Fioccava. La neve candida e tersa non cessava di cadere; fin dalle prime ore del mattino il cielo grigio riversava sulla pianura e sulle montagne un pesante manto bianco. Luca se ne stava con il naso incollato alla finestra e non smetteva di chiedere alla mamma, quando sarebbe finito di nevicare.
“Quando non cadranno più fiocchi”,  gli disse la mamma, passandogli la mano sui capelli lisci e corvini.
“Questo lo so mamma, ma quando potrò uscire con lo slittino?, Davis sicuramente è là fuori che si sta divertendo”. Luca si strofinò il naso e corrugò le sopracciglia, fuori faceva davvero un bel freddo, tuttavia l’idea di cavalcare lo slittino e gettarsi in picchiata dalla collina del Vecchio delle Nevi gli dava il coraggio necessario per sopportare il gelo del vetro sul naso.
Luca conosceva molto bene Davis e quest’ultimo sapeva che Luca non si sarebbe tirato indietro, dopotutto entrambi avevano promesso di guadagnare la discesa, quella che partiva dal Vecchio ed arrivava fino alla statale sedici; un tratto di ben quattrocento passi, li avevano contati più di una volta durante l’estate, rincorrendo il sogno di slittare giù per il costone e come dicevano in paese, avrebbero pettinato la lunga barba del vecchio.
Il trillo del telefono interruppe la discesa mentale di Luca, si girò e vide la mamma stringere forte la cornetta mentre con l’altra mano sulla bocca scuoteva la testa cercando di reprimere un singhiozzante “no”.
Una valanga aveva ricoperto tutta la vallata e la discesa del Vecchio delle Nevi ora giaceva sotto tonnellate di neve, vicino alla statale sedici era stata rinvenuta la bicicletta di Davis;  l’intervento degli uomini della squadra di soccorso era stato immediato, avevano iniziato subito a setacciare ogni centimetro della vallata. Luca abbracciò la mamma e con le lacrime agli occhi le raccontò della sfida con gli slittini. Fu una notte interminabile …
Aveva finito di fioccare, da dietro il vetro Luca lanciò uno sguardo al cielo privo di nuvole, un pallido sole illuminò la vallata, sarebbe stata una bella giornata, quel giorno alla fine era arrivato. L’eco delle voci riempì l’atrio, il vociare incomprensibile aveva la melodia gioiosa di un incontro amichevole, erano tutti lì per gareggiare ed il brutto tempo aveva per un po’ sospeso e rimandato le gare olimpiche.
“Luca, sei pronto per la discesa?, la tua gara è stata fissata per le undici”, sentì la mano dell’allenatore sul braccio, si voltò.
“Certo mister, non vedo l’ora”, alzò la mano aperta, l’indice ed il pollice si incontrarono per disegnare il simbolo del “tutto va bene”.
Chiuse gli occhi e tracciò mentalmente il percorso che avrebbe seguito; sarebbe sceso fino a valle sdraiato sulla slitta sfidando curve e rettilinei ad una velocità di centotrenta chilometri orari, era uno dei favoriti nella gara di skeleton. A mente calcolò la distanza della pista, si ricordò dei quattrocento passi che lui e Davis avevano contato in una lontana estate di dieci anni fa, ora nella valle del Vecchio delle Nevi si ergeva una delle piste più grandi  di skeleton, bob e slittino.
Ancora pochi minuti e la gara sarebbe iniziata. Luca si precipitò lungo le scale, raggiunse l’uscita e si fermò davanti alla targa dedicata a Davis, era stata deposta nel punto dove lo avevano ritrovato abbracciato allo slittino, appoggiò la mano e sorrise.
Il segnale acustico della partenza segnò per Luca l’inizio della sfida con se stesso, per Davis lo era stato il sordo suono del distacco del ghiaccio.
Entrambi ci erano riusciti, avevano pettinato la lunga barba del vecchio.

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