Era inutile accarezzare le tue mani, il nostro calore si perdeva nella tua freddezza. Nel gelido corpo immobile e serio. Mai così serio. Era inutile urlare il tuo nome, impavida stavi. Il pianto di una madre urtava contro i brividi di una folla silenziosa, ma niente urtava il tuo candido essere senza vita.

Sfinita, giunge la fine di una corsa troppo veloce e poi non vedere più nulla se non il vuoto. Arriva la fine di un’esistenza forse inutile, troppo inutile se finisce così. Immagini cupe di te che coperta di fiori attraversi la commozione di una chiesa e che ti posi sul grande tappeto rosso. E i gigli bianchi su te. Forse una sposa, forse una festa, di sicuro un addio. Un terribile saluto, impossibile credere che esista tanto dolore. Ora quelle goccioline d’acqua sul legno che ti avvolge sono la santità mista a lacrime e luccicano tra le foglie e gli intagli. Poi un saluto letto a singhiozzi di quanti avevano te nel cuore, di quanto sgomento si possa provare. Il caos, il fragore, l’affetto che nasce da quell’applauso fortissimo, mentre un debole organo ti accompagna al tuo posto senza tempo, mentre la madre grida più forte. Il traguardo a vent’anni non è un traguardo, è uno schiaffo dolente. Le frenate sono come l’ultimo tentativo di restare aggrappati a questo mondo. E l’altitudine di un ponte sono i secondi di vuoto che ci sono tra noi e l’eterno. Sola cadesti nel sonno più profondo in una notte troppo calma, paurosa. La voglia di tornare a casa, la stanchezza di una serata a danzare che termina con uno schianto. Le curve, i tir, le luci della galleria, gli occhi che si chiudono, il mare scuro, la velocità, la frenata e un volo. E dopo, solo gli abbagli di polizia e ambulanze, e la notte continua, senza te. Una telefonata improvvisa è l’inizio dell’incubo. Una corsa vana, una corsia d’ospedale vuota e buia. L’invito a scendere nell’obitorio e la dura certezza che non sei più qui. Un pianto silenzioso davanti al tuo corpo coperto dal lenzuolo bianco è l’amara visione di tua madre, che svenne, che voleva svegliarsi perché stava sognando. E poi solo il silenzio di una casa vuota, di una stanza buia, del rumore dell’impatto, dei freni stridenti e tu che con gli occhi chiusi stavi distesa. Era una visione tormentosa, una terribile verità che rivive ancora, eri tu lontana da me. Lontana ormai per sempre. Così come il mio sogno del tuo funerale.

 

2 commenti su “Il sogno e il tuo funerale”
  1. Atroce sofferenza per chi resta, vita strappata per chi se ne é andato. Argomento anche troppo reale ai giorni d’oggi. Ben scritto.
    Ciao. Sandra

  2. Le nostre vanità dovrebbero svanire dinanzi alla nostra realtà…

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