Marco se ne stava in piedi davanti alla finestra a fissare la pioggia che cadeva incessantemente, trasportato dai suoi pensieri… Da quanto tempo era li? Dieci minuti?Un’ora? A questo non sapeva rispondere, era come paralizzato, bloccato in se stesso e incapace di fare qualsiasi cosa oltre che pensare. I suoi enigmatici occhi scuri si riflettevano sul vetro… gli sembrava che quel pomeriggio autunnale non passasse mai come se l’orologio, stanco, avesse rallentato la sua corsa continua.

Marco pensava e non capiva, non capiva perché è così difficile essere adolescenti… Aveva paura, una tremenda paura di sbagliare qualcosa crescendo e di diventare una persona pessima, aveva paura di sbagliare, paura degli altri e di come lo guardavano, paura quando si sentiva diverso… Perché lui era diverso, tutti non facevano altro che fargliero notare, cercava di contestare ma nel suo cuoe sapeva che era cosi… Marco non capiva, non sapeva cosa provassero di tanto straordinario gli altri bevendo la sera nei pub, ballando nelle discoteche o indossando vestiti di marca, non capiva la filosofia della “ragazza per una notte” e non voleva capire cosa ci fosse in lui di strano. Marco aveva tanta paura, paura di vivere nella mediocrita di un personale mondo chiuso tra la strada dalla casa all’ufficio, Marco temeva di diventare una persona anonima come suo padre, superficiale come sua madre, igotta come i nonni, invadente come gli zii… A volte era serrato da una profonda angoscia di sbagliare, di dimenticare qualcosa, di non essere all’altezza del mondo e di non riuscire ad affrontare la moltitudine di prove a cui esso lo sottoponeva ogni giorno. Marco non voleva diventare un adulto medio, che guarda programmi di media qualita in televisione, un uomo fine a se stesso… No Marco non voleva commettere alcun errore e non avere nessun ripensamento. Quando pioveva avrebbe passato ore intere davanti alla sua finestra, a lasciare che le lacrime celesti dirottassero i suoi malinconici pensieri. L’arrivo di un sms lo scosse dal suo estraneamento dalla realtà: il suo migliore amico Stefano, quall’amico di sempre che abita a due isolati da casa sua, con cui cresci e condividi tutto e a cui non hai mai detto quanto gli vuoi bene… Poche parole nel testo:”Ti devo presentare una tipa, forse è la buona volta che qualcuno ti sveglia fuori”! Marco sorrise anche se nel suo sorriso era celata una sottile amarezza: Stefano (come tutti del resto) era fermamente convinto che lui fosse troppo introverso e troppo riflessivo, che non si godeva gli anni migliori… Marco non sapeva se gli faceva piu male il fatto che tutti la pensassero così o il fatto che fosse vero.

Quella sera a cena, sua madre prese la parola: ”Senti Marco, poco fa ho visto la madre di Stefano”… Marco continuò imperterrito a mangiare senza staccare gli occhi dalla sua minestra di riso, la madre continuò: ”E mi chiedevo… come mai non hai accettato di andare in quel locale con lui… com’è che si chiama…?” “al Sonika?” rispose Marco “no mamma quei posti non mi attirano, troppe ragazze svitate, troppi ragazzi esaltati e musica che spacca i timpani, no non ci tengo” la madre continuò: ”Ma tesoro, hai quasi diciotto anni: tutti i ragazzi della tua età adorano le discoteche…” Marco la interruppe subito: ”Be’ io non sono tutti i ragazzi, da quando una madre cerca di buttare fuori di casa il figlio? Ma perché siete tutti fissati che così non vado bene, che sono sbagliato e devo cambiare? Lasciatemi in pace! E così dicendo si alzò di scatto dalla sedia e corse in camera sua sbattendo la porta lasciando la madre allibita. Il padre non aveva smesso un secondo di mangiare e sembrava che intorno a lui non fosse accaduto niente… La madre disse: ”Antonio io non capisco, volevo solo farlo svagare un po’ e sempre in casa a leggere… Proprio non capisco…”

