Primi giorni di gennaio. Mercato settimanale in una città di provincia. Un vento che ti porta via i pensieri. Visi scuri mettono via la troppa merce invenduta senza nemmeno più la voglia di lamentarsi, senza nemmeno più alzare lo sguardo sugli ultimi passanti.

“Tutto a 1 euro ma anche a 0,50”

Libri, libri usati o invenduti.

Trovo un’autrice consigliata da un’amica; il titolo citato, per darsi delle arie da uomo vissuto, da un amico; un libricino ricopiato parola per parola da un non più amico (non lo prendo); il consiglio di lettura di chi sa di un’epoca che non ho vissuto.

E prendo, prendo titoli familiari all’orecchio e qualcosa che da tempo stuzzicava la mia curiosità.

Riconosco alcuni autori per ridondanza, non per cultura, e prendo anche questi. Sono una lettrice senza direzione, leggo ma senza meta.

Pedro Salinas “Vigilia del piacere”. Ottanta pagine circa, un librettino stampato nel ’74. Si potrebbe leggere di un fiato eppure le pagine sono ben accostate, solo il primo capitolo deve essere stato letto, un’occhiata al finale, per il resto è immacolato.

Ho pagato cinquanta centesimi e mi sono portata a casa un biglietto per sognare: fra le pagine c’era un biglietto del treno NAPOLI – ROMA TERMINI, andata e ritorno.

È quasi una settimana che lo rigiro fra le mani, l’annuso come se il profumo potesse rivelarmene la storia.

L’interrogo sperando che mi parli del proprietario, di quella giornata, di quella giornata da novemila e quattrocento lire.

30/07/81

Perché quel piccolo viaggio? Perché un ritorno? E soprattutto chi, con quale bagaglio di sogni?

Sul libro non un nome, non una dedica, niente attraverso cui si possa risalire al più piccolo particolare. Niente!

Non so perché questo biglietto sta diventando un dolce tormento, una così accogliente ossessione. Non faccio che fantasticarci. “A che pensi?” mi si chiede quando sono particolarmente assorta, “A  niente”, rispondo, ma è a questo biglietto, che ora ho fra le mani, che penso. Mi sembra così stupido dirlo, e così rispondo “A niente”.

È un biglietto per un volo di fantasia e io ho deciso di spenderlo oggi.

 

Anna è un paio di occhi.

Tutto lì. Anna si può riassumere in quel paio di occhi. Non c’è molto da dire sulla sua vita se non dei suoi occhi. Occhi che hanno guardato a lungo la vita senza mai tuffarcisi dentro.

Anna è una spettatrice della vita, anche della sua.

Anna vive le vite degli altri e qualcuno vive la sua. Da qualche parte, è sicura, c’è qualcuno che sta vivendo la vita che sarebbe toccato a lei vivere.

Tutto quello che ha è un balcone a cui affacciarsi per vedere la vita che scorre. Ha ridotto il suo mondo all’appartamentino di provincia che le tiene insieme quel paio d’occhi e quel corpo che si trascina dietro.

– Pronto? No, ha sbagliato numero.

– No, non ho sbagliato numero. Sono io.

Gli occhi di Anna rimbalzano vivi e vivaci in quelle orbite spente, vorrebbero strapparle la cornetta dalle mani e rispondere al posto delle sue labbra spente. Ma lei mette giù.

Quanti anni sono passati? Troppi. Anna si rifiuta di ricordare ma quegli occhi sono un tumulto sul viso scarno. Urlano, le urlano nel cranio ma Anna lascia che la vita scorra.

Seduta sul bordo del letto, immobile, guarda la luce di fuori invadere la stanza come se la vedesse per la prima volta.

Ancora il telefono.

Resta immobile.

Squilla più e più volte occupando interamente la casa con il suo trillo ma lei resta immobile.

Finalmente smette. Lei resta immobile. La testa si china, sembra un automa spento.

Il trillo! Di nuovo!

Gli occhi si riaccendono improvvisi e allarmati. Se non si sbriga a seguirli rischia chele cadano dalla faccia. Si alza piano, come se fosse rimasta immobile per anni in quel torpore.

