Martha aveva quasi diciott’anni, quel giorno che la conobbi. Io ero più piccolo di lei; un paio d’anni e molta esperienza in meno, specialmente in materia di sesso.
Mi avvicinai titubante. Mi avevano detto tutti, anche Bruno del quale mi fidavo, che lei era brava a baciare e non negava a nessuno un bella limonata alla francese, completa, con le lingue in bocca come fanno le tortore. Non dovevi far niente: solo chiedere e farti baciare. Le mani dovevano star ferme.
«Ah, sei tu… strano» disse quando le fui vicino.
Chissà perché mai lo disse, strano.
Lei era stesa sull’erba del campetto di calcio abbandonato, quello dietro la croce, in mezzo ai campi di granturco. Era la sua posizione. Dovevi stenderti accanto, dirle vorrei baciarti, e la cosa era fatta. Io non la conoscevo, e nemmeno di quale famiglia fosse, e mi parve strano che lei invece sapesse chi ero e come mi chiamavo. Non sapevo che dire, e mi tremavano le gambe per l’emozione. Credo si capisse in che stato confusionale ero.
«Mi conosci?» seppi solo dire.
«Certo, e chi non ti conosce in paese» disse lei mostrandomi i denti bianchi circondati da quelle labbra rosse e piene. Aveva un neo all’angolo della bocca, e gli occhi a mandorla, scuri. Sembrava orientale, nell’aspetto. Anche i capelli erano neri, setosi e lunghi come quelli delle orientali, appunto. La pelle invece era bianca, liscia.
«Mi hanno detto i tuoi amici che sei timido, e non hai mai baciato una ragazza. E’ vero?» aggiunse facendomi segno con la mano che batteva sull’erba, di fianco a lei, come a dire che potevo accomodarmi.
Ricordo che divenni rosso in viso: ero timido davvero. Ma non per altro, è che non mi piaceva essere studiato, valutato. E quella del bacio a me pareva proprio una prova, un esame, più che un gioco. Non avrei mai potuto sopportare che non le potesse piacere; nel dubbio avrei rinunciato. Ecco perché ero timido… queste cose gliele dissi, in un modo o nell’altro, e lei rise. Forse anche perché divenni rosso, come al solito. Uno scherzo dell’emozione, e il cuore che batteva più del dovuto. Non ho mai capito perché il sangue mi venisse pompato proprio in faccia, e sulle orecchie. Mah… mistero.
«Dopo che mi avrai baciato non lo sarai più, timido. Io sono una maga, e le curo queste piccole malattie dei maschi» disse lei carinamente.
Mi sistemai al suo fianco, nascosto dalle fronde generose del gelso che proiettava la sua ombra verso di noi, quasi fosse nostro complice.
Lei era spudorata: non aveva intenzione di nascondersi, anzi. Mi sa che il suo gioco era proprio quello di esibirsi.
Forse era una che un bel giorno avrebbe potuto dire:
«Lo vedi quello lì, il grande professore, o quell’altro che è diventato sindaco, o il capo dei vigili? Ecco, io li ho baciati tutti. Anche il dottore…»
Ma forse era una che aveva semplicemente una passione tutta sua per il bacio, anche se non c’era amore in quella stupida cosa che facevamo. Stupida, ma a me piacque. E quasi mi innamorai, di Martha. Ma quello avvenne dopo qualche tempo.
Tre giorni dopo, alla solita ora, tornai al Santuario della Madonna di Valverde, dove c’era il campetto abbandonato, e sentivo il cuore battere forte nel petto. Mi mordevo le labbra nervosamente, e le sentivo turgide, piene di voglia. Sentivo che dentro di me si era guastato qualcosa, s’era come rotto un vaso e non ero quello di prima.
Passato il cancello, che era sempre aperto, scartai a destra di colpo e la bici slittò sullo sterrato. Mi ritrovai per terra, di fronte al gelso. Lei non c’era. Mi sentivo perso ed avvampai ancor più del solito. Mi pareva di essere osservato, anche se in giro c’era solo qualche ragazzino che giocava, e un paio di cani randagi.
Rialzai la bici e la ispezionai per bene, per vedere se era rotta. Ma non so cosa guardavo, era tutta scena, la mia. Pensavo a Martha, come negarlo. Avevo tenuto dentro la voglia di baciarla per tre giorni ed ora avevo la netta sensazione di essere stato tradito. Ma era un’idea senza logica.
Tornai a casa, dopo aver girato avanti e indietro piano piano, nella speranza di vederla all’ultimo momento. La fontana, quella al centro del piazzale, l’avrò doppiata almeno cinque volte mentre mi guardavo in giro, nella speranza.
Il giorno dopo piovve, fino a sera. Quando cessò, avrei voluto fare un giretto su al Santuario ma capivo che era impossibile che lei fosse lì, nell’erba bagnata.
Ma avevo troppo voglia ed allora inforcai la bicicletta e mi misi a pedalare di buona lena. La ruota posteriore sollevava una scia di acqua e fango che mi veniva sulla schiena ma lì per lì non la avvertii minimamente.