La campanella suonò e una fiumana di ragazzi uscì dalle aule chiaccherando. C’era chi scartava avidamente un panino, chi si dirigeva verso i distributori di snack, ragazze che a coppie o a gruppi si apprestavano verso il bagno e altri che si preparavano alla caccia disperata per vedere per dieci minuti il ragazzo o la ragazza dei propri sogni. In un angolo un ragazzo parlava animatamente con il suo amico; indossava pantaloni estremamente bassi che permettevano di vedere i boxer griffati e una felpa altrettanto costosa e firmata. Il suo interlocutore, di tutt’altro stampo, portava una felpa scura e un paio di jeans classici che terminavano con un paio di Converse nere. Il primo tentava animatamente di convincere l’amico: ”Eddai Mark, va bene che sei allergico ai rapporti sociali ma almeno conoscila questa ragazza che ti costa! E simpatica, ti piacerà!” Marco diffidava: ”Senti non voglio che mi combini il matrimonio…” Ma subito venne interrotto dall’amico: ”Ma che matrimonio, guarda che esiste l’amicizia tra sessi opposti, se ci arriviamo e già un traguardo quindi oggi non fai storie e alle quattro voglio vederti a casa mia, lei sarà già lì” Marco pensò per un istante, poi si arrese: ”E va bene, ma solo per oggi e sappi che lo faccio solo perché se no mi stressi” Stefano rispose: ”Grande Mark, sapevo che ti avrei convinto” La sua felicità tuttavia fu interrotta da un altro suono della campanella.

Era un altro pomeriggio di pioggia metre Marco si aggiustava i suoi capelli color biondo cenere spostando le ciocche che si posavano morbide e leggermente mosse sulla sua fronte liscia. Adorava sentire il rumore della pioggia che rompeva il cupo silenzio del suo apartamento, lo facevano sentire solo, ma estremamente sereno come se tutto il mondo fosse chiuso al sicuro tra le spesse pareti della sua casa, che tutto l’universo ruotasse intorno alla sua mente, si sentiva padrone di se e di ogni cosa. Tuttavia quel giorno non avrebbe goduto del soave sottofondo che tanto amava: prese un ombrello e uscì di casa. Si incamminò contro voglia verso la casa del suo amico sperando che quel pomeriggio sarebbe passato in fretta e che l’indomani avrebbe gia dimenticato la ragazza che Stefano gli avrebbe presentato. Gli disse che era una sua cara amica, conosciuta a una festa di compleanno qualche mese addietro… ricordando le parole di Stefano, Marco premette a lungo sul pulsante del citofono che riportava il numero dell’appartamento in cui stava per entrare.

Il portone si aprì di scatto e Marco salì le scale lasciando un’uniforme scia di goccioline al suo passaggio. Suonò il campanello dell’appartamento aspettando di vedere emergere dalla porta la testa con i capelli ritti e unti di gel dell’amico ma le sue aspettative non furono esaudite… la porta si aprì di scatto e Marco vide ciò che non aveva mai visto: due grandi occhi verdi fissavano i suoi, erano contornati da un viso chiaro e tondo, incorniciato da lisci capelli castani. I suoi occhi si persero nel verde di quegli occhi vispi, scrutatori, profondi, che sembravano celare il piu profondo dei segreti… la sua ipnosi fu interrotta da una voce limpida squillante: ”Ciao, tu devi essere Marco, Stefano e al telefono, entra…” Marco seguì automaticamente la ragazza che lo guidava nell’appartamento che conosceva da anni ma che in quell’attimo gli appariva sconosciuto. Il suo meditare fu di nuovo interrotto: ”Oh non mi sono presentata scusa, io sono Gloria piacere!” Marco riuscì a rispondere balbettando, osservando il corpo sottile e sinuoso di lei… Improvvisamente Stefano fece irruzione nella stanza portando un vassio su cui c’erano tre tazze colme di cioccolata calda e fumante. I tre trascorsero il pomeriggio parlando di tutto e di niente, di argomenti futili e di argomenti piu profondi, di se stessi, del mondo, dei vicini di casa e dei compagni di scuola… Ma tutti e tre partecipavano alla conversazione sereni, come se l’universo intero girasse intorno a loro a alle loro voci che si perdevano nell’aria e si posavano sui loro cuori come condensa su un vetro freddo.

Dopo quel pomeriggio molti altri si ripeterono uguali. Gloria era perfettamente a suo agio con i ragazzi e parlava con scioltezza attorcigliando ciocche di capelli scuri con le dita e fissando lui, Marco: da quando lo aveva conosciuto era diventato la sua ossessione. Per gli interi pomeriggi lo scrutava, lo osservava, coglieva ogni minimo dettaglio nel suo volto, ogni lieve sfumatura nella sua voce… e più lo osservava piu passava le notti supina nel letto con gli occhi spalancati a cercare risposta al dubbio che la attanagliava: Qual’è il segreto di Marco? Chi è quel Marco? Perché e così? Gloria era convinta che nel profondo dei suoi occhi si celasse un mistero: una paura non svelata, una maturità superiore a quella dei suoi coetanei, come un’innata consapevolezza della vita.

