L’indifferenza di questo litorale d’inverno possiede il romanticismo più surreale del mondo, punteggiato di messaggi da decriptare e di conturbanti atmosfere ambigue e profetiche.

Adesso la spiaggia è spoglia e sul volgere della notte, quando le ombre sono più dense e cariche d’anomali presagi, ecco che arrivano i nuovi visitatori.
E’ l’ora che preferiscono.

I motociclisti annunciano la loro apparizione con una fanfara di valvole aperte e tracciano un percorso tra le dune con lunghe raspature di sabbia, sfrecciando ad una velocità supersonica.
Sono tutti bellissimi, con sciolti capelli che svolazzano al passaggio, come ali elastiche di silfo.
Indossano giacche di pelle irte di borchie e in materiale idrorepellente e stivali con la punta tonda, in membrana impermeabile.
Loro sono incredibilmente neri e scarabocchiano nella sera brillanti geroglifici di luce con i fari sfolgoranti delle moto.
Soprattutto nelle notti come questa, dove il paesaggio è straordinariamente bruno, erompono con i loro mezzi traslucidi, dalla gran placca metallica liscia e blu del presente limite confine.
Sono uomini diversi, che vivono nei territori delle tenebre…

…La sabbia è quasi bagnata e scura, più cedevole del cioccolato fuso e posarvi sopra i piedi è come camminare nel regno audace ed empirico che governa la mia fantasia smodata.
Da esperta manipolatrice di situazioni esaltanti, stempero la mia solita cucina di chimica ionica, con condimenti semiotici ed altri intrighi mistici.

“Ehi, attento!”.

Negli ingredienti miscelo anche la sapiente profezia.

“Caduto!”.

Lo raggiungo, mentre gli altri sfrecciano avanti senza nemmeno accorgersene.

“Tutto bene?” esordisco languida e sorniona.

“La caviglia, mi fa male”.

Accasciato a terra, si toglie lo stivale: ha un arto superbo, magro scattante e se lo tocca con mani divine, snocciolando una fitta scarica di formule imprecatorie.
E’ ferito ma non presenta lesioni sanguinanti.
La seduzione morbosa dell’oscura malattia comincia ad agire nei miei dedali reconditi: i nervi fremono in sintonia col mio spirito compulsivo.
Avverto un dispiacere crudele e personale nell’esaminare i suoi sintomi.
Da sottile stratega, abile, audace ed empirica, mi affretto a dire:

“ E’ urgente un vigoroso cataplasma, emolliente e sedativo”.

Lì rischio tutto.
Lui, per reazione, fa un rigurgito improvviso per una fitta acuta, mentre gli afferro quella palma splendida ed inquieta che si struscia l’astragalo benedetto.
Masticare brame amare e sentire il guizzare audace che si fa vivo e batte sulle tempie.
Impregnarsi d’oblio, d’amore, d’arte e d’ogni passione.

“Ne sei sicura?”.
“Certo!”.

Da gran sofisticatrice di cose astruse e sempre sfrenata in ogni senso: confeziono stravaganti balsami e unguenti, per rallegrare la mia passione libertina.

Lo guardo, prima lui poi il suo piede.
E’ come un samurai, con la corazza d’ossidiana, spolverata da mille granelli di sabbia.
Questo gonfiore sulla gamba ha un carattere crudele e perverso, da vivere con supplizio ed orgoglio.
Alla vista di quelle nervature sofferenti mi ritrovo subito srotolata come un lavoro a maglia.
Sono già piena e sommersa da una dolce pietà fisica che si trasmuta sotto la mia gonna in un’estatica ondata di ricca linfa.

Lui è piegato, quasi disteso.
Pallido, aggraziato e pervaso da una smorfia di dolore.
E’ succube, in mio possesso. Io sono la sua unica salvezza.
Nessun suono disturba quest’aria pregna e indecifrabile, tranne il dolersi per quell’arto che soffre e si dilata.
Una piega aspra gli contorce la bocca e fa tremare le guance, vedo il pomo del collo comprimersi e sporgersi e il calore umido della bocca addensarsi ed aumentare il volume delle stesse labbra.
C’e’ un trasporto incontrollato nei lamenti e nei gesti che lo involgono, gli occhi che brillano di timore ed io non posso far altro che graziarlo con parossismo gentile e pietoso:

“Vieni nella mia auto, ho la cura per te”.

L’ abitacolo rosso, fresco e ammaliante, è sempre sparso di mille petali di fiori ed altre piante, con lo stelo peloso e appiccicaticcio. Tra le altre l’elleboro, toccasana per le giunture e i nodi, oppure la belladonna, spasmolitica ed antagonista al tremor.
Il mio talento confina con l’ineffabile: un delirio che non deve essere trasmesso, la parola che non può essere detta, il confine che non sarà mai controllato.