A metà viale sentii chiamarmi ed ebbi un tuffo al cuore. Era Martha. Stava sotto uno dei grossi ippocastani del viale, in un punto dove c’era una fontanella. Si stava risciacquando i piedi, e le gambe. S’era sporcata, chissà come. Frenai di colpo, e virai dalla sua parte.
«Dove vai così di fretta?» disse sorridendo mentre si alzava un po’ la gonna per sciacquarsi le ginocchia.
Io le guardavo le gambe, e soffrivo. La guardavo e non parlavo.
«Hai in mente qualcosa… mi cercavi?» disse. Gli occhi erano lucidi, non so per cosa, forse aveva pianto, e il neo all’angolo della bocca mi chiamava.
«Sì, tutte e due le cose» risposi.
«Allora mi cercavi, e hai qualcosa in mente» continuò.
Io le dissi che avevo in mente qualcosa, e lei rideva contenta. Quella cosa, mi disse, vuoi un bacio, giusto?
Io volevo di più, ma non sapevo come dirglielo.
«O vuoi qualcos’altro?» , disse Martha. Era sorridente e felice, ed anch’io lo ero. Cominciavo a sentire la maglietta bagnata sulla schiena, ma era una cosa al di fuori dei miei pensieri. Lei se ne accorse e mi disse:
«Entriamo nel casotto di caccia, quello sulla collina dei frati. E’ di mio zio. Se togli la maglietta ti scaldo.»
Entrammo nel bosco di acacie spinose e castani. Ogni tanto c’era una candida betulla. La bici l’avevo lasciata nel vialetto del camposanto.
Lei era in preda ad una foga inspiegabile; mi stringeva la mano e mi tirava su per il sentiero. Si scivolava, su quella terra rossa, argillosa. Io ero in affanno e non era il respiro che mi mancava, ma la sicurezza del cuore.
Giungemmo al casotto in un lampo. La porticina era aperta e dentro eravamo debolmente illuminati da due piccole feritoie tra le fronde che coprivano il capanno. Quella penombra era già eccitante di suo, almeno così mi sentivo.
Mi tolse la maglietta e cominciò a baciarmi. Mi stringeva e mi strofinava amorevolmente le mani sulla schiena, per scaldarmi. Alzò un po’ la gonna e si sfilò le mutandine. Io avevo chiuso gli occhi e immaginavo di essere su un tavolo operatorio. Avevo sentito dire che si perdeva conoscenza, e poi si stava bene. Sentii la sua mano che afferrava la mia e poi mi accorsi di averla fra le sue cosce. Ero confuso, ma tenevo duro e cercavo di vincere l’emozione che mi toglieva il respiro.
Martha mi guidava e sentivo le dita umide appiccicate alle sue. Ci baciammo per un tempo che non saprei definire, poi mi sentii bagnare ed anche la mia mano era umida. Entrambi soffocavamo i gemiti per paura di essere scoperti.
«Esci tu per primo… prendi la bici e vai. Io mi arrangio» disse.
Così feci. Andai a casa e non dormii quella notte. Mi stavo ammalando di quella cosa che non conoscevo e che tutti chiamavano sesso.
…dalla raccolta di racconti: “I primi amori”
Essendo nuovo mi aspettavo di avere un commento, utile a capire se questo genere letterario è gradito o meno… avendo in archivio racconti e poesie di genere il più vario intendevo regolarmi. Pazienza, proverò a sondare il terreno con una poesia ringraziando comunque i molti lettori ed i voti fin troppo lusinghieri. Ciao ciao a tutti.
Scusami, Jack,
Io leggo tutto e non mi sono buttata a commentarti, perché talvolta compare qualcuno che mi dà della prezzemolina e, poichè non mi sento tale, ma piuttosto un’appassionata di lettura, da qualche tempo ho deciso di cedere il passo volentieri ad altri affinchè nessuno si senta mai condizionato da ciò che penso.
Eccomi allora…
Un bel racconto.
Prima o poi tutti scoprono una nuova e stranissima malattia che ti viaggia sottopelle, una specie di infiammazione, ma diversa delle tonsille o della tosse, forse più simile all’insolazione dopo una giornata di mare e sole che trasporta altrove aprendo a sensazioni nuove, strane e “pericolose”.
Mi è piaciuto molto questo tuo modo di raccontare con la freschezza del ragazzino che vuole scoprire ed è lì fermo sulla soglia di un mondo nuovo e inesplorato.
Non mi piace, invece, quel forestierismo di Martha con la acca.
Ma del resto se ti chiami Jack…
Aspetto di leggerti ancora.
Ciao
anna
Scusami ancora…
Perchè parli di genere “gradito”?
Ognuno di noi scrive così come si sente…
…e se scriviamo aprendoci alla lettura altrui, siamo pronti, credo, a leggere ciò che altri scrivono, indipendentemente dal genere.
Poi, se qualcuno mi chiede cosa gradisco, io in prima persona, ti dirò che per quanto mi riguarda non mi piacciono racconti inutilmente violenti, sboccati, sbragati, scabrosi, volgari, forzati e che puntano il faro sulla bestialità piuttosto che sull’umanità.
