Mi passai ancora una volta la mano sugli occhi…
Non riuscivo a credere di essere intrappolato in quel piccolo pozzo umido.
Solo un paio di ore prima riposavo tranquillo in una poltrona del Maverick Motel, New Mexico. Un logoro e decrepito edificio, troppo vecchio per essere ristrutturato e troppo isolato per essere demolito.
Il proprietario, Larry Finch jr., o un nome simile, mi aveva accolto con la tipica cortesia del gestore assediato, dai creditori e dalle bottiglie ormai vuote.
Alloggiavo nella stanza 15, sprofondato nel silenzio dell’afa pomeridiana. Mi addormentai senza neanche accorgermene, mentre osservavo uno scorpione che si muoveva spavaldo sul pavimento di sporche piastrelle rosse.
Mentre giacevo ancora sdraiato, sollevai lo sguardo verso la grata che sbarrava l’imboccatura del pozzo. La tiepida luce del tardo pomeriggio illuminava parte della solida parete del pozzo.
Imprecai disperato…
Mi inginocchiai, sfiorando la grata con la testa. Sferrai un calcio maldestro al solido strato di pietre, procurandomi l’inevitabile dolore di circostanza.
Riacciuffai per i capelli la mia traballante lucidità e cercai di trovare una soluzione.
Afferrai con decisione le sbarre di ferro scuotendole ripetutamente. Fosse stato così semplice…
Lanciai un urlo di rabbia, poi tornai a sdraiarmi, colto da un senso di impotenza assoluta.
Improvvisamente un’ombra si proiettò nel mio campo visivo, attirando il mio sguardo verso la grata.
C’era Finch jr., o come cazzo si chiamava, che mi osservava con aria curiosa. Distinguevo bene la sua espressione divertita e soddisfatta. Bisbigliò qualcosa, lo stronzo, ma il significato delle parole non raggiunse mai le mie orecchie.
Rimasi ad osservarlo.
Lo vidi scostarsi per qualche istante e riaffacciarsi subito dopo. Nella mano destra teneva qualcosa, un sacco o qualcosa di simile. Sogghignò ancora una volta, prima di rovesciarne il contenuto nel pozzo.
Sollevai un braccio istintivamente, per ripararmi dall’arrivo di qualcosa che non conoscevo….
Dopo pochi secondi qualcosa colpì il mio polso, e prima che potessi indovinare cos’era, un bruciore lancinante mi penetrò nelle ossa.
Ritrassi violentemente il mio arto, ma questo peggiorò le cose. Infatti gli schifosi vermetti, che ora distinguevo bene, si sparpagliarono sul collo e tra i capelli.
Mi raggomitolai stringendo la testa tra le braccia, sopraffatto dal dolore che mi aggrediva.
Allungai lentamente lo sguardo verso il braccio destro, osservando uno di quei tenaci parassiti al lavoro: oltre al nauseante rosso scuro che tingeva la sua pelle rugosa, notai lo strano liquido che l’essere spandeva sulla pelle intorno a se, prima di tuffarsi nella mia carne, immergendosi completamente.
Rimasi sveglio ancora qualche istante prima di svenire, accompagnato dall’infaticabile lavorio dei vermi all’interno del mio corpo.
Rinvenni dolcemente. La sensazione di dolore era quasi sparita.
Ero adagiato su una branda arrugginita, in quello che, dopo una rapida occhiata, catalogai come il capanno situato alle spalle del motel.
Una stretta finestra dai vetri infranti era ricavata nella parete che mi stava di fronte.
I materassi sporchi e marci, qualche sedia rotta, un paio di attrezzi da giardino e una libreria a ripiani, stipata di stracci e lattine, erano le uniche altre presenze nel locale.
Mi concentrai sul leggero e nauseabondo odore che mi solleticava le narici. Gettai uno sguardo al mio petto… imprecando silenziosamente contro quel che distinguevo nella penombra.
Dove una volta si trovava il mio stomaco, i laboriosi vermi  avevano eretto  un elaborato e sfarzoso tempio, utilizzando parti del mio organismo.
Rimasi ad osservare per qualche istante i ritardatari mentre completavano l’opera,  prima di ritirarsi precipitosamente all’interno della loro creazione.
La struttura del tempio, una cupola di carne umida e lucente, decorata con nervi e arterie, era sorretta da alcune costole inclinate. Pulsava come un cuore impazzito, e veniva irrorata continuamente dal mio stesso sangue.
Osservandola pensai a qualcosa di famelico e vorace, sentendomi percuotere da un’ondata di appetito aggressivo.
Lentamente, una cigolante porta di legno si aprì. Il proprietario del motel fece la sua comparsa.
Indossava una ridicola veste arancione, addobbata da logori paramenti pescati chissà dove.
Con la mano destra impugnava una torcia, che lottava disperatamente contro la prima debole oscurità, portata dal tramonto all’interno del capanno. Nell’altra mano reggeva in equilibrio un vassoio ricolmo di carne cruda inzuppata di sangue fresco.
Aveva un’aria di rispettosa riverenza che non riuscivo a capire.
Iniziò a sussurrare qualche frase, poi il suo tono divenne comprensibile.
– “…Sei l’unica vittima sopravvissuta alla coltura dei vermi rituali di Baal. Proprio come scritto nella profezia. Sei arrivato all’inizio del quinto ciclo della luna di Eres.”
Cercai di sollevarmi a fatica, ma un lancinante dolore mi convinse a desistere.
– “Che cazzo stai blaterando, scemo?!”
Le mie parole erano deboli e affannate.
– “Adesso è ancora presto perchè tu possa capire, ma dopo che ti avrò mostrato il Libro potrai forse intuire il grande destino che il grande Baal ti ha riservato…”
– “Spiegati meglio. Cosa dovrei fare, oltre ad ospitare tutti questi schifosi vermi!”
Lo sguardo del mio interlocutore mostrò visibilmente il fastidio che provava nell’udire il mio tono scettico.
“Sei ancora all’oscuro di tutto, ma con pazienza imparerai. Ormai il tuo destino è qua, in questo capanno.Il tempio, costruito con le tue carni, è l’origine del tuo nuovo destino. Regnerai tra i diseredati… e io sarò al tuo fianco, ti sfamerò, ti accudirò  ed eseguirò le tue sentenze.”
Ripensai alle ultime parole con raccapriccio, figurandomi la mia esistenza costretto tra quelle misere  pareti di legno…. Senza aggiungere altro, il mio servitore appoggiò il vassoio sul letto, tra le mie gambe.
Rimasi impotente ad osservare, mentre centinaia di vermi fuoriuscivano dal tempio per gettarsi avidi sui golosi pezzi di carne che lo riempivano.

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