La prima tempesta lo colse improvviso.
Lavorava come guardiano del faro su quella isola dimenticata da Dio, da un paio di anni. Gli avevano detto di stare attento al mare. Era pericoloso fidarsi di lui. Sapeva essere terribile. Non bisognava lasciarsi ingannare dalla sua quiete, dal dolce suono delle sue onde. A lui piaceva stare a guardare ore e ore il mare, immaginando terre sconosciute, e storie fantastiche, e bei pensieri. E a volte li metteva per iscritto. Scriveva come avrebbe voluto che fosse la sua vita: una vita che non amava, ma neppure odiava. Una vita da cui aveva atteso qualcosa di più, che non era giunta. Perciò quella sera stava rannicchiato sotto una consunta coperta di lana, guardando il mare e attendendo che la nave arrivasse. Ad un tratto il mare alzò le sue vesti, da calmo che era, prese un aspetto cupo. Le onde si ingigantivano sempre di più, e nello stesso tempo faceva un rumore fosco, che lo si poteva udire a chilometri di distanza. Il povero guardiano del faro fu preso di paura, e trascorse tutta la notte incerto sul da farsi: alcune onde arrivavano fin lassù, e pensava ogni volta che fosse la fine. Temeva per la nave che sarebbe dovuta passare di lì quella notte, e la sua unica certezza era quel riflesso di luce chiara sulle acqua scure, che tremolava a intervalli regolari, e che nonostante l’agitatezza delle acque rimaneva lì, senza cedere.
Anche quella notte, passò, insonne per lui, e come questa, ogni anno ve ne furono molte. Ma via via che il tempo passava lo spaventavano sempre meno, e le attendeva come si attende qualcosa di oscuro eppure inevitabile, come il primo gelo, o la prima nebbia,o ancora qualcosa che lui non aveva visto direttamente, ma che aveva letto in uno dei suoi libri.
Una sera come questa, avvenne ciò che avrebbe cambiato per sempre la sua vita. La tempesta era accompagnata da una pioggia fitta, e dal mare quasi emanava una tremula nebbia, che rendeva incerta quella luce tra le onde. Il guardiano indossò l’impermeabile e uscì fuori, a controllare che tutto fosse a posto. Ed ecco vicino allo scogliera, attraccata una piccola imbarcazione di legno, dipinta di giallo, e sotto la pioggia una donna guardava il mare e sul suo taccuino annotava qualcosa. Non ricorda cosa lo colpì della donna: forse quella cascata di capelli neri, appiccicati dalla pioggia, o il viso che aveva quasi un’espressione selvaggia, o le labbra rosse e sottili, o gli occhi dalle ciglia nere. O il modo in cui era vestita, di un pesante cappotto di lana verde, e due pesanti stivali di cuoio. Non era la bellezza di quella creatura che davvero aveva poco di umano, ma il modo in cui ella guardava il mare e sorrise scorgendolo affianco a lei. Rimase un mistero chi fosse, da dove venisse e cosa cercasse. Le diede da mangiare, dei vestiti asciutti, un posto dove dormire. Le fornì gli attrezzi necessari per riparare la sua imbarcazione, semidistrutta dalla violenta tempesta. Fece un giorno di cammino intero per arrivare al villaggio, ed acquistare delle assi di legno, dei chiodi e della vernice gialla. Non parlavano molto. In compenso ogni sera, fingeva di andare a dormire e invece il guardiano rimaneva sveglio nella sua stanza, seduto sulla sua vecchia poltrona di legno, e ascoltava la donna intonare canzoni in una lingua sconosciuta, sentiva come quell’Ulisse, ammaliato dal canto delle sirene. Una volta, per caso, la scorse mentre faceva il bagno: completamente nuda, i capelli raccolti in una lunga treccia, immergeva le sue membra nell’acqua appena tiepida e le tirava su e giù, come facesse il bucato, e le piccole goccioline di acqua le rigavano il corpo dalla pelle bruna, e il guardiano sentì per la prima volta nascere in lui un impulso nuovo, e se ne vergognò, e dal quel momento cercò di vedere il meno possibile la donna. Lei lavorava assiduamente dalla mattina alla sera, e si rendeva ben conto che quella sosta era per lei motivo di grande malinconia, anche se non lo dava a vedere. Una volta la donna si andò a sedere vicino a lui, e così nel buio della sera, stettero insieme a guardare il mare, ora calmo, con qualche lieve increspatura, senza parlare. La sera dopo, iniziarono a scambiare poche parole: frasi brevi. Un’altra ancora, sempre mentre seduti vicini guardavano le acqua calme, il guardiano le prese i capelli tra le mani, su cui il riflesso della luna disegnava bagliori lucenti, così maldestramente che un ciocca gli rimase impigliata tra i capelli, e rassomigliava i piccoli fili che il ragno tesse. Infine, una notte la donna andò nella sua stanza.