Lui è di materia malleabile, ed io sola esecutrice di un desiderio.
Uso le mie pomate per eseguire capolavori di boudoir di svirgolate orgasmiche in una dimensione mitica e medicamentosa.
Per tutti gli uomini questo è il pane benedetto e un bacio lascivo sulla bocca; il sacramento rivoluzionario della mia creatività alternativa.

Ben presto ho un successo esagitato.
L’impacco rigenera ed io mi vedo a cavallo dell’ippogrifo, con il vento in faccia, sento lo stridio del serpente che s’anella su per la mia mano assaporando la pienezza elastica.
L’occulto si rifiuta di restare tale, l’indicatore dell’esaltazione crede di essere al sicuro nell’ombra, ma la sinapsi del cervello pensante mi riconduce alle solite brame.
Posso essere rintracciata, scoperta e identificata.
Raccolgo l’omogeneizzato e lo sfrego sulla formazione ipertrofica, lo stimolo fremente dei polsi esplode in visione madreperlacea.
Il desiderio espresso si coagula e s’irrigidisce in forme vigorose ed il martirio diviene linfa, incrostandosi di poltiglia dolce e pregnante di fantasie che proliferano cospicue, come le mie medesime erbe mediche, disseminate oramai ovunque.

Ho il corpo in fiamme, allungo la mano e afferro i suoi glutei, attirandolo a me per penare meno.
Sento le nudità del mio corpo sotto i vestiti, il cespuglietto timoroso strusciare contro le mutandine di seta.
Oramai il calore dell’eccitazione ha cauterizzato il dolore e lui sente dentro un’esigenza nuova.
Posso compiere il mio peccato e liberarmene, lo tengo in mano finché non mi brucia il palmo fino all’osso. Lo sento grosso e duro, pregusto il sapore del suo liquido sulla lingua e poi sulla ferita.
La pelle si compatta e lui si redime.

Osservo la metamorfosi e l’inquietudine che si tramuta in sollievo.
L’oscurità è diventata luce.
Il nero è ora soffuso di viola, blu oltremare, celeste, cremisi, sfumature di rosa e bianco candore.

E’ sceso dall’auto: statuario, bel culo, gambe meravigliose, capelli corvini, occhi lucenti.
Sguarnito, scoperto e gentile.

Il Biker è salvo…

Presto ripartirò per una fresca raccolta di fiori, zigzagando fiduciosa intorno al mondo; secondo la mia dottrina alchemica, audace miscuglio di Natura, Corpo, Spirito e Anima.
La panacea universale che non ha mai tradito, l’operazione fuori del coro, per raddoppiare i mezzi materiali ed avere dieci, cento, mille e più possibilità diverse…
L’estremo saluto.

Una luna prostrata e marittima, velata da una patina di tinta lavanda, lascia calare pochi fievoli raggi sulla prima aurora, mentre la mia preda si allontana rombante verso una nebulosa opalescente, sospesa lassù, nell’intessuto colore indaco dell’orizzonte.

Greta RG

Un pensiero su “Panacea”
  1. ottima la vis comica di questo racconto.
    letto tra le righe vede la protagonista, sciamana, che se ne va in giro a raccogliere erbe.
    incontra un centauro, non quello mitologico, un altro, concreto e piacente, che cade dalla moto sulla spiaggia.
    la sciamana che era lì a guardare la luna (mi chiedo, infatti, se possano esserci erbe sulla spiaggia, ma forse la tizia porta solo a spasso il suo cestino come Cappuccetto Rosso che in un’altra favola faceva un brutto incontro col salumiere, ma forse ricordo male) si prodiga in massaggi al povero infortunato, accogliendolo sulla sua auto piena di petali profumati.
    grande lavorio medicamentoso.
    lui scende dall’auto.
    la sciamana parla di un bel sedere, ma non ci dice (già che c’era) se il miracolato, dopo tutta quella seduta taumaturgica, aveva il famoso sedere e le altre minutaglie sub-ventrali piene di gambi pelosi (appiccicosi?), petali di fiori e (immagino) semini di vario genere.
    a questo punto:
    -da moglie e madre di uomini che vanno in moto sono contenta di aver sempre raccomandato loro di chiamare, in caso di necessità, il 118;
    -da sfegatata consumatrice di tisane e prodotti naturali, mi vengono ora dubbi sulla provenienza degli stessi e se l’igiene è sicura e sempre al top;
    -da donna mi spiego ora perchè non mi siano mai capitate le avventure che racconti: viaggio sempre in macchina normalmente pulita e con un coltellino svizzero sempre in tasca!
    brava greta, questa volta un modo diverso di narrare (anche se sempre per il solito pubblico adulto).
    ciao

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