Trilla! Trilla insistente il telefono.

Ancora quella voce – Anna, non ti ricordi?

– Si…

Gli occhi hanno finalmente preso un primo possesso sulla sua bocca che finalmente risponde ai loro comandi.

– Vieni a Roma

– No

– Ti prego!

– No

– Vieni, ho bisogno di te.

Quelle parole, quelle parole…

Le parole che avrebbe desiderato sentire tanti anni prima. Le parole non dette, quelle che spensero la sua vita, ora le pungono il cuore, sono lì, da sempre desiderate e inarrivabili, ora sono lì.

Un leggero calore dal centro del petto comincia ad irradiarsi e piano si propaga, dolce, languido, fino a restituire una parvenza di vita sul pallido viso di Anna.

 

– Dove vai?

– Vado a una mostra… una presentazione… a trovare un’amica, non la conosci… Devo andare!

 

Un sussulto al primo muoversi del treno. Sta partendo o non sta partendo?

Un fischio.

Sto partendo o non sto partendo?

Come svegliandosi dal letargo, piano, il treno comincia a muoversi e il cuore di Anna batte di nuovi battiti. Battiti perduti e ritrovati nel fondo di un’anima nascosta negli anfratti di un corpo triste.

Una fiamma sul viso sale a darle colore, più avanza il treno e più lei si trasforma. Sembra nuova, anzi, vecchia, la vecchia Anna che torna a nuova vita.

Il treno avanza e avanzano immagini dal finestrino. Avanzano troppo in fretta, deve chiudere gli occhi, quegli occhi così indomiti ora sono stanchi, stanchi per la fatica, lo sforzo compiuto per mantenere accesa quella fiammella di vita che ora consente ad Anna di riaccendere il fuoco che le sta permettendo di avanzare.

I battiti del suo cuore sono di una potenza tale che è quasi sicura che sia quella la forza motrice a spingere il treno.

Cerca un modo per calmare quella furia nel petto. Ha un libro con sé, “Vigilia del piacere” di Pedro Salinas. Lo apre, ne legge qualche rigo: “Passò due ore leggendo. Accanto, sul sedile, stava il libro, chiuso. Un libro dai caratteri chiari, dagli ampi margini, l’argomento intricato e seducente, uno di quei libri che si comprano in una giornata d’inverno pensando di leggerli la sera stessa accanto al fuoco, ma che poi, alle prime righe, si capisce che sono stati scritti per altro luogo e altra stagione: per una sera chiara di viaggio, e che soltanto così ci daranno un piacere spremuto fino in fondo, saporoso. Benché poi succeda che nel viaggio cui il libro era destinato ci s’imbatta in un compagno dalla conversazione facile e il tempo se ne vada in chiacchiere, mentre il libro giace abbandonato sui cuscini, disatteso il grido giallo e pertinace della copertina, come una vergine negletta. Così successe quella volta: le due ore di lettura passarono senza libro davanti, gli occhi fissi al cristallo”.

Incapace di continuare lo abbandona sul sedile.

Troppo stanchi, quegli occhi non possono andare avanti. Non le resta che coprirli con una mano e guardare i suoi ricordi: Lui era lì, figuretta gentile, seduto al bordo del letto.

Lui era lì, c’era come se ci fosse sempre stato. Testa china, sguardo distratto seppure malinconicamente allacciato ad un pensiero lontano.

Il moto di tenerezza che la sorprese nel lampo di un volgere d’occhi ne alterò il passo facendone quasi un inciampo. Poteva giurare di aver perso un battito del cuore vedendolo lì che l’aspettava.

La luce della stanza era fioca o lei lo avvolgeva di un’aura dorata, non saprebbe dirlo adesso.

Alzò gli occhi a guardarla come distolto dall’incanto. La dolcezza con cui l’accarezzava con quello sguardo è ancora conficcata come spine di rose nella sua pelle.

Da un mondo all’altro sembrava essersi catapultato con quel lieve movimento della testa. L’espressione del viso si sforzava d’adattarsi e a fatica pian piano diventava sempre più presente.

Via via che lui si faceva più concreto nel mondo racchiuso in quella stanza, Anna sentiva crescere l’imbarazzo. Non era nuda, non ancora ma davanti a quell’uomo sentiva che non offrivano protezione gli abiti che indossava.

Uno, due, tre passi, coprì in fretta la distanza che la separava da lui con un istinto che le imponeva di avvicinarsi per offrire meno superficie possibile alla vista dei suoi occhi. Ora viso a viso, credeva che lui la vedesse meno ma adesso si sentiva “vista”. Quegli occhi silenziosi non la guardavano, l’analizzavano; ora una pupilla, ora l’altra, con una calma sfacciata e tenera insieme.

Non poté fare a meno di calare lo sguardo e fu in quel momento, in quel preciso momento che si sentì nuda, completamente nuda. Quella nudità le liberò le braccia che si sciolsero in abbracci, la sua bocca fu libera di accogliere il bacio di lui e le sue labbra erano casa, vita, spumeggiante dolce mosto leccato a fior di dita.

Nuda era già nuda, così non fece differenza che lui l’aiutasse a liberarsi del vestito.

I suoi seni sulla la sua pelle candida, l’odore di lui finalmente nelle sue narici, un bacio ancora, parole indistinte e poi le mani, le mani…

Fu notte e giorno, giorno e notte insieme. Fu la sempre luce che splende nelle notti più buie, quelle dell’anima di Anna. Fu quella luce divorata con ansia che nelle notti a venire Anna dovette imparare a dosare con parsimonia per sopravvivere.

Fu il compimento del giusto a dispetto della ragione.

Furono due anime che scelsero quei corpi per una sera, una sola, forse l’ultima.

Quando si separarono Anna sentì che una parte intensa l’aveva abbandonata e non si posava in lui. Sentiva che quegli occhi non avrebbero più cercato nei suoi la presenza fugace che ora non sentiva. Sapeva che entrambi avrebbero vagato ancora alla ricerca di quel momento di grazia, quel momento di perfezione che in quella luce dorata li aveva visti strumenti e protagonisti di un amore più grande, un amore che di certo a loro non apparteneva.

Asilo d’anime avevano fuso e confuso i loro corpi e ora non erano più gli stessi. Anna lo salutò con un gesto della mano e lo vide diverso, lontano, quasi un addio fatto persona.

Un fischio acuto la riporta alla realtà, il treno è entrato nella stazione. Un tremore convulso si impossessa del suo corpo, fa fatica a respirare.

A fatica si alza e si avvia a scendere. Pochi passi ancora.

Cosa si aspetta? Cosa l’aspetta?

Il piede finalmente al suolo, cammina a fatica. Una figura in lontananza, familiare. L’immagine di un ricordo ora reale.

Quegli occhi pieni di pagliuzze dorate ora nei suoi. Un abbraccio tremante.

– Resta.

– Il  libro, l’ho dimenticato sul treno.

– Resta.

Un bacio, ancora e sigillo.

Il coraggio di restare, il coraggio di tornare a vivere.

3 pensiero su “Napoli – Roma”
  1. L’importanza di restare esprime il coraggio di vivere.
    Un bel coraggio.
    Non tutti ce l’hanno.
    Come sempre il tuo modo di scrivere affascina.
    a.

  2. Restare ancorati richiede uno sforzo maggiore che mollare gli ormeggi; implica razionalità e sentimento e quel “coraggio di vivere” che, come dice Anna, non tutti hanno. E quando manca quel coraggio di vivere, le conseguenze sono sempre disastrose.
    Un saluto per voi.
    Lucia

  3. Un racconto veramente ben scritto, complimenti.
    A volte capita di trovare oggetti e di chiedersi la storia che nascondono, ma la risposta migliore è sempre quella che diamo grazie alla nostra fantasia.
    Mi è piaciuta molto l’idea che ogni libro è destinato ad un viaggio ed è un dispiacere che questo venga lasciato da parte quando viene il suo momento. Quel passaggio non viene più letto, quell’immagine non è più vissuta.
    Ancora complimenti. Un saluto, a presto.

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