Non riesco a capire come mai mi restino pochi ricordi della mia infanzia.
Eppure non è stata triste e non mi è mancato nulla, non l’affetto, né la realizzazione dei desideri che mostravo di avere e che lasciavo intendere ai miei genitori.
Non ho, quindi, sensazioni spiacevoli da dimenticare, ma avevo, e me ne ricordo bene, una gran fretta di crescere.
Amavo leggere.
Leggevo in modo appassionato e non volevo essere distolta dalle mie letture; mi ero convinta che da grande sarei stata libera di fare quello che più mi piaceva, senza rendere conto a nessuno del modo in cui avrei utilizzato il tempo che intuivo come una cosa solo mia. Per questo motivo vedevo gli adulti come esseri fastidiosi, che mi organizzavano la vita. Quando leggevo, però, potevo chiuderli fuori da me e dal mio mondo.
A scuola avevo un’amica del cuore, Lucia, che condivideva questa mia passione. Potevamo rinunciare ad un gelato, ma non a libri e giornaletti. Amavamo anche le stesse cose: gli stessi film, gli stessi attori, le stesse squadre di calcio, gli stessi ragazzini e le vacanze al mare.
Già.
Le vacanze.
Erano lunghe, calde, avventurose e bellissime.
Cominciavano con la fine di maggio e duravano fino alla fine di settembre e sono il ricordo più bello della mia infanzia.
L’anno scolastico si concludeva con un abbraccio tra noi compagne di scuola e con un bacio alla guancia un po’ rugosa e profumata di violetta della nostra insegnante, la signora Valentina, che per tutto l’anno non si lasciava mai andare a smancerie, fatte salve tre eccezioni: il primo giorno di scuola, l’ultimo e quello del suo onomastico, il 14 febbraio, in cui tutte noi alunne le portavamo un regalino e in cambio ne ricevevamo un compito a casa più facile.
Finite le lezioni e ritirate le pagelle, ricordo qualche giorno in città e lunghe dormite fino a metà mattinata, i preparativi di abiti e pantaloncini comodi, l’acquisto di sandali e zoccoli e, per finire, la scelta del nuovo costume da bagno.
Venivano prenotati i posti in treno, comprati i biglietti e spediti i bagagli; solo allora e finalmente io, la mamma e mia sorella partivamo.
Papà restava a casa da solo, ci avrebbe raggiunte in agosto.
Un bacio tutto per lui. Sì, sì sarò brava; sì, sì farò i compiti delle vacanze; ciao, ciao, ciao. E senza troppi rimorsi agitavo il fazzoletto dal finestrino, fino a quando lo vedevo.
Poi basta.
Ero in vacanza.
Durante il viaggio, dopo un anno, rivedevamo finalmente il mare e ogni volta era una meraviglia: azzurro, grande, con le onde, il sole e la sabbia. Che bello, pensavo, è ancora lì, non si è spostato, mi aspetta. La cosa mi rassicurava. Nulla era cambiato.  
Il treno correva, superava città e casolari di campagna e il mare scompariva per qualche attimo nelle gallerie, ma poi ricompariva rassicurante e mi accompagnava fino al paese lontano dove abitavano i nonni.
La mamma era felice, perché tornava a casa.
La mia sorellina era più o meno un fagotto ingombrante che zie e cugine si passavano da coccolare e sbaciucchiare ed io ero io, una ragazzina schiva e solitaria che, superati i primi momenti di baci e abbracci, ritrovavo Matilde,la mia compagna dell’estate, la nostra fiduciosa reciproca confidenza e le nostre scorribande segrete.
Poichè le nostre mamme erano amiche e anche lei aveva un fratello più piccolo che attirava ogni attenzione, trascorrevamo la giornata sulla spiaggia dove veniva esercitato su di noi un controllo rilassato.
Mentre le mamme se ne stavano sotto gli ombrelloni chiacchierando, leggendo e occupandosi dei più piccoli, noi dovevamo farci vedere ogni tanto, uscire dall’acqua quando i polpastrelli erano diventati raggrinziti e bianchi e dovevamo, soprattutto, coprire il capo con orrendi cappellini per proteggerci dai raggi solari.
Per il resto potevamo fare quello che volevamo.
Alternavamo così  i bagni in mare alle partite di calcetto e all’ascolto rapìto delle canzoni del jukebox del Lido Azzurro che i ragazzi più grandi di noi gettonavano.
Restavamo a guardare quegli adolescenti che sembravano sapere qualcosa  più di noi sulla vita e che ci trattavano da bambine, quali effettivamente eravamo, e con un poco di sufficienza, sebbene non disdegnassero di coinvolgerci nei loro giochi e nelle loro chiacchiere.
Spesso organizzavano passeggiate fino alle Pietre Nere, una lunga fila di scogli che emergevano dal mare e interrompevano la linearità piatta della spiaggia. Noi andavamo con loro a vedere i pescatori di cozze e telline che si radunavano là, dove il mare era più profondo.
Non eravamo mai andate oltre, perché non c’erano più stabilimenti balneari e le mamme non volevano che ci allontanassimo troppo.
Una mattina, però, in gran segreto decidemmo di trasgredire e di partecipare alla spedizione alla foce del Fiume Morto, un braccio del canale che metteva in comunicazione il mare e il grande lago salmastro retrostante alla costa.
Fu una camminata lunga e faticosa. Non finiva mai.
Noi due ci tenevamo per mano e guardavamo i nostri piedi che affondavano nella sabbia umida.
Mi venivano in mente tutti i pericoli in cui avremmo potuto cacciarci: sabbie mobili, morsi di anguille, sbarchi di contrabbandieri e attacchi di meduse. Non osavo, però, rivelare i miei pensieri e  guardavo Matilde che forse immaginava le stesse cose e sgranava un po’ gli occhi sorridendomi nervosamente.                             
I ragazzi e le ragazze più grandi ridevano e si lanciavano battute scherzose, alcuni facevano coppietta, altri li prendevano in giro. Uno di loro, Franco, cantava le canzoni di Modugno e tutti facevamo il coro.
Quando l’escursione finì, tornata al sicuro sotto l’ombrellone, non riuscii a tenere il segreto e raccontai alla mamma tutto: le mie paure, la fatica, il rimorso per non averle detto la verità e la gioia per essere stata capace di riuscire ad andare così lontano da sola, senza di lei.
E’ stato allora che ho cominciato a sentirmi grande e padrona di me.
Ero stata disobbediente, ma ero anche stata capace di superare la prova.
Avevo resistito alla fatica come tutti gli altri ed ero stata in grado di badare a me stessa.
Ricordo che la mamma mi guardava, mi ascoltava e sorrideva.