E per giorni interi si chiedeva il perchè della sua ossessione, cosa cercava in quel ragazzo, cosa sperava di scoprire… Dal canto suo, Marco provava quasi le stesse sensazioni per lei: una ragazza apparentemente normale, vivace allegra, spensierata… Ma qualcosa li univa, qualcosa di inispiegabile.

Era un pomeriggio di fine giugno. Il caldo penetrava ogni cosa, trasmettendo una spossatezza e rallentando il tempo, lasciando strade deserte e spiagge affollate. Su un terrazzo di un condominio, nascosti tra le piante, parlavano animatamente un ragazzo e una ragazza: tentando invano di convincere l’amico: ”Eddai Marco, vieni con noi ti diverterai tantissimo, non sei mai venuto a ballare e poi al Sonika non è mai venuto un dj cosi famoso…” Ma Marco come al solito rifiutava la proposta degli amici: ”Niente da fare in quei posti non verrei neanche se il dj fosse il papa in persona!” Gli amici sorrisero ma subito tornarono all’attacco: ”Eddai se vieni andiamo con la tua macchina” insisteva Stefano ma nonostante le continue richieste e suppliche Marco era irremovibile: quella sera non avrebbe seguito Gloria e Stefano in quella discoteca. Improvvisamente squillò il telefono, la madre di Stefano lo costrise a recarsi nel negozio all’angolo della strada a comprare il pane per la cena. Suo malgrado il ragazzo dovette accettare e infilò la porta di casa dicendo: ”Aspettatemi qui faccio in un attimo”! Gloria e Marco si ritrovarono soli, in compagnia del caldo estivo e delle piante verdi che li nascondevano al resto del mondo, parlando tranquillamente. I numerosi dubbi che perseguitavano entrambi col tempo si erano rimarginati, offuscati dalla conoscenza l’uno dell’altra e dall’abitudine… Era come se fossero stati riposti distrattamente in uno sgabuzzino buio e polveroso dove si nascondono ricordi troppo ingombranti, esperienze che ci si illude di aver dimenticato e domande a cui non riusciamo a trovare risposta e questi ultmi, coperti da un telo di oblìo, ci fanno andare avanti in una vellutata ignoranza che cela verità scomode da sapere. Gloria si recò in cucina per riempire nuovamente la sua coppa di gelato lasciando Marco solo con i suoi pensieri. Non voleva assolutamete uscire quella sera, di questo ne era convinto. Tuttavia una sorta di flebile vocina bisbigliava dentro di lui e lo spingeva ad andare in quel locale… Scosse fortemente la testa: non sarebbe andato. I suoi pensieri furono interrotti da un piccolo grido proveniente dalla cucina. Si alzò di scatto dalla sedia e corse in cucina dove Gloria era appoggiata alla credenza fissando le sue dita che si arrossavano violentemente del sangue che fuoriusciva da un taglio, ai suoi piedi un paio di forbici. Marco strappo un foglio di scottex e lo strinse forse intorno alle sue dita. Si ritrovarono così a pochi centimetri di distanza, gli occhi fissi tra di loro, ipnotizzati dalla profondità di quelli che fissavano. Passò un attimo o forse un’ora intera, i loro cuori battevano all’impazzata, le mani erano scosse da un leggero tremolìo… Marco non pensava a niente, era un burattino mosso dai saldi fili del suo cuore, non si rese nemmeno conto di avvicinarsi al viso di Gloria finché le loro labbra si sfiorarono. Fu un bacio lento e morbido, un bacio che sapeva di mistero, che sapeva di amicizia, che sapeva di lacrime ingoiate, di segreti non svelati, di sussurri, che sapeva di gelato alla vaniglia… Ma l’incanto non é mai infinito: ogni magia ha il suo culmine e la sua fine e questa volta la fine fu segnata dal forte suono del citofono. I due si staccarono velocemente e Marco corse ad aprire il portone. Gloria rimase in cucina con le dita doloranti avvolte nella carta. Dopo il ritorno dell’amico, i due si comportarono come se non fosse successo niente, padroni della situazione come se l’accaduto non fosse stato nient’altro che un sogno. Il resto del pomeriggio trascorse tra le suppliche di Stefano e i rifiuti di Marco ma non era difficile indovinare la fine di quel buffo teatrino: Stefano e Gloria sarebbero andati senza Marco anche se lui non sapeva che quella decisione avrebbe cambiato per sempre la sua vita..

