Era la farfalla più bella.
Ali così non se n’erano mai viste.
Seta morbida, rosa come l’aurora, su cui la notte aveva pianto due lacrime.
Frequentava solo giardini, lei!
Giardini ben curati.
Quelli dove “è vietato calpestare” e “i cani vanno tenuti al guinzaglio”.
Dove il suolo è un tappeto soffice, odoroso e policromatico.
Dove pure a me doleva entrare, per la paura di spettinare quella miriade di fili fragili e terribilmente splendidi
Era la farfalla più bella e lo sapeva.
Regina perfetta di un regno perfetto.
I fiori la chiamavano con le loro voci vibranti di desiderio
“Vieni, Alibelle, abbracciami forte e succhia tutto il mio amore… è tutto per te!”
“No, vieni da me! Io sono più dolce… non te ne pentirai”.
E lei volava felice, senza fretta.
Lei era liberamente di tutti e tutti lo sapevano.
Chiedeva solo cibo e attenzioni amorevoli in cambio.
Lei era sempre ebbra d’amore e di vanità.
I fiori godevano nel farsi dissanguare da lei, tutto l’amore, e dopo non ce n’era per nessun’altra.
E fu così che anche LUI se ne innamorò…
La ammirava nascosto sotto una grande foglia o tra i sassi.
Sospirava ogni volta gli passava accanto, allungando le lunghe zampe verso di lei.
Lei era il suo giovane pensiero di luce, e lui non poteva più farne a meno…
Un giorno decise che l’avrebbe avuta tutta per sé.
Per un’intera notte lo sentii lavorare, sbuffare, ansimare.
Era vecchio e tutto quel lavoro lo affaticava molto.
Poi, alle prime luci del giorno corse a nascondersi sotto la sua grande foglia ed immobile attese…
Alibelle incominciò molto presto il suo frullare amoroso e civettuolo.
Danzava leggera, ed io la sostenevo, con le mie dita invisibili, e sentivo il suo cuoricino battere forte… Oh, Alibelle, delicata creatura!
Era proprio nella tua forte fragilità la tua disarmante bellezza!
Ma i fiori percepivano qualcosa di inquietante in mezzo a loro e cercavano di metterla in guardia
“Alibelle, fai attenzione, c’è qualcosa che non va. Stai lontana da noi, oggi”
E le altre farfalle bisbigliavano maligne
“Lasciate che venga tra voi. Noi non verremo al suo posto, non siamo le vostre ruote di scorta!
Lasciate che il diavolo se la porti, quella sgualdrina vanesia!”
Ma lei non udiva nessuno, presa dalla sua frenesia di cercare l’amore.
L’amore che colmava quel vuoto devastante che le bruciava l’anima, da quando era piccina.
E si sa, quando l’unico modo per spegnere il fuoco del vuoto che ti devasta lo trovi nelle attenzioni amorose che gli altri ti irrorano continuamente, grazie alla tua riconosciuta bellezza, non è facile staccarsene.
Così Alibelle rimase a svolazzare in cerca di pace in quel rassicurante giardino.
Fino a che non udì quella voce.
Voce buona, profonda, cullava il suo cuoricino ansioso e triste.
Suo padre l’aveva abbracciata forte, per lunghe notti, nel buio della sua stanzetta, accarezzando il suo corpicino al suono di quella voce.
Quanto aveva amato suo padre!
Ed ora ecco apparire di nuovo il richiamo di quell’amore.
Doveva seguirlo.
Doveva volare tra le sue braccia.
E volò verso di esso.
Tra le braccia del suo destino.
Ma il suo destino, quel giorno, aveva braccia vischiose e sottili che la intrappolarono.
“Dove sono finita! –Gridò- Aiuto! Vi prego aiutatemi!”
Piangeva Alibelle e si dibatteva disperata.
Come risposta ebbe solo le risatine delle altre farfalle
“Ben ti sta, sgualdrina!”
Seguite dai commenti rassegnati dei fiori
“Era da dire che sarebbe finita male. Non ascoltava nessuno. Lei era senza padroni.”
“Se fosse rimasta con me, ora non si troverebbe così… io l’avrei amata davvero…”
Queste furono le conclusioni che rasserenarono e riappacificarono il giardino.
In fondo quello che le era accaduto era soltanto una conseguenza normale delle sue azioni.
“Ma che fiore sei? Lasciami, ti prego!”
