Ha deciso di lasciarsi morire, il suo comportamento ne dà il sospetto, il suo aspetto lo rende certo. Peggiora di giorno in giorno e a noi non rimane che restare a guardare. Le sue guance, un tempo sode e rosee, si afflosciano ai lati del viso come fichi essiccati al sole. Lo sguardo perso nel vuoto il vuoto riflette. Un tempo loquace ora è chiusa in un secco mutismo, nemmeno i dolori che le torcono il viso le strappano un lamento. Solo qui su questa terrazza, gli occhi fissi sul mare, sembra assurgere a un barlume di vita. E’ questo l’ultimo posto ad averle dato gioia, forse la più grande.

L’inverno finiva e la primavera ridestava luci e colori. Eravamo sedute fuori sul portico a godere delle ultime ore di un pigro giorno, lei si dondolava indolente sulla vecchia sedia a dondolo di vimini sistemata lì da una vecchia zia tanti anni fa. Fra un cigolio e l’altro prese a parlare prima con voce incerta, poi sempre con maggior vigore, quasi rivivesse quegli attimi rievocandoli. Parlava a me ma non con me, sembrava volesse raccontare a se stessa. Entrare così nell’intimo suo mi creò grande imbarazzo, non nascondo di averla giudicata lì per lì alla luce delle nostre convenzioni sociali. Nel ricordare però non posso non ammettere di aver sentito, condiviso quelle emozioni. Non dovrei dirlo lo so ma la sua storia deve avermi cambiata, devo dire che mi sento molto più spregiudicata, libera, in diritto di cogliere le occasioni della vita disdegnando il giudizio altrui. Mi sento più diretta, forse più onesta nei miei stessi riguardi.
Raccontò come si racconta un sogno quando si è ancora in bilico su quella sottile linea che ci separa dal risveglio: “Il vento mi tormenta il vestito da ragazza perbene. Il sole affonda nel mare con grande soddisfazione. Due bandiere si agitano disperate. Io mi maledico: di nuovo qui sono di nuovo qui, pronta ad obbedire come la marea alla luna; ad obbedire al richiamo di un uomo crudele, schiava dell’istinto che mi spinge fra le sue braccia per sottopormi a un torbido incontro. La necessità di soffrire dei suoi impeti violenti non mi dà scampo. L’essere che mi tiene in suo potere non mostra pietà e ogni volta attinge al mio corpo come da una fonte con sprezzante avidità. Ecco la sua deriva entrare nel porto, da questa terrazza sembra non vedermi. La sua imponenza mi mette soggezione. Il mio sguardo è ormai calamitato e un fuoco caldo e violento si fa largo nel mio ventre. Sento il viso in fiamme. Mi vergogno, mi sento una sgualdrina. Fremo. Pregusto il succulento piacere che la sua mano forte provocherà stringendomi il braccio senza riguardo mentre mi spinge verso la nostra alcova con volgare cupidigia. Già sento il suo vorace fiato sul collo. Non una parola, come sempre. Una vaga preoccupazione riguardo la mia reputazione fa capolino timidamente e subito scompare. Mi perdo, voglio perdermi. Mi perdo in quegli occhi feroci, mi sfamo con le sue carni; vivo rinvigorita da una notte di fuoco, da un corpo selvaggio che fa brillare tutti i miei sensi. Paga lascio che mi abbandoni, ancora una volta, così scomposta in un letto che non è il mio, senza un commento, un gesto d’affetto; con la sola certezza che la prossima volta sarà di nuovo tutto così sordido, violento… appagante. Sarò di nuovo sua, pronta a lasciare che calpesti la mia dignità perché me ne liberi. Il vento continua a soffiare, furente scuote il mare. Grosse onde prendono forma come in un largo respiro, alte altissime si aprono in grosse fauci e come un largo braccio passano su ogni cosa per farne tabula rasa.”

Dopo questa onirica rivelazione si assopì e il suo volto d’angelo ricominciò a deperire. Non ho mai capito chi fosse il suo amante né come lo avesse conosciuto ma so per certo che l’ultimo loro incontro fu impedito da una violenta tempesta che fece un solo morto qui nel porto, un incosciente che si era avventurato nonostante le pessime previsioni meteo, uno straniero che nessuno seppe identificare. Questo doveva essere lui; lui che a modo suo doveva averla amata, lui che si spinse fin qui con la sua fragile barca pur sapendo della tempesta in arrivo.