Era una notte afosa e senza stelle. Marco se ne stava seduto alla sua scrivania, il computer acceso dinanzi a se e fissava lo schermo. Quella sera era particolarmente malinconico, non riusciva a prendere sonno e si aggirava per l’appartamento in balìa dei suoi pensieri, guidato dalle riflessioni come un naufrago trasportato inesorabilmente dalle onde. Si sentiva un naufrago nella sua stessa vita, un estraneo nella sua casa, uno sbaglio capitato per caso in un mondo di persone uguali fatte come da un unico stampo e lui si sentiva “difettoso”… pensava che in fondo tutti eravamo diversi ma ben pochi avevano il coraggio di ammetterlo e lui era uno di quelli. Ma i gruppi di poche persone sono destinate a rimanere nell’ombra, accecati dalla luce dei grandi gruppi uniformi… Adolescenti tutti uguali… Era intimorito da quel mondo a rovescio e faticava immensamente a capire quale fosse la strada giusta… Lo squillo del telefono arrivò inesorabile e ruppe il silenzio in cui era affondato l’appartamento. Uno squillo, violento, impertinente, uno squillo che si fa sentire, che non ammette di essere ignorato. Ma chi poteva essere alle 3 del mattino? Marco rispose in fretta, sentì una voce meccanica, come emessa da un corpo paralizzato, una voce lontana e sconvolta, la voce del padre di Stefano: ”Marco, Dio santissimo Stefano… un incidente… il tuo amico non c’è piu ragazzo mio…”

Spesso si usa l’espressione “il mondo gli cadde addosso” ma nessuno come Marco quella sera ne può comprendere pienamente il significato. Il suo amico da quando era nato, l’unica persona di cui si fidava, la persona che c’è sempre e comunque, tra le più importanti di una vita… ora non c’era più, tutta la sua vitalità si era spenta sull’asfalto di una strada che non l’ha perdonato, qualcosa in lui si ruppe… Marco non voleva crederci sbattè il telefono e fece appena in tempo a vedere sua madre in piedi dietro di lui in vestaglia, lei pronunciò il nome del figlio ma lui stava già correndo verso la porta. Corse giù per le scale fuori dal condominio, corse per tutto il paese, raggiunse il bosco e iniziò a tirare violenti pugni su ogni albero, rimase impigliato nei rovi che gli graffiarono la pelle, le mani gli sanguinavano ma lui continuava nella sua corsa incontrollabile con la quale sfogava tutta la rabbia e il dolore, non poteva essere vero: Stefano, il suo amico che rideva sempre che metteva chili di gel sui capelli, che spendeva un capitale per i vestiti perchè diceva che visto che dobbiamo vivere bisogna farlo al meglio, il suo amico con cui rideva tanto, con cui scambiava i giocattoli all’asilo, con cui aveva scambiato idee e pensieri fino a poche ore prima… Ora non aveva più niente, tutto il suo mondo si era spento insieme al sorriso del suo più grande amico. Quando torno il sole era già alto, la madre lo aspettava in cucina con due profonde occhiaie e sorseggiando un caffè fatto più per abitudine che per voglia. Appena vide il figlio gli corse incontro ma lui si sottrasse a quell’abbraccio.

 

