«A Vienna, il Cafe Diglas, celeberrimo ristorante del centro, ha installato nei suoi bagni una peculiare porta in vetro trasparente. La porta è dotata di un meccanismo che la oscura non appena si gira la chiave mentre un divieto d’accesso luminoso indica la presenza di un “occupante” all’interno dei servizi. Un tizio, tale Ian Howlett, ha realizzato un video dimostrativo e ha commentato:  “Il Cafe Diglas è grande! …ma vi auguro che la porta non vada in tilt mentre siete seduti là!”».
Queste, di poco differenti, sono le parole apparse sul giornale on line  che leggevo oggi chiedendomi il senso di una faccenda come questa, un’ennesima gara a stupire e imbarazzare oppure ad attrarre curiosi con una pubblicità di discutibile gusto.
Sull’onda di questa lettura mi è tornata alla mente l’esperienza tragicomica di appena un  paio di anni fa che merita un piccolo report a testimonianza di come tutto sia relativo al luogo, al tempo e agli uomini che pensano, agiscono e vivono.
Figli adulti, prolemi primari risolti, condizionati nella nostra vita quotidiana ormai soltanto da un gatto rosso che un po’ ci ama e un po’ è vagabondo, come ogni gatto che si rispetti, il “signore distinto” , come recita la mia biografia,  che condivide con me da tempo immemorabile la vita, talvolta si lascia prendere dall’aspetto romantico del suo carattere, più spesso sapientemente celato  nella costante razionalità che domina i suoi comportamenti.
È stato così che di ritorno da un suo impegno professionale a Roma, abbiamo deciso di percorrere in auto la strada del ritorno verso casa sulla vecchia Aurelia della nostra infanzia, quando l’Autostrada del Sole era di là da venire e tutto aveva un sapore differente e meraviglioso.
In verità, l’Italia vista dalla strada statale è diversa, molto più lenta, “slow” come diciamo quando ci sentiamo più moderni, convinti di un ritorno al passato quasi necessario e con un certo rimpianto ecologico.
Sul percorso ci sono le vecchie case anni Trenta, i pini marittimi che ombreggiano la strada, negozi di una volta affiancati a modernità sfacciate, panorami dimenticati e squarci di una italianità reale e persa nel marasma quotidiano della vorace internazionalizzazione che ci fa dimenticare chi siamo.
Bene, è stato un bel viaggio, lento come era nelle nostre intenzioni e come volevamo.
Nello scorcio finale del tragitto non poteva mancare la sosta in Liguria dove l’autostrada la fa da padrona e la statale è frequentata solo da chi abita in quei luoghi o ama spostarsi in moto e percorrere tornanti che implicano marce scalate e abilità di pilotaggio.
Non interessano al viaggiatore “veloce” le bouganville arrampicate sui muri, i gerani affacciati alle finestre, gli oleandri che incorniciano la vista imprendibile di scorci di mare e di cielo o quella incredibile sensazione di tempo fermo che prende un milanese quando passa i Giovi, come se le vacanze al mare non fossero mai finite; ma, se per caso la frenesia può essere appena un poco rimandata, c’è la terrazza a mare di un ristorantino sulla strada ombrosa di mezza costa che offre la vista panoramica sulla costa su cui affacciano le Cinque Terre.
Olive, formaggio, trofie al pesto sono un cibo semplice e squisito se gustato con lo spettacolo del mare davanti e il verde delle montagne a contorno in una giornata di sole.
Le necessità fisiologiche, però, fanno parte della vita e pur nel tempo fermo di un panorama bellissimo, chiedere dove siano i servizi in quel ristorante porta indietro di un centinaio d’anni.
L’indicazione data dal proprietario che si attardava dietro al bancone per servire una birra fresca ad un altro avventore, era semplicissima: « Signora, dopo la porta a vetri, subito a destra».
La porta in questione immetteva in uno spazio destinato ad anticamera – guardaroba, un locale rettangolare che era arredato con una scaffalatura e un armadio sul lato destro seguito da un lavamani, un appendiabiti sull’altro lato,  una scala che portava ad un piano superiore e un’altra porta di fronte che immetteva in un’ampia sala con tavoli in legno lucido da birreria.
Non vedevo nessuna possibilità di accedere al bagno.
Cominciai a osservare la scaffalatura con attenzione:  conteneva videocassette e libri gialli.
A un’osservazione più attenta, notai un vecchio interruttore, di quelli in ceramica di una volta su un montante della scaffalatura che apriva sulla porta che sembrava chiudere un contenitore di abiti.
Osai aprire: all’interno (uno spazietto minuscolo) era contenuto un water con antico sciacquone con comando a catenella.
Inorridivo, ma mi decisi a fare di necessità virtù.
Tentai di entrare nell’armadio-gabinetto, ma fui incapace di superare il senso di claustrofobia e il timore che qualcuno potesse entrare nella stanza, tanto più che le ante aprivano come ogni armadio verso l’esterno ed erano prive di fermo. Seduta, comunque, non avrei potuto nè chiuderle nè fermarle in alcun modo.
Rinunciai, risciacquai le mani, perchè l’idea di aver anche soltanto toccato in qualche modo le ante dell’armadio – gabinetto mi infastidiva e tornai da mio marito descrivendo il “mobile contenitore” e ridendo sfacciatamente.
Non ci credeva, provò a sua volta, ma essendo un po’ più alto di me non entrava nel “luogo” standosene ritto in piedi.
Nel viaggio lungo l’Aurelia è stata questa l’unica nota stonata.
Abbiamo raccontato a parenti e amici la disavventura, fornendo le coordinate e sottolineandone l’aspetto ridicolo come la faccenda merita, con le considerazioni di rito dell’esperto tecnico, testimone oculare della vicenda che si meraviglia sempre come i dettami Asl e legge 626 restino inosservati in alcune zone d’Italia che pure sono vocate al turismo e famose in tutto il mondo.
Cosa posso aggiungere?
Solo che qualcuno un giorno ha detto che la civiltà di un popolo si valuta dai suoi servizi igienici.
I tedeschi di oggi sono assurti agli onori delle cronache per una porta di cristallo trasparente in un ristorante alla moda, noi italiani, anche se quasi nessuno lo sa, possiamo vantare un water nell’armadio di un esercizio pubblico in Liguria.
Il “nostro” gabinetto non è ugualmente famoso, ma di certo è frequentato considerando il numero di coperti del locale a disposizione dei clienti.

