Una Poesia che canta la vergogna,
un canto che echeggia filantropico
tra le mura di una stanza,
per uno che pensa di non avere nulla
e invece possiede tutto.
Come una barca che non conosce porto,
come un’onda che cerca la riva,
cercando quiete il vento
infiamma le strade che piangono vita.
Come se la morte fosse già arrivata
e, incastrandoti tra le sue braccia,
avesse condotto la tua anima
a pensieri più elevati e servili.
Un orologio carico per l’eternità,
che non conta i secondi perché
conosce il segreto dell’infinito,
e una mano che ti sfiora il petto,
piangendo un attimo che resterà
impresso nella memoria del mondo,
nella coscienza degli uomini
e nel futuro di un’umanità spaventata.
Non potrò mai scordare la sensazione
Che provai quella primavera,
quando il cielo prese fuoco
e intonò le note di quella Poesia
che canta le vergogne più immorali
sottoforma di inni esistenziali.

 

Un commento su “Una Poesia che canta la vergogna”
  1. Sì, certe sensazioni non si dimenticano e diventano artisticamente produttive nella forma liturgica di “certe” Poesie intonate in uno sforzo del verso, al di fuori della vergogna-che l’uomo ha in odio e che invece è- sintesi ineloquente di un’umanità frivola ed indifferente. Ciao, Greta

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