Marco osservò la matita che rigirava tra le sue dita… Perché si era ritrovato a pensare a tutto questo? Alla tragedia che aveva posto fine ad un’adolescenza mai iniziata? Pioveva  e da sempre Marco diventava pensieroso quando il cielo piangeva… Osservò vagamente il suo ufficio. Anche il giorno del funerale pioveva, un funerale estivo, Marco ricorda ancora quanto aveva odiato sua madre che, seduta accanto a lui, non faceva altro che piangere e odiava se stesso perche non riusciva a spremere nemmeno una lacrima e odiava Gloria perchè non si era presentata. In seguito aveva saputo che non era potuta venire perchè si trovava ferita in ospedale… Non era andato a trovarla nemmeno una volta, sapeva bene che se l’avesse fatto la sua freddezza glaciale si sarebbe sciolta. Da quel giorno non l’aveva più rivista. Il telefono squillò riportandolo al suo lavoro: il solito cliente incontentabile che si lamentava per il lavoro non svolto alla perfezione nei minimi dettagli. Marco si ricordò dei terribili anni dopo la morte del suo caro amico: anni di silenzi, di incomprensione, gli anni in cui si era isolato dal resto del mondo. Era stato come se una parte di lui fosse morta insieme a Stefano e aveva perso l’interesse in tutto ciò che lo circondava. Ogni cosa gli appariva futile e superflua e si lasciava scorrere addosso le giornate impassibile chiudendosi sempre più nel suo dolore. Poi a 24 anni aveva lasciato la sua casa per trasferirsi in un monolocale vicino all’università. Come se fosse ieri, ricorda di aver preso la valigia e aver buttato dentro con rabbia tutti i suoi oggetti e per la prima volta in tutti quegli anni era riuscito a sfogare il suo dolore con lacrime calde e salate che scivolavano rapide e furiose sulle sue guance. E poi la facoltà, un lavoro come agente pubblicitario: tutta la sua vita era concentrata solo sul lavoro che scolgeva egregiamente così aveva conquistato la simpatia e l’approvazione del suo principale. Quest’ultimo non aveva eredi così, ad età ormai avanzata, aveva deciso di trasferirsi in una meta lontana: una di quelle isole che sono ritratte in foto raffiguranti spiagge bianche, palme e un mare cristallino… Diceva che voleva morire in un posto tranquillo e senza preoccupazioni così aveva lasciato l’agenzia a Marco. Così la sua vita si era ridotta ad un susseguirsi di giorni tristemente identici, una vita limitata alla casa e all’ufficio e alle scaramucce con la ex moglie sempre più pretenziosa. Marco aveva provato ad avere una seria storia d’amore: una compagna di università, qualche ora di studio insieme, un caffè dopo le lezioni… Così si era ritrovato sull’altare con una donna che nemmeno amava, che sposava per convenzione, perchè tutti facevano così. Per questo dopo nemmeno 2 anni di matrimonio era scattato il divorzio ponendo fine a un’inutile commedia interpretata da attori mediocri e senza passione.

Quell’incontro pomeridiano con i fantasmi del suo passato aveva turbato Marco a tal punto che passò la serata fermo davanti alla finestra, come quando era un ragazzo, perso nei suoi intricati pensieri. Aveva fallito. Tutte le sue paure da adolescente si erano rivelate più che fondate: era diventato ciò che non sarebbe mai voluto diventare. Conduceva una vita mediocre, guidata dall’abitudine, consumata nel grigiore della citta, tormentata dai fantasmi del passato e senza lo stimolo di un futuro migliore. Marco quella sera si sentiva stanco di vivere, a trentadue anni era già stanco di vivere… Perchè quella sera non aveva seguito i suoi amici? Avrebbero preso la sua macchina e lui non beveva alcolici quindi sarebbero tornati a casa sani e salvi… ma lui non era come gli altri adolescenti, lui era il diverso ed era anche per testardaggine che quella sera era rimasto a casa e aveva mandato Stefano solo in quel mondo ostile e malato, poteva salvarlo e invece l’ha lasciato nelle mani irresponsabili di un compagno di scuola… Quest’ultimo aveva bevuto tanto, super alcolici dissero i carabinieri… Eppure si era messo al volante e insieme alla sua vita aveva sacrificato anche quella di Stefano, il suo amico. Per tutti gli anni successivi non è mai passato un giorno senza che Marco si chiedesse perchè le cose fossero andate così, perchè la vita si era preso Stefano che era sempre allegro, aveva voglia di vivere, aveva tante ragazze e si godeva l’esistenza… e si chiedeva come aveva potuto permettere una cosa simile e si malediva per non aver accompagnato l’amico con la sua macchina quella sera e si arrabbiava e da ragazzo spesso prendeva una forbice e voleva tagliarsi le vene per evadere dalla vita vuota in cui si era ritrovato e raggiungere Stefano ovunque si trovasse… Ma non ne aveva mai il coraggio e si arrabbiava sempre di più con se stesso, covava l’odio e lo nascondeva nel silenzio e a volte si slacciava la cintura dei jeans e la legava strertta al collo senza mai andare fino in fondo… e soffriva… Infinitamente, incontrollabilmente, silenziosamente. Sua madre l’aveva costretto ad andare da una psicologa: una donnetta bassa e robusta che lo osservava dai suoi occhialetti tondi… E ora a metà della sua vita Marco capiva di aver sbagliato tutto, di non essere degno di quella vita che non riusciva a vivere, che stava consumando e dilaniando. Odiava profondamene se stesso, seduto sul divano mentre accarezzava il gatto grigio Artuto, un regalo che si era fatto per combattere l’opprimente solitudine in cui era avvolta la sua vita. Si odiava e non capiva, durante tutta la sua vita non si era mai sentito al posto giusto: da giovane si sentiva un uomo intrappolato nel corpo di un adolescente ed ora si sentiva uno spettatore disinteressato della sua stessa vita che seguiva un noioso spettacolo sbadigliando e chiedendosi quando finisce. Quella notte Marco si addormentò stanco, vecchio e abbattuto.

