Stavamo finendo il pranzo. Era un pranzo normale, niente di eccessivo, qualche portata, un po’ di vino in tavola. Perché uno si aspetta che gli avvenimenti importanti vengano pre-ceduti da segnali inconsueti o singolari, e invece ogni evento è così naturale che diventa una specie di legittimo prolungamento delle cose.
E’ una riflessione che non potevo non fare alla luce della situazione che si stava delineando in quel momento. C’era del grottesco e allo stesso tempo del surreale nell’accavallarsi degli eventi in quell’unica ora insieme che avrebbe dovuto essere spensierata e invece ci stava dispensando veri attimi di terrore e incredulità.
Non c’era niente che potesse farmi presagire ciò che sarebbe successo da lì a poco. Mi era già capitato in passato di avvertire sensazioni che in seguito si erano rivelate autentiche. Confesso che mi avevano lasciata attonita, quasi frastornata, poi avevo finito con l’accettarle, adesso però un evento di questa portata che si originava dal nulla, prendendo vigore col passare dei minuti, simile alla formazione di un tornado, impetuoso e con una forza devastante da rimanerne allibiti, non l’avevo mai visto e il sentore che tutto ciò potesse accadere non mi aveva nemmeno sfiorata. E pensare che era bastato soltanto qualche dito di vino in più per scatenare l’inferno, una quantità minima che a guardarlo dentro quel bicchiere pareva innocuo, ma dentro il corpo di  mia madre si era tasformato in una bomba ad orologeria. Pochi minuti dopo averlo bevuto, era riuscito a trasformare una donna dai modi controllati, in una sorta di angelo disinibito e dall’eloquenza vivace e disinvolta. Mio padre era lì ad ascoltarla con occhi spalancati e respirò fermo, praticamente in apnea mentre aspettava che lei finisse di vaneggiare per poter riprendere finalmente a respirare.
E dire che nella vita ci si potrebbe aspettare di rompersi una gamba cadendo dalle scale o di dover pagare una multa inaspettata, ma che finisca un matrimonio nel giro di pochi minuti per colpa di un liquido rossastro che si insinua silente nel corpo e libera i freni inibitori, questa è una cosa che non ci si aspetterebbe mai.
La confessione era sgorgata serena, senza imbarazzi, sembrava quasi che stesse parlando del prosciutto comprato al supermercato in mattinata. Stava cominciando ad accarezzarmi l’idea che dietro tutta quella scioltezza ci fosse piuttosto la deliberata volontà di ripulire la propria coscienza da un peso che col tempo aveva assunto proporzioni gigantesche tanto da divenire insopportabile. Le sue labbra si muovevano in libertà sputando fuori parole pesanti come macigni, e mentre queste si moltiplicavano, lo sconforto cresceva di pari passo, solo lei sembrava svincolarsi da fantasmi insidiosi. Intorno a lei soltanto angoscia.
Guardavo mio padre perché temevo che da un momento all’altro potesse avere qualche reazione strana e invece lui era inerte, inebetito da quella confessione che gli stava strappando il cuore. Lo sguardo era fisso in un punto imprecisato della cucina, a volte sembrava che fissasse un orizzonte lontano che soltanto lui poteva vedere mentre mia madre continuava a raccontare della sua relazione con Mario, il migliore amico di mio padre, avuta venticinque anni prima e dalla quale era stato concepito un figlio che insieme avevano deciso di non dare mai alla luce. Di comune accordo avevano messo poi fine a quella storia che aveva insudiciato le loro anime e avevano infine seppellito tutto quanto in fondo alle loro coscienze.
Mio padre aveva usufruito per tutto questo tempo della pace che solo l’ignoranza, nella sua infinita pietà, era riuscita a concedergli. Adesso non ignorava più, ora quella verità scomoda lo stava avvolgendo come un mantello di lamiera. Sentivo il suo respiro che finalmente fluiva pacato, ma sapevo che dietro quella calma apparente ardeva un fuoco pericoloso. Una vena gli pulsava nel collo, avrei potuto persino contare i battiti del suo cuore. Mi ero avvicinata e timidamente avevo preso la sua mano, era sudata, immediatamente aveva iniziato a stringere la mia quasi a volerla stritolare. Alla fine avevo deciso di scuoterlo per svegliarlo da quel torpore innaturale che sembrava dovesse preludere ad una reazione insana. Lui mi aveva guardata, le sue pupille erano dilatate, con un filo di voce gli avevo sussurrato «andiamo papà» e lo avevo portato fuori.
Era mio padre e non avevo bisogno di guardarlo negli occhi per leggergli dentro, sapevo che stava riflettendo sulla magnanimità e imprevedibilità della vita, potevo pertanto intuire quale fosse la domanda che gli stava danzando solitaria in testa in quel momento: “la clemenza è un privilegio per pochi?”

4 pensiero su “L’imprevedibilità della vita”
  1. In vino veritas…
    Vinum aperit claustra cordis…
    Si dice così di quell’euforia loquace che segue una bevuta incontrollata.
    Ma chi vuole che i chiavistelli del cuore si aprano? Chi vuole veramente sapere sempre la verità?
    A volte è meglio non sapere.
    La beata ignoranza spesso salva la vita, perché, in fondo, la realtà è dura e il sogno è molto più semplice.
    Sempre attenta la tua riflessione e chi legge non può non soffermarsi a meditare.
    Ciao!
    anna

  2. Scrivi molto bene, un pò ermetica difficile da capire in alcuni tratti.
    Questo è il mio parere se ti può interessare.
    Riguardo all’argomento…
    Era meglio se si beveva tutta la bottiglia e si metteva a cantare e ballare 🙂
    Grazie il “folletto”.

  3. Grazie amici per i vostri commenti, mi fanno sempre molto piacere. X Folletto: certo che mi interessa il tuo parere, mi interessa il parere di chiunque anche se poco lusinghiero, l’importante è che sia espresso con la dovuta cortesia. Un caro saluto a tutti.

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