5 pensiero su “Confronti”
  1. Conosco molte cose di ciò che hai raccontato. Conosco il distinto signore, le bouganville che trovo straordinariamente belle.
    Non conosco quel water nell’armadio dell’esercizio pubblico in Liguria, ma lo immagino…. e dirti che è un vero piacere leggerti e volare al tempo stesso, con la fantasia, è scontato.
    Alla prossima, carissima.
    sandra

  2. Sei sicura che tirando lo sciacquone non si entrasse in un mondo segreto? L’armadio c’era, magari era un Narnia all’italiana.
    Mi sono divertita tantissimo. Solo tu potevi trasformare una disavventura in un mondo fantastico.
    Brava!

  3. Ciao Anna,
    ma davvero esiste un bagno così?
    Mi piacerebbe sapere se qualcuno sia riuscito ad entrarci.
    Io sarei scappata via esattamente come hai fatto tu!
    Confesso che non sapevo neanche del bagno Viennese.
    Chi sa che non finirà su i giornali on-line anche il nostro water armadio!!
    Complimenti per questo racconto che mi ha fatto davvero sorridere.
    Un saluto e 5 stelle.

  4. Un racconto ironico meditativo, su l’uomo di questo tempo -rammenta Anna- è ancora quello delle grotte e dell’aria aperta e per ultimo, quello degli armadi e dei vetri trasparenti. Immagine impietosa su una nazione incivile, che continua a chiudere senza aprire, ciò che realmente serve all’uomo. Si levi un urlo di condanna contro queste istituzioni, che rilasciano licenze senza i dovuti servizi igienici. Un caro saluto da Stefano

  5. Un bel racconto, leggendolo ho respirato anch’io l’inebriante paesaggio ligure.
    Che dire dell’armadio/bagno, quello che mi stupisce è che anch’io avrei fatto la stessa cosa, mi sarei lavato le mani solo per il fatto di aver toccato le ante.
    Siamo molto simili….
    Te lo dicevo 🙂
    Grazie…

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