I timidi raggi di sole mattutino accarezzavano i tetti delle case della città. A poco a poco si sollevavano le tapparelle e si aprivano le imposte, provando il lento risveglio dei suoi abitanti. Le madri preparavano la colazione per tutta la famiglia, donne in carriera si vestivano e preparavano al meglio, ragazzi spegnevano la sveglia con un pugno maledicendo la scuola e la giornata che li aspettava… Marco osservava il proprio riflesso su uno specchietto portatile che teneva nel cassetto del suo ufficio: non nascondeva a se stesso che era intimorito nel vedere i suoi tratti portare le tracce del tempo che era trascorso: i suoi ciuffi di capelli biondi si posavano ancora morbidamente sulla sua fronte ma questa non era più liscia e dalla pelle tonica e i suoi occhi scuri erano stanchi, molto stanchi. Il segnale acustico dell’interfono lo fece scattare e la voce metallica della segretaria lo avvertì che aveva visite. Ripose frettolosamente lo specchietto e chiese di chi si trattava, la segretaria rispose con il nome di signora Masetti. Marco aveva già sentito quel nome ma non riusciva a ricordare a chi appartenesse, acconsentì la visita. Dopo due vivaci colpi alla porta irruppe nella stanza una donna alta formosa; lunghe ciocche di capelli scuri le si posavano compostamente sulle spalle il suo corto poncho grigio sui jeans risaltava il verde dei suoi occhi vivaci. Marco si alzò educatamente e tese la mano dicendo pacatamente: ”Buongiorno, piacere io sono…” Ma la donna non lo lascio finire e con un sorriso disse: ”Ma allora proprio non mi riconosci?” E sedendosi innanzi a lui lasciò scivolare sulla scrivania un biglietto da visita che recitava:” MASETTI GLORIA, PRESIDENTESSA dell’ENTE di PSICOLOGIA e PSICOTERAPIA” Inizialmente Marco rimase immobile, lo shock fu forte e violento, gli si mozzò il fiato, credeva che non poteva essere lei, doveva essere uno stupido scherzo. Cercò di mantenersi più freddo e concentrato possibile ma non riusciva affatto a mantenere il controllo e mentre in lui si scatenava una tempesta interna non riuscì a trattenersi dal chiedere: ”Che cosa vuoi?” Il sorriso scomparve dal viso chiaro e vispo di Gloria che replico: ”Tutti questi anni… Sei completamente sparito, non hai mai risposto alle mie telefonate, mi hai abbandonata… Ed ora come ti permetti di trattarmi male, sono comunque una cliente venuta nel tuo ufficio per lavoro ed esigo rispetto” Marco si sedette e rispose: ”Il rispetto lo avrai, ma di certo non ti darò il benvenuto”. Dopo quel freddo principio i due parlarono meccanicamente di lavoro: Gloria necessitava di una campagna di sensibilizzazione ad effetto per pubblicizzare il suo lavoro e aumentare gli scarsi fondi fornitigli dallo stato e da pochi contribuenti. Marco ascoltò il problema, non poteva sottrarsi ai suoi doveri e accettò il lavoro. Per due persone tra cui non corre buon sangue, lavorare insieme può essere estremamente faticoso, ma per due persone divise da un dolore così intenso e profondo che ha segnato entrambe le loro vite è ancora più difficile. Gloria si recava spesso nell’ufficio del suo vecchio amico e discutevano freddamente di lavoro senza mai affrontare il passato che li accomunava. Tuttavia il destino aveva deciso di farli incontrare e non avrebbe permesso che questo rapporto gelido continuasse a irrigidirsi. Un giorno, prima delle vacanze natalizie Marco si recò ad un self-service non distante dal suo ufficio e si sedette in un tavolo appartato, solo con il suo vassoio di cibo che avrebbe consumato contro voglia. Fu un attimo e Gloria si sedette dinanzi a lui salutandolo, lasciava la solita scia di profumo floreale ed era accompagnata da un’ondata sferzante di vita ed energia. Era più sorridente e loquace di quanto Marco l’avesse mai vista negli ultimi tempi, tuttavia improvvisamente il suo viso si cancellò e guardandolo negli occhi disse a bruciapelo: ”Per quanto andrà avanti questa farsa? Marco, fingere di essere estranei non aiuta nessuno dei due” Marco innalzò una sorta di barriera nella sua anima e ribattè: ”Non capisco di cosa stai parlando”… ”Sai benissimo di cosa sto parlando” lo interruppe lei in tono di disprezzo: ”Pensi di essere il solo ad avere sofferto? Pensi di aver passato anni difficili solamente te? Non capisco come fai ad essere così egoista… Io ti consideravo un amico, e tu mi hai lasciata sola nel momento in cui entrambi avevamo più bisogno di chiunque di qualcuno che ci stesse vicino. Ma tu sei stato un codardo, io almeno ho trovato la forza di reagire, da sola e con le mie mani ho aperto un centro di consulto psicologico per aiutare gli altri, per saldare il mio debito con la vita migliorando quella di altre persone, e tu cos’hai fatto? Vivi una vita non tua, preferisci nasconderti piuttosto che affrontare il mondo… Tuttavia sei sempre stato così, sei sempre stato uno spettatore… E quando ti ho cercato sapendo che avevi aperto un’agenzia che mi interessava ero convinta che tu fossi cambiato, che avessi imparato la lezione… Invece sei peggio di quando eri ragazzo. Ti odio Marco, ti odio!” Con le lacrime agli occhi buttò le posate sul tavolo, si alzò di scatto afferrando la borsa e uscì correndo.