Non credo nel famoso fondo da raggiungere sempre per scoprire, poi, che c’è qualcosa di meglio.
Io non scelgo quel codice comunicativo e credo, anzi, che non sarei nemmeno convincente.
Tutto questo per dirti che tutto può essere scritto e tutto può essere letto, ognuno legge e valuta come meglio pensa.
a.
anna, hai molte ragioni nei concetti che hai esposto. E’ chiaro che i tuoi commenti esigono almeno una spiegazione.
Martha è un forestierismo che mi è sfuggito in quanto il racconto l’avevo dedicato per celia ad una cara amica di Hyères, cittadina tra Saint Tropez e Toulon… lei si è divertita quando gliel’ho spedito, proprio per il nome. Nella realtà il racconto inizia con Aveva quasi diciott’anni… il nome purtroppo l’ho dimenticato, scherzi dell’età. In effetti dovrei cancellare Martha e decidere un nome italiano… dammi tu un’idea.
Ho notato che hai colto davvero bene il modo di scrivere volutamente ingenuo e fresco, da ragazzino, essendomi sforzato di ritornare a quei giorni e tentando di descrivere quegli stati d’animo.
Il prossimo racconto che posterò (ma ormai ho una poesia in attesa) avrà un modo narrativo tutto diverso essendomi sforzato di entrare nel modo di sentire femminile, in particolare di una donna sola ed alcoolizzata (esperienze fatte in un bar della stazione in cerca di storie da narrare… Storie balorde, il titolo).
Hai ragione anche sul fatto dei gusti dei lettori: in effetti chi scrive non dovrebbe occuparsene troppo, pur che la narrazione non sia volgare o eccessivamente trasgressiva.
A mia discolpa il fatto che sono in una fase di sperimentazione ed ho notato che nei siti web alcune storie non sono per niente capite e di conseguenza non accettate. Ecco perchè chiedevo… mi sarei aspettato qualche critica del tipo: qui si pubblica un altro genere etc… etc… già successo su La Recherche, ecco perchè chiedevo gentilmente dei consigli.
Di materiale da scegliere ne ho fin troppo, almeno duecento racconti in archivio ed uno al giorno che scrivo e che si somma al malloppo… capisci che posso scegliere, dall’autobiografia, alla politica, al fantastico, al reale non autobiografico… alcuni che mi piacciono, ma non so se ai lettori possano essere di gradimento, sono quelli nei quali faccio uscire la mia parte femminile (troppo esigua, per la verità) narrando in prima persona femminile. Magari la protagonista è una giovane ragazza depressa mentre io sono un uomo, vecchietto e pieno di vita… ahahah… una bella impresa. Ciaociao e grazie tante, non so come dirti che mi hai fatto un gran piacere con i tuoi commenti.
P.S. non per il fatto che sono a caccia di commenti… no, no… vengo da un sito dove ne ho anche più di cento. Non è quello, credimi… mi piace il confronto, ecco tutto.
Ho letto quello che scrivi nel tuo ultimo intervento.
In effetti Racconti Oltre è un sito differente.
Rispettoso di chi pubblica.
Qualche anno fa, io per prima mi inalberavo contro testi esaltati, superficiali, scorretti.
Negli anni c’è stata una specie di selezione naturale della specie e, come vedi, non solo siamo tolleranti, ma facciamo di tutto per tendere al meglio.
Il Direttore del sito usa una strategia di pubblicazione a mio giudizio molto valida che permette a chi publica di rimanere nella home per parecchi giorni evitando quel sistema tirtatutto in voga altrove dove le pubblicazioni sono al minuto secondo e tutto si consuma nelle spazio di una decina di minuti.
Credo che ti troverai bene…
In bocca al lupo!
anna
@ anna… sono in piena sintonia con quello che dici nel tuo ultimo commento. Sono tutt’ora in siti, anche se momentaneamente non attivo, nei quali ci sono autori che pubblicano tre opere al giorno, in genere poesie, forse perché scrivere in versi richiede poco tempo (parlo ovviamente di versi improvvisati, non meditati)… a fine anno si contano un migliaio di pubblicazioni. Potrei fare il paragone con il tritatutto, o con il rancio da caserma, o anche con la legna da ardere venduta a quintali, se non tonnellate.
Gioielli, pochi. Il fatto di rimanere in home per diversi giorni è una cosa bella, a tutti gli effetti: ti dà l’impressione di non aver buttato alle ortiche un lavoro al quale tieni, ovviamente.
Grazie dell’augurio… crepi!!! ciaociao
Racconto scorrevole e fresco… fa venir voglia di leggere il seguito!
Grazie Camilla…il seguito c’è, e per la verità non è proprio un vero seguito ma una storia parallela, sempre con quella ragazza protagonista, la mia personale maestrina del bacio. Il titolo è :
” Il sapore dei baci…la maestrina”
Se lo digiti su google lo trovi. Ciaociao e grazie per l’apprezzamento…in effetti nel commento hai detto in pratica quello che volevo ottenere dal racconto: la freschezza della giovinezza e la scorrevolezza del racconto, leggero nel contenuto e nella forma.