora in piedi, completamente atterriti dall’improvvisa aggressione, mentre un terzo giaceva sdraiato a terra. Il corpo completamente straziato in una posa sgradevolmente innaturale. Nessuna traccia del caposquadra.
Stangler cercò un contatto radio con i due compagni.
– “Qui Stangler. Sono alla vostra sinistra, cerchiamo di raggrupparci e raggiungere la nave di raccolta… credo non ci sia altro da fare.”
Prestando molta attenzione ad eventuali nuove insidie i tre disinfestatori si riunirono vicino al cratere lasciato dalla feroce creatura sbucata dal terreno. Iniziarono ad incamminarsi verso il loro obiettivo, mentre con gli sguardi rastrellavano l’ambiente che li circondava.
Erano a una cinquantina di metri dalla nave, quando il formicolio sotto di loro aumentò. Presagendo un nuovo pericolo iniziarono una precipitosa corsa.
Il serpente venerato come dio sbucò improvvisamente alle loro spalle, lanciandosi in aria con la solita furia. Durante la discesa cercò di catturare una delle tre prede.
Mentre Stangler e un altro compagno erano fuori portata, il terzo decontaminatore risultava ancora troppo vicino al dio per sfuggire.
La disgustosa bocca del mostro avvinghiò il macchinario legato alle sue spalle, trascinando con se la vittima nell’apertura creata poco prima nella sabbia.
Mentre i due sopravvissuti si inoltravano nella cella di decontaminazione della nave, a fatica riuscivano a scacciare il ricordo delle grida disperate della vittima, sprigionate pochi minuti prima dagli apparecchi radio installati nei caschi.
Traufer, seduto sul divanetto della sala conferenze, giocherellava distratto con un ritratto ricavato su un cartoncino di piccole dimensioni. I tratti del disegno alimentavano la sconfitta e i sensi di colpa.
Sembrava quasi che la rappresentazione del dio Ash-Asam, dipinta con colori vivaci, lo sfidasse a provarci di nuovo.
Dieci persone erano morte durante il tentativo di disinfestazione e per il capitano di vascello questo bastava: attendeva solo l’arrivo del suo superiore diretto, il maggiore Hasklan, per rassegnare le dimissioni e lasciarsi tutto alle spalle. Magari facendosi assumere in qualche cooperativa privata, come gli suggerivano da tempo alcuni suoi ex-commilitoni già impiegati in questo settore.