Felice, elettrica, entusiasta, cos’altro?
Uno stato febbrile mi possedeva da quando la casa dei miei sogni, non era più dei miei sogni, non un miraggio, non più un’idea vaga e ronzante nella testa.
Finalmente l’occasione non solo era arrivata ma l’avevo catturata, si, il treno non era passato davanti al mio naso, quel treno l’avevo preso.
I miei anni più felici, li ricordo da bimba, il grembo caldo della nonna, le sue mani sicure, il dolce sorriso e l’abbraccio solido di chi ti vuol bene, ti protegge.
Sgambettavo nel piccolo giardino che s’affacciava dalla sua casa, con profumo di rose e gelsomino, dell’edera verde confondeva i contorni delle mura e una casetta appollaiata sotto un vecchio tetto, ospitava di quando in quando qualche musicista pennuto.
Giorni spensierati, sere piene di calda atmosfera e fumo di camino, sulle vecchie ginocchia della nonna ad ascoltare le storie che con maestria raccontava per farmi addormentare.
Ora con i miei 40 e passa anni, in questa grande città, qualche volta di sera, nella mia stanza prima di prender sonno, mi capita e mi è capitato tante volte, di cercar rifugio nei ricordi, nei pensieri di quei momenti e di desiderare più che mai un angolo di paradiso come quello di tanti anni fa.
Quelle estati sono nella memoria, sono parte di me e le amo, rimpiangendo in modo un po’ infantile l’impossibilità di riaverle.
Ed ora sono pronta. Con tanta fatica e lavoro, finalmente avrò la mia casa.
E’ il 23 aprile un giorno freddo ma pieno di sole, cammino per viottoli di campagna, una campagna fresca e nuova con fili d’erba timidi che si sporgono al primo sole, e spuntano in lontananza come nei colorati, fiori diversi, piccole primule, qualche croco