Tracce di passi nel fango. Scarponi chiodati. Truppe tedesche in ritirata.
La pioggia delle Ardenne, incessante, oppressiva.
Il tenente Schwarz, nervoso, osserva i soldati sfilare davanti a lui. Li guarda negli occhi, vede la stanchezza di giorni senza riposo. Posa lo sguardo oltre la pattuglia: un fitto bosco e numerosi cespugli che lo costeggiano.
Passano Diepolz e Meyer, i serventi alla mitragliatrice. Il tenente li incita con tono comprensivo.
Sono le sue ultime parole: un dardo lo colpisce in piena fronte.
E’ partito dal bosco. Silenzioso, non se ne accorge nessuno.
Il grido di Schwarz è un lamento soffocato, ma basta per richiamare l’attenzione degli altri. La quinta compagnia esploratori si getta a terra, cercando riparo tra arbusti e alberi sradicati.
Il sergente Heinrich prende il comando, è il soldato più alto in grado.
– Diepolz e Meyer, piazzate la mitragliatrice. Muovetevi!
I due soldati prendono posizione, come hanno già fatto innumerevoli volte. Fissano il treppiede nel terreno. Caricano la mitragliatrice con silenziosa rapidità.
Il caporale Witzer si solleva sulle ginocchia per qualche istante.
Heinrich urla.
Attento idiota!
E’ troppo tardi.
Il dardo colpisce il caporale nell’occhio destro. Distrugge il bulbo, schiantandolo all’interno della scatola cranica.
Il sergente lo vede crollare. Fa un breve cenno ai due della mitragliatrice: raffiche brevi e rapide.
Partono i colpi, mentre il sottufficiale striscia fino al soldato ucciso. Sfila il dardo dal cranio. Lo osserva attentamente. Nota le strane incisioni sul legno scuro.
Simboli incomprensibili per un minatore della Renania, arruolato nella Wehrmacht dal giugno del 41.
Quei simboli sul legno, sottili spirali e rozze creature, sembrano quasi un beffardo scherzo di suo nipote Dieter.
Con un gesto zittisce la mitragliatrice.
– Formate due gruppi. Il primo avanzerà al mio segnale, raggiungerà quel gruppo di rocce e attenderà l’arrivo del secondo. La mitragliatrice resterà qui a coprire l’avanzata.
Parte la prima squadra Due dardi cercano di colpirla. La mitragliatrice risponde: un urlo tra gli alberi. Questa volta qualcuno ci ha lasciato la pelle.
La prima squadra è al riparo. Parte la seconda.
Quattro i dardi scagliati. Uno centra la coscia di Winkler, ex tenente dei guastatori, nazista fervente, degradato per aver accoltellato un commilitone.
Cade a terra. Nessuno si muove per soccorrerlo. Nessuno crede se lo meriti.
Il sergente Heinrich urla qualche frase di incoraggiamento.
Resisti. Torniamo a prenderti.
Nessuno ci crede, neanche il ferito. Passano pochi secondi. Un colpo di pistola. Winkler non ci ha creduto.
La pioggia insiste. I soldati dietro le rocce. Attendono e coprono l’avanzata dei due con la mitragliatrice. Diepolz e Meyer si piazzano dietro un cumulo di terra.
Il sergente urla ancora una volta.
– Avanti la prima squadra!
I soldati avanzano rapidi. Raggiungono i margini del bosco. Si inoltrano per qualche metro. Sparano qualche raffica. Tornano indietro e fanno gesti rassicuranti.
La via è libera.
La seconda squadra li raggiunge. Heinrich ascolta cosa hanno da dire: strane ombre che si muovevano agili. Trascinavano qualcosa. Forse il cadavere di uno dei loro compari. Li abbiamo seguiti per qualche metro. Hanno preso un sentiero che andava in discesa.
Seguiamoli, dice il sergente. Non possiamo lasciarci alle spalle nuclei di partigiani che ci colpirebbero alle spalle.
Imboccano il sentiero. Scendono nel cuore della foresta.
Dopo circa mezz’ora la pioggia smette. Forse perché trattenuta dalla folta boscaglia. Forse perché adesso l’atmosfera è irreale, con quegli strani giochi di luce riflessa, assorbita, soffusa.
I soldati si guardano attorno straniti.
Alberi così alti non si vedono neanche nella Foresta Nera.
Il soldato Kemper intravede un movimento rapido, spara una raffica verso l’alto. Cerca di colpire ciò che ha visto: niente da fare.
Si allontana dai suoi compagni, a passi lenti e cauti.
Nessuno lo nota mentre si infila, silenzioso, in una piccola radura.
L’urlo improvviso richiama gli altri. Lo trovano sdraiato, trafitto da tre dardi. Gli attraversano il torace, come strane antenne di un insetto.
– Non disperdetevi, maledizione! Probabilmente questi schifosi ci stanno spiando dagli alberi!
Heinrich sussurra cauto. Si guarda intorno. Vede un albero rachitico, due sottili occhi azzurri, eleganti orecchie a punta.
Apre la bocca, il dardo gli affoga l’urlo in gola, impastandolo con il sangue.
Il sottufficiale crolla a terra, mentre l’elfo prepara un altro colpo.
La raffica di mitra lo investe in pieno, scagliandolo a due metri di distanza. I soldati raggiungono il sergente. Ormai è morto. Si spostano vicino al cadavere dell’elfo.
Gli occhi provati dei soldati di un esercito che pareva invincibile, percorrono curiosi le fattezze di quella creatura arcaica.
I sottili capelli biondi intrecciati con grazia. Il pallido volto paralizzato per sempre: con quegli strani occhi allungati, le labbra sottili, gli zigomi alti.
I proiettili hanno sventrato il delicato busto ricamato con strisce di cuoio e lamine d’oro. Il sangue insozza quel delicato capolavoro.
Qualcuno accenna una battuta sulle origini di quello strano contadino dalle orecchie a punta. Nessuno ride.
Quattro dardi piovono improvvisi sul gruppo di soldati.
La foresta riecheggia ancora dei suoni di una battaglia fuori dal tempo.

2 pensiero su “Battaglia fuori dal tempo”
  1. trama interessante, scritto bene, meriterebbe un approfondimento . . .

  2. Possiedi un intrigante stile di scrittura. E’ un racconto che calamita l’attenzione, complimenti. C’è solo una cosa: nella parte centrale, quella per intenderci in cui i soldati si addentrano nella foresta, mi pare ci siano un po’ troppe ripetizioni della parola “dardo”, probabilmente con qualche sinonimo o invenzione letteraria si sarebbe potuto ovviare alla questione, migliorando la leggibilità. A rileggerti. Saluti.

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