 

11 pensiero su “Ricordi”
  1. Sono tornata indietro con i ricordi, ai miei anni verdissimi, e mi é venuta in mente l’estate con mia cugina, più grande di me di 3 anni, a Castiglioncello. Poesia, piacevole, un po’ di malinconia, come sempre per il passato, ma anche la consapevolezza che i ricordi sono sempre lì, pronti ad essere il presente tutte le volte che vogliamo, basta averli. Ciao. Sandra

  2. Ciao, Buono l’intento, ma non vedo in esso una grande poesia, perchè la poesia è un’altra cosa.
    Non ne sono un cultore e non sono in grado di dire, così sui due piedi, se è tutta farina del tuo sacco, ma, per quel pochissimo che me ne intendo di ortografia, sicuramente sono in grado di suggerirti che “ne” si scrive così e non come hai fatto tu. Temevi che nessuno ti leggesse?
    Non disperare, credo che tutti leggiamo tutto, ma ovviamente commentiamo solo ciò che attira la nostra attenzione.
    Ciao

  3. Non ho votato! Era solo per farti capire come ci si sente con un commento simile, il commento è farina tua sicuramente. Questo non significa che io abbia qualcosa contro di te, ma significa: incoraggiamo i novelli e diamo loro conforti e belle parole; non aggrediamoli. saluti…

  4. Per Salvatore – Se intendi il “Ne” che esprime negazione, ti sbagli, perché si scrive come ha fatto Anna, e cioè con l’accento.
    Per Anna – Brava, hai scritto bene una bella storia. Fa venire in mente il nostro passato…

  5. Non ne sono sicuro e, mi sembrava, un chiarimento tra me ed Anna ti pare?

  6. Qualcuno potrebbe leggere il tuo commento, e da oggi in poi scrivere “ne” senza accento, sbagliando continuamente 🙂
    E poi mi sembra di essere su un sito pubblico, ti pare?
    Comunque non è mia intenzione fare polemica, era solo una semplice precisazione.
    Un saluto a tutti!

  7. Io non ho nulla da spartire con voi o meglio non più di quanto abbia da spartire con un eschimese, un cervo o un orso in Alaska. (W. Reich)

  8. Cerco di incanalere i discorsi sul sorriso e sulle battute intelligenti, ma fin’ora non mi è riuscito. Grazie a tutti voi….

  9. per Salvatore: come diceva il Tommaseo “un bel tacer non fu mai scritto”.
    e se io e questa anna non fossimo la stessa persona? ti saresti perso l’occasione di riflettere prima di buttarti nella mischia senza neanche sapere chi è il tuo nemico.
    rileggiti i tuoi post dell’ultima settimana: pochi a proposito.
    ahi, ahi, ahi…

  10. Bello il tuo scritto sincero e sereno.
    Ho rivissuto in un attimo un pò della mia infanzia.
    Anch’io da piccolo pensavo che da grande avrei potuto fare quello che mi piaceva: tutto sommato sono stato abbastanza fortunato.
    Saluti.
    QS-TANZ

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