Marco come ogni anno trascorse il Natale a casa dei suoi genitori. Sarebbe stato il solito pranzo abbondante, condito dai sorrisi della madre e avvolto nelle inutili chiacchiere banali a proposito del tempo, dei politici incompetenti, delle tasse, di calcio, di una notizia sentita di sfuggita al telegiornale… Da anni il pranzo di Natale non era altro che un noioso diversivo alla noiosa vita di Marco, un impegno forzato a cui era fedele sola per far piacere alla madre, sempre superficiale e leziosa, come una volta. Quell’anno non fu diverso: Marco portò il solito panettone acquistato nella pasticceria migliore della città e si recava nella sua vecchia casa portando qualche regalo e tanta tristezza. Sua madre passava i primi dieci minuti facendogli notare che era pallido, dimagrito e chiedendogli come andasse il lavoro e se aveva abbastanza tempo per se stesso. Marco rispondeva distrattamente sperando che la giornata finisse nel modo più rapido possibile.

Le feste natalizie trascorsero trascinandosi nel solito lento scorrere della monotonia, ma questa volta una nuova angoscia attanagliava il cuore di Marco: forse Gloria aveva ragione. L’errore più grande era stato quello di sottrarsi alla vita, di essere voluto morire insieme al suo amico che invece avrebbe voluto che si divertisse e vivesse al massimo delle sue energie e potenzialità per fare tutto ciò che a lui non era stato permesso fare perché privato della possibilità di portare a termine il suo percorso, spezzato violentemente su una strada nel bel mezzo della notte. E per la prima volta in tutti quegli anni Marco aveva pensato a come doveva essersi sentita Gloria: lei era sopravvissuta e aveva visto Stefano morire… Forse era stata lei quella che aveva sofferto più di tutti… Ma lei era forte e aveva trasformato la sua rabbia e la sua tristezza in energia per aiutare altre persone, aveva sfogato il suo debito con la vita facendo del bene ad altre persone, diventando un punto di riferimento… Stefano sarebbe stato estremamente orgoglioso di lei. E invece cosa avrebbe potuto pensare del suo amico Marco? Esattamente ciò che aveva detto Gloria: codardo. Tra la vita e la morte Marco aveva scelto una morte lenta…Forse aveva sbagliato dal principio: era stato così occupato a cercare di non diventare una persona mediocre che si era dimenticato di vivere, e cosa rende tale una persona se non la vita?