“E’ un ‘fiore del male’ ti risponderebbe un famoso poeta” E rise.
Il “fiore del male” incominciò a vibrare.
Qualcuno riusciva a camminarvici sopra… ma chi? pensò Alibelle.
Poi la voce divenne corpo e dalle sue spalle apparve ai suoi occhi e…
“No!… Chi sei?… Cosa vuoi da me?”
Si divincolava disperata e più cercava di liberarsi e più si sentiva prigioniera.
“Sono il ragno nero, signore del giardino…
OH, mia regina, dinnanzi a te mi inchino…”
E piegò i lunghi zamponi anteriori e si inchinò per davvero.
Lei singhiozzò- “Vuoi mangiarmi?”
“No.. .Oh, no!.. Non potrei mai divorare il mio più bel pensiero… sei così luminosa… ali di seta rosa come l’aurora, su cui la notte pianse due lacrime…
…Si dice che La notte si innamorò perdutamente del sole- iniziò a raccontare, con tono sinuoso e paterno, il vecchio ragno- ma esso la sfuggiva.
Lei, allora decise di strapparsi due brandelli dal cuore.
Mentre li strappava piangeva e due di quelle lacrime macchiarono quei rosei frammenti.
Li lasciò, nelle mani dell’alba, chiedendole di consegnarli al sole, da parte sua,
perché il sole si ricordasse per sempre di quanto la notte lo amava.
Ma il sole, schiacciato dal senso di colpa volle dare vita a quel dono e ne fece due ali, così che l’amore che aveva negato alla notte potesse liberamente volare, senza confini di tempo e di spazio…”
Lei lo ascoltò incantata
“Me lo diceva sempre il mio papà. Mi sussurrava questa commovente storia mentre mi coccolava,
stringendo forte la mia testolina a sè… il suo nettare era dolcissimo, il più dolce che io abbia mai bevuto!”
“Alibelle, piccola mia- sussurrò l’aracnide, avvicinandosi lentamente a lei- bella, bella creatura”
e con brutale dolcezza l’abbracciò.
“Lasciami, mostro!” – Gridò la poverina, cercando di liberarsi da quella morsa pelosa.
Ma più la stringeva e più lei indeboliva l’opposizione.
Lo sentiva fremere dalla voglia di averla.
Sentiva che la desiderava più della vita stessa.
Questa consapevolezza la inebriava.
Si sentiva amata.
E il sentirsi amata spegneva in lei il vuoto che le bruciava l’anima.
Allora si lasciò domare, piccola ribelle in cerca di padroni.
La sua bocca scivolò piano, seguendo una pulsione naturale, e ad un tratto il grosso ragno, ritto sulle zampe posteriori, lanciò un gemito di piacere.
Li ricordo così.
Due figure di un quadro angosciante.
La bella, giovanissima farfalla mentre succhia l’amore del vecchio ragno nero.
Entrambi scossi da ritmici movimenti, come in una sensuale, macabra danza, danzata sulla ragnatela della vita.
E si amarono per lungo tempo.
All’ombra del giorno, alla luce della notte.
Poi…
“Lasciami- sussurrò Alibelle, spossata- Ora basta, ti prego… io devo andare… devo nutrirmi, devo volare. La mia vita è tra il cielo e la terra… Liberami, amore mio, ti prego, liberami!”
“Liberarti!?… Oh, no! Sei la mia vita! Se ti liberassi voleresti via da me ed io come farei?”
“Se mi ami liberami da questi fili che mi tengono prigioniera… tornerò da te, te lo prometto!”
“No, lo dici affinché io ti liberi… ma io non ci casco!…”
“Io… io t’amo, t’amo come ho amato mio padre! …Amo i nostri amari amplessi …io t’amo come amo il mio dolore! …E tu, m’ami?”
“Oh, si, certo che t’amo! Sei la mia vita! Non posso rischiare di perderti, capisci?”
“E tu capisci che morirò senza cibo, né cielo, né terra, e ugualmente mi perderai?”
Il vecchio oscuro ci pensò un attimo e decise.
“Va bene, se devo lasciarti libera perché tu viva, lo farò, ma ad una condizione… ti strapperò le ali…”
“No! –Gridò sbarrando gli occhioni verdi- Lascia che io muoia, allora! …Non farmi questo, se m’ami, non farmi questo!”