12 commenti su “La terrazza”
  1. Avvincente…
    … e ben scritto.
    Chissà perché ho pensato a “La città degli angeli”, ad angeli che cadono e conservano la loro dignità.
    a

  2. Un bel racconto che si legge d’un fiato… ben scritto e curioso, per me che ho scritto un racconto alla rovescia, vale a dire lui che attraversa un mare in burrasca per andare dalla sua lei… e muore, pur ritrovandosi tra le sue braccia e lasciando al lettore libertà di interpretazione.
    Davvero curioso questo fatto… brava. ciaociao

  3. Anna, grazie.
    La città degli angeli? Uno dei miei film preferiti!
    Gli angeli che cadono conservano, o meglio, acquisiscono dignità candendo perché affrontano la vita, quella terrena, quella fatta di sofferenze umane; accettano la sfida di vivere pur di provare sentimenti umani a costo di dolori che una divinità – al sicuro, lì in alto, tutta intenta a preservare il proprio candore – non sarebbe in grado di sopportare.

  4. Jack, ti ringrazio.

    DEVO leggere il tuo racconto!!!

    Lo trovo qui?
    Cerco.

  5. Francesca, no, non lo trovi… anzi non li trovi, perchè sono due e sono inediti. La traversata è il titolo del primo, ed è a lieto fine… l’altro, quello nel quale il protagonista “forse” muore durante la burrasca affrontata per andare a trovare il suo amore che lo attende nella sua isola, ha per titolo
    Mi svegliai ed ero tra le sue braccia.
    Posso comunque mandarteli, se vuoi… molto curioso che le due storie coincidano con la tua… ciaociao
    mcolosio@gmail.com

  6. Leggerti è sempre un regalo.
    Ormai conosco il tuo modo di scrivere eppure ogni volta riesci ad emozionarmi ….
    Catturi l’attenzione e la porti lontano, in mondi tutti tuoi, magici e indimenticabili, che costruisci così, naturalmente, partendo da chissà quale particolare che tu sola noti ed interiorizzi, rielaborandolo ed elevandolo a piccolo capolavoro narrativo .
    Poche righe in fondo, ma questi due amanti chi se li dimentica più ?
    Speciale! Come sempre!

  7. Un racconto di angosciante fiacchezza morale, dal fascino sottile e voluttuoso; orchestrato con sapiente maestria, affidato a un linguaggio risonante di cadenze poetiche, che in alcuni tratti giunge al culmine di prosa d’arte. Per il suo alto registro più che per un lettore tradizionale è riservato agli addetti ai lavori. Davvero molto brava. Un saluto da Stefano

  8. Grazie ICE.
    Sono due giorni che cerco le parole adatte per rispondere al tuo commento. Riesco a pensare solo a “grazie”. Mi fai sentire come un gheriglio di noce al posto giusto, nel suo posto, nel suo guscio. Finalmente giusta.
    Grazie…

  9. Stefano se mi serve una recensione chiamo te. Giuro!
    Ehm… che intendi con “Un racconto di angosciante fiacchezza morale”?

  10. Significa cedere facilmente, ovvero a Roma si dice “scivolare” nella lingua italiana “precipitare” senza moralità, a Napoli, detto in italiano; facile preda degli istinti altrui. In pratica persona debole senza carattere proprio. ciao ciao. Stefano

  11. Stefano, non c’è nessuna barricata da difendere. Racconto di due amanti che non solo cedono ma sono schiavi di una reciproca attrazione. Non racconto il ratto delle sabine ma di un amore viscerale che non può che esprimersi in modo deflagrante. Non c’è una persona senza carattere o debole ma una donna che ha il coraggio di sovvertire le convenzioni sociali e amare. Amare, nel modo più nudo e scarno, nel modo più puro, in modo assoluto.

    Hai fatto un’analisi molto attenta ma ti sei lasciato sfuggire l’anima e la volontà della protagonista. Forse – e con questo mi concedo una piccola presunzione – ti sei lasciato sfuggire l’anima del racconto.

    Un ciao.
    Francesca Sommantico

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