La mattina dopo il guardiano si alzò felice. Felice. Una parola grossa. Non aveva mai conosciuto la felicità, fino a quel momento per lui tutti i giorni era stati uguali, nel loro scorrere lento e monotono. Corse nella stanza della donna, e già pensava che forse, se glielo avesse chiesto, lei sarebbe rimasta. Avrebbero potuto guardare insieme il mare, tutte le sere, dividersi il misero pasto, fare ogni tanto qualche passeggiata fino alla scogliera, e così tranquilla sarebbe trascorsa la loro esistenza, fino alla fine dei loro giorni. Ma lei non c’era. Era sparito il suo cappotto verde. Il taccuino sgualcito. Gli stivali. Era sparita la piccola imbarcazione di legno gialla. Solo un messaggio, sul tavolo: “Ritornerò”. Avrebbe dovuto saperlo che non sarebbe rimasta. Fin dal primo istante in cui l’aveva vista, con i capelli appiccicati in parte sul volto e in parte sulle spalle, mentre l’acqua la bagnava e lei non ci badava, avrebbe dovuto capire che quel cuore non avrebbe mai avuto catene.
Da quel momento, ogni sera sedette a guardare il mare, come quelle sere con la donna, e ogni tempesta attese che portasse sulla riva, vicino alla scogliera, la piccola imbarcazione gialla. Attese decine e decine di tempeste, mentre la bianca radendola cadeva bianca e la vista si faceva sempre più offuscata. Non ebbe mai l’impressione che il tempo stesse passando in fretta, o che lei non sarebbe mai tornata da lui, a ma era convinto che sarebbe tornata, non appena si sarebbe stancata di girare il mondo. Iniziò a coltivare per lei in un angolo di terra, proprio sotto la finestra della stanza in cui aveva dormito la donna, delle rosse: bellissime rose pallide. E ogni sera le annaffiava, e ogni sera guardava il mare sempre più ampio, mentre lui si faceva sempre più piccolo, e qualche nuovo dolore gli impediva il movimento o lo svegliava nel cuore della notte: camminava sempre più a fatica, e un giorno non potè più accudire le sue rose, che incominciarono a crescere selvagge, come un mucchio d’edera, e i petali passiti e le foglie secche ricamavano uno strano tappeto, un groviglio, come quel groviglio di capelli neri che il vecchio stesse a guardare poggiati sul cuscino, quella notte.
Non si sa che fine abbia fatto il vecchio. E’ da un po’ di tempo ormai che non fa più il guardiano del faro. Si dice che stanco di aspettare, sia andato a cercare la sua donna.
Non so come sono approdata qui… o forse lo so… perchè nulla avviene mai per caso, ci sono cose che attraversano il tempo e lo spazio per giungere a toccarci il cuore. Semplicemente nell’anima mia c’è un guardiano del faro… lo è da sempre e lo sarà per sempre. Solo il finale, un pò diverso… sul terrazzino di quel faro, il guardiano rimane a scrutare il mare fumando la sua pipa, guardando la luna, sospirando mentre le onde si infrangono dentro i suoi occhi, perchè in verità qualcun’altro a rubato la sua anima e la dolce donna dai capelli lunghi e neri non rimane che un ricordo sbiadito tra i versi di sabbia e sale.
Un racconto bellissimo, grazie… e complimenti!