“Non capisci, è proprio perché t’amo che lo faccio… Non credere che io non soffra quanto te, di questa decisione. E’ come se strappassi carne dal mio corpo, credimi… ma è per il tuo bene… Se starai vicino a me sarai protetta dalle brutture della vita, io sarò la tua unica gioia!…”
Scuoteva la testina, gridava, con la voce rotta dai singhiozzi
“NO! NO! NO!!!”
Quel grido disperato mi accompagna ancora nella voce delle bianche bufere invernali.
Ma il suo nero amante le si avvicinò e con le forti mandibole le strappò prima un’ala e poi l’altra.
Alibelle svenne.
Un liquido bruno sgorgò copioso dal suo corpicino, ormai ridotto uno scheletro.
Si ridestò poco dopo, svegliata da un tormento profondo.
Aprì gli occhioni e vide il suo amore che con le due zampe anteriori, entrava in uno dei due profondi squarci, per attingere il sangue con cui poi si affrettava a scrivere, su una delle ali che le aveva strappato.
“Sto scrivendo una poesia, è dedicata a te. E’ il tuo ritratto disegnato con le parole… dopotutto io sono un poeta, non un pittore… Ti ho liberato i piedini dai fili della mia ragnatela. Ora puoi camminare. Vai verso i fiori, nutriti, passeggia, ma ricorda… sulla terra io posso raggiungerti ovunque, quindi torna prima di sera o ti verrò a prendere e ti strapperò anche le zampe!”
Alibelle fissava il vuoto, non aveva neanche più la forza di piangere.
Le antennine piegate ai lati della testolina.
Rivedeva suo padre, il buio di quella stanzetta- “Il lettino è troppo piccolo per me, vieni qui, su questo panno, staremo più comodi” …E lei gli si avvicinava timidamente, piena d’amore e di fiducia.
E i loro amplessi, quel nettare dolce, dolce e poi i ricatti “Non dire nulla di quello che facciamo qui dentro! E’ un nostro segreto… altrimenti giuro che ti stacco le ali e poi ti abbandono! …E se sarò costretto a fare questo, anch’io morirò, perche tu sei la mia vita, Alibelle…”
E lei non aveva mai detto nulla, neanche quando il babbo era morto.
Non voleva perdere suo padre.
Sussurrò
“Non mi muoverò da qui, morirò di fame…”
“No! …Tu devi vivere, sei la mia vita!”
“Se sono la tua vita, allora, voglio morire…”
“Non posso lasciarti morire così….”
Le si avvicinò, con l’enorme bocca spalancata, schiacciò quel corpicino col suo vecchio corpo pesante e solo allora Alibelle capì.
La stava divorando.
Sentì il suo amante succhiarle avidamente il cuore, i polmoni, tutto ciò che le apparteneva, che era parte di lei..
Come prima aveva fatto suo padre…
Poi, il ragno nero, sazio, se ne tornò a nascondersi sotto la grande foglia, in attesa di qualche altra bella, giovane farfalla, assetata d’amore.
Ed io che avevo visto tutto, non potei trattenermi nel gridare il mio dolore.
E quando grido io, la terra e il cielo gridano con me.
Raccolsi il corpicino svuotato di Alibelle e le sue alucce e la portai via da lì.
E’ tutt’ora tra le mie braccia, non ho cuore di lasciarla al suolo, in balìa delle voraci formiche…
Su una delle sue ali, il ragno ne scrisse il ritratto
“Sei un’anima di carne,
con una lacrima di sorriso sul cuore,
strisci, volando, in un cielo d’inchiostro
alla ricerca della terra dell’oblio.
Eternamente sospesa
tra il nulla e qualcosa di più”…
…Solo due persone erano riuscite a leggere l’anima sanguinante di Alibelle: suo padre ed il ragno nero.
Molto inquietante, tuttavia, bella.
Mi ricorda certi umani, certi loro deplorevoli comportamenti.
Anch’io “urlo” sulla Terra, urlo, perchè questo Mondo, così come lo racconti, e come a volte in realtà, si realizza proprio così, non mi piace.
Un prezzo troppo caro da pagare per la sola colpa di essere, vanesia.
Un saluto.
Sandra
Grazie, Sandra! Gentilissima come sempre! …Alibelle era vanesia ed assetata d’amore, e la sua colpa fu nel cercarlo, l’amore e trovarlo, in persone crudeli, che, riuscendone a leggere l’anima fragile, anzichè aiutarla, la violentarono… Succede, ne so qualcosa…