Marco passò le feste senza dormire, mangiava poco e usciva spesso trascorrendo ore intere vagando per la città senza meta, prigioniero dei suoi pensieri, meditando sui suoi errori e sul senso di tutto ciò che gli era accaduto. Fu la mattina del cinque gennaio che si decise a chiamare Gloria: si dissero poche parole al telefono, concordarono di incontrarsi al parco e si diedero appuntamento per il pomeriggio. Quando Marco arrivò Gloria era seduta su una panchina e osservava le deboli onde infrangersi sul piccolo laghetto dinanzi a lei, ancor prima di arrivare Marco chiese a Gloria o al vento: ”Perché a noi?” Fu la prima a rispondere: “E perché no?” L’uomo si sedette al fianco di Gloria e continuò: “Devi dirmi come hai fatto…” “a fare cosa?” chiese lei, “a vivere” rispose Marco fissando il vuoto. Gloria fece un lungo sospiro, infine rispose: ”Se non l’avessi fatto, avrei fatto un torto a Stefano. Lui adorava vivere e sono convinta che volesse che imparassimo a farlo pienamente anche noi, per questo non mi sono arresa Marco, l’ho fatto per lui anche se il mio dolore era immenso, sono andata avanti riponendo tutte le forze in qualcosa in cui credevo e ho fondato l’ente perché aiutasse me e gli altri. Per quanto sarebbe stato comodo, non volevo lasciarmi morire nel dolore ma volevo che Stefano fosse orgoglioso di me, volevo vivere anche per lui che non ha potuto farlo…” Marco la interruppe: ”Allora non ho capito niente, nella mia vita ho sbagliato tutto… sono diventato un uomo pessimo e mediocre” “La tua vita non è finita: puoi ancora fare qualcosa, rimediare…” la interruppe Marco: ”Gloria, insegnami a vivere! Spiegami qual è il segreto per andare avanti per essere felici e per fare felici altre persone…” Gloria pensò a lungo con la fronte aggrottata sulla quale si scorgevano le prime rughe sottili, dopodiché rispose: ”Non esiste una legge assoluta, se esistesse al mondo nessuno piangerebbe mai. Devi cercare di trovare uno scopo, un ideale, un progetto in cui impegnare tutto te stesso, abbi il coraggio di uscire dagli schemi, coltiva un hobby, una passione e non lasciare mai che la tua esistenza ceda, vittima dell’abitudine e rendi i tuoi giorni tutti diversi da loro, trova una donna da amare alla follia e da rendere felice ma soprattutto ricorda che se non credi in te stesso gli altri non potranno mai credere in te”.

Da quel giorno iniziò il periodo più intenso e difficile della vita di Marco: da quel giorno ebbe inizio il cambiamento. I primi tempi furono difficili, l’uomo non riusciva a trovare qualcosa che lo appassionasse davvero… La risposta giunse in un pomeriggio primaverile, l’aria era pervasa da un dolce tepore donato parsimoniosamente dai raggi di sole che facevano capolino tra i rami degli alberi. Si potevano udire i canti degli uccelli e un’arietta fresca completava l’atmosfera di un pomeriggio poco lontano dalla perfezione. Marco osservava tutto ciò appoggiato al davanzale della sua finestra e gli pareva così bello che si rattristava per il fatto che già l’indomani forse non avrebbe più potuto godere di quell’attimo incantato. A avrebbe voluto catturare il tempo e imprigionarlo in modo da poter rivivere quell’istante ogni volta che avesse voluto… Fu così che ebbe l’idea che ancora una volta avrebbe cambiato la sua vita: prese un foglio di carta e una penna e iniziò a descrivere tutto ciò che vedeva aggiungendo i suoi sentimenti. Inizialmente erano piccole frasi, dopodiché iniziò a formare un testo completo e ben definito. Per mesi interi trascorse infiniti pomeriggi chino su fogli di carta finché iniziò a completare i suoi racconti, a scrivere lunghissime storie che poi faceva leggere a Gloria con cui aveva instaurato un’ottima amicizia e lei li faceva leggere al marito. Quest’ultimo era un editore e un giorno chiese a Gloria di invitare il suo amico per bere un caffè e scambiare qualche parola… Dopo pochi mesi i libri di Marco iniziarono ad essere pubblicati, lui vendette l’agenzia e iniziò ad aiutare Gloria nel suo lavoro in campo burocratico e contabile. Stette a contatto con innumerevoli persone e iniziò ad appassionarsi a quel lavoro con cui conosceva molti giovani. Con i soldi rimasti dalla vendita dell’agenzia riuscì ad aprire un campo sportivo che divenne presto punto di ritrovo per molti adolescenti della città, si sentì felice come non mai.

Era una mattina d’inverno, il cimitero era freddo e deserto… Il silenzio glaciale venne interrotto dal rumore dei passi di due figure imbacuccate che camminavano sicure in direzione di un tomba la cui foto rappresentava un giovane ragazzo sorridente sui diciotto anni, il suo nome era Stefano. Marco e Gloria si avvicinarono alla tomba e lui potè finalmente dire: ”Amico mio, ho saldato il mio debito con la vita… scusa se ci ho messo tanto, ma me lo dicevi sempre anche tu che ero lento a pensare… spero che tu sia orgoglioso di me” queste ultime parole furono interrotte da forti singhiozzi, Marco per la prima volta sfogava realmente il suo dolore mentre Gloria soffriva insieme a lui. I due si allontanarono abbracciati verso un futuro che non era più ostile, verso un futuro reso dolce dalla lora amicizia, verso un futuro che avrebbero potuto decidere solo loro.

 

2 pensiero su “Marco non riusciva a vivere”

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *