C’era una volta un cervo ferito, abbandonato sul ciglio della strada. A morire da solo. Non cercava più nemmeno pietà, l’animale. I suoi occhi, arresi. Nessun rumore. Solo una pace apparente e silenziosa. Nemmeno il bip di una macchina da ospedale per quegli occhi color nocciola. Non canta l’ultimo canto. Tace e con lui tace il mondo. L’universo non sospira più.
La zia Giovanna sul limite della sua solitudine. Balla di un’allegria che Cervo non ha mai conosciuto. Figlio triste di mamma triste. I rumori, i colori, i sapori del suo passato son chiusi sull’isola che ha lasciato, suo malgrado, cervo triste trasportato lontano da una mamma triste.
Alle sei del mattino fervono i preparativi per la cerimonia nuziale. Non deve esserci nemmeno un granello di universo in condizione di sfuggire all’ordine necessario per l’investitura dell’amore. Se Cervo non canta canterà la zia, ancella per un atto che non è mai stato nella sua volontà, ma solo nell’ordine del mondo apparecchiato da altri per lui.
Susanna ha capelli sottili e morbidi. Non sono abbastanza per niente. O almeno questo è il parere della zia. Lo dice spesso anche Gustavo che i capelli di Susanna son tristi quasi quanto lei. Ma che vuoi fare? Non si comanda ai capelli, così come non si comanda ai capricci della vita. Figurarsi a quelli di zia Giovanna. Non ha voglia di ballare, Susi, mentre gira su se stessa per farsi guardare dalla zia. Non ha voglia di sorridere mentre sorride per la zia. Un punto dell’orlo è sfuggito e adesso sarà un grosso problema rimediare a questa insubordinazione. Possibile che non abbia alcuna volontà sua, personale, a condurla lì o altrove? No, Susanna non vuole. Molti altri hanno voluto per lei. E’ comodo, pratico, poco pericoloso. Perché dovrebbe affrontare i flutti della volontà? No. E’ così rassicurante star lì a farsi coccolare da volontà altrui. Pefino la violenza di quei desideri non suoi la rassicura.
-Susi, non così. Strapperai l’abito. Più piano-
-Si-
-Non sei felice tesoro?-
-Si, molto-
-Mi sembri triste. Qualcosa non va?-
-Niente-
Inciampa mentre gira su sé con poca grazia. Non aveva mai visto tanta disperazione Susanna. Nemmeno la morte della madre le era sembrata così difficile da affrontare. L’abito è strappato e l’ordine è rotto, irrimediabilmente. Nessuna sarta potrà mai arrivare in tempo e la tragedia si consumerà senza soluzione.
-Susi, ti rendi conto di cosa hai combinato?-
-Ho strappato l’abito zia-
-E’ molto peggio di quel che sembra-
-E cosa sembra, zia?-
Da anni Susanna non beccava uno schiaffo così ben assestato. Il dolore si nasconde tra le pieghe di una memoria lontana. La bambina triste e sola sta per cantare. Il cervo morente sta per balzare dritto sulle quattro zampe sottili e forti.
-Fallo ancora e ti uccido, zia-
-Susi!-
-Non ho intenzione di scusarmi. Ho ragione-
-Non ti permetto…-
-Mi permetto da sola-
-Ma… Susi…-
-Respira. Potresti avere un infarto-
La cerva ha scoperto il cinismo che serve a sopravviverle? O forse è un semplice ultimo canto prima di arrendersi definitivamente alle braccia della zia volente. Credo sia ultimo canto. Non è nella natura di Susi muovere la tale energia che serve all’autodeterminazione. Meglio lasciarsi cullare dall’affetto totalitario di una donna priva di se o ma o forse. Quel che ci vuole per Susi è proprio questa assenza di dubbio.
-Scusa zia, è che sono un po’ nervosa-
-Prego-
-Mi dispiace-
-Che non capiti mai più-
-Non capiterà-
Sorride Susanna alla sua carceriera affettuosa. E lei se ne sente rassicurata. Ancora un attimo priva del proprio assoluto dominio e l’infarto l’avrebbe avuto di sicuro, la zia Giovanna. Eccola che riprende tra le manine le sorti del mondo e sgambetta per la stanza come una piccola Atlante che si impegna senza sosta. Le forbici, il filo, il ditale di metallo, aghi, roselline di tessuto e ancora le piccole mani di zia Giovanna a farla da padrone nella vita di Susi.
-Quanto manca?-
-Poco meno di un’ora-
-Non ce la faremo mai-
-Fallo alla meno peggio, zia-
-Ma come hai fatto a diventare così…-
-Così..?-
-Lascia perdere e smetti di muoverti. Non riesco a lavorare se non stai ferma-
-Smetterò anche di respirare se è necessario-
-Quanto manca?-
Ma chi c’è lì nell’angolo ad osservare la scena in silenzio? Una testa di capelli si muove leggera dietro al paravento a fiori? Si, capelli lunghi e scuri e spaventati, si direbbe. Il cervo sa che lei è lì, nascosta al suo angolo. Sa bene, Susanna, che al mondo ognuno deve occupare l’angolo giusto, come sa altrettanto bene che il suo e quello della cugina sono angoli perfetti, adatti a entrambe come un guanto della giusta misura si adatta alla mano che lo calza abitualmente. Fiorenza, che nome strano per una bimba che non ha mai emesso suono. E’ Fiorenza quella testa di capelli di seta grossa che si muove dietro al paravento dipinto a fiori, rosso e turchese. Il cervo controlla il gatto con la coda dell’occhio, ma il gatto controlla il cervo con entrambi gli occhi e non la perde di vista. Mai.
-Flor, va a prendere altro filo di là-
Flor, la chiama zia Giovanna. Anche se al gatto non piacesse il suono di quel nomignolo non potrebbe ribellarsi. Il gatto non ha mai parlato. Era il cervo a parlare per lei, ma non credo avesse mai indovinate le parole giuste. Il pensiero del gatto stava al suo angolo, mentre gli occhi nocciola del cervo avevano il loro di angolo, privo di scosse che Susi non avrebbe potuto sopportare. Tra i due angoli immobili, al centro dell’universo, stava zia Giovanna, la gallina.
Come farà adesso Fiorenza senza le parole sbagliate di Susanna, senza quel pensiero falso che era abituata a sentire come suo. Chi darà voce al silenzio del gatto quando il cervo si sarà lasciato morire? Chi potrà distrarre l’impeto della gallina dall’immobilità, che odia e dal silenzio, che odia ancor di più?
-Flor! Sei diventata sorda oltre che muta?-
Fiorenza attraversa la stanza senza produrre alcun genere di rumore. Più silenziosa del silenzio stesso è di ritorno in un attimo. Porta filo a chilometri. Tanto filo che zia Giovanna non potrà finirlo nell’arco di una vita.
-Quanto manca?-
Cinquanta, descrive Fiorenza con le dita. Prima una mano aperta e poi lo zero con pollice ed indice a fingere un cerchio. Si acquatta ai piedi della pedanina di legno, Flor. E Susi sorride al gatto, un sorriso tra il compatimento e la tenerezza. Il cervo sa che rimanendo lì sul ciglio della strada condannerà a morte anche il falso miagolio del gatto. Ma è l’unico miagolio che Fiorenza abbia mai avuto o conosciuto.
Uno strappo sotto la manina troppo nervosa di zia Giovanna e la gallina impazzisce. Un coccodè di rabbia in giro per la stanza, irrefrenabile.
-E’ ridotto ad uno straccio quest’abito-
-Ancora un po’ di pazienza zia-
-E’ impossibile finire per tempo-
-Vedrai che ce la fai. Non ti sei mai arresa di fronte alle difficoltà-
-Non questa volta-
-Respira forte e vedrai che va tutto bene
Il coccodè cresce e il movimento della gallina diviene una danza circolare. Schizzano le gocce di sudore dalla fronte di zia Giovanna. Il gatto torna all’angolo e respira piano. Gli occhi fissi sul cervo che prova ad alzarsi ancora.
-Vieni qui, Fiorenza-
Il gatto scivola leggero fin sotto ai piedi di Susi vestita di bianco. La guarda. Rimane in silenzio come il primo giorno che vide il mondo e se ne innamorò comunque.
-Va a chiamare la signora Lina. Dille che è urgente, anzi urgentissimo-
Fiorenza fa un cenno di sconforto con capo e spalle contemporaneamente.
-Oddio, devi scusarmi. E’ l’agitazione che non mi fa ragionare-
Fiorenza risponde con un minuscolo sorriso interrogativo, mentre il coccodè cresce e capirsi diviene molto più facile nei gesti che non nelle parole.
-Prendi carta e penna e ti preparerò un biglietto-
Il coccodè è quasi arrivato al paradosso e il gatto si dilegua per riapparire con carta e penna nel giro di pochi secondi. Il cervo rischia di cadere dalla pedanina tanta è l’agitazione che la zia Giovanna le sta trasmettendo. Scende e siede leggera sulla stessa pedanina sulla quale un attimo fa posava i piedi scarni.
-Così oltre che strappato sarà anche sporco-
-Non avevo scarpe zia. Non può sporcarsi-
-Lo dicevo io che sarebbe andato tutto storto oggi-
-Respira zia, non dimenticartene-
-Mi prendi pure in giro, eh!-
-Questo è per la signora Lina. Corri, Fiorenza, e non fermarti finchè lei non sarà qui a riparare il vestito-
Lo diceva lei, la gallina, che non avrebbe mai dovuto accettare di occuparsi di due esseri così strani. Ma chi gliela avrà mai fatta fare a star lì a combattere con i mulini a vento. E cocco cocco cocco cocco cocco dè.
Quando è arrivata la signora Lina, il dolce ippopotamo dei quartieri alti, non ha potuto trattenere le lacrime. Per quanto ci abbia provato quelle scendevano a fiumi, vivendo al di fuori della sua volontà. Erano così grosse che facevano rumore di temporale nel cadere. E mentre quelle cadevano gli enormi occhi dell’ippopotamo giravano per la stanza. Si direbbe che volassero sopra la scena.
Fiorenza ha preso a miagolare e quel suo primo miagolio ha assunto la veste di un pianto, quasi un vaggito, forse solo un po’ più adulto.
Il cervo era lì sulla pedanina che aveva già la morte negli occhi, come sempre. Eppure respirava ancora.
Il cocco cocco cocco cocco cocco dè rantolò ancora per un attimo e la gallina divenne il tonno nella tonnara. Ancora un colpo di coda o forse due. Un ultimo cocco oc co dè e basta. Silenzio della gallina.
Le lame avevano perforato il polmone destro, ma si era trattato di un brutto incidente. La zia Giovanna cadendo con le forbici in mano…, ma questa è un’altra storia che a nessuno è dato conoscere. Il micio miagolò, la gallina morì, l’ippopotamo pianse e il cervo scappò. Il resto non è mai importato a nessuno.
Mi è piaciuto molto. Scorrevole, originale, in crescendo. Intriso di amara ironia. Con un finale che… uccide. O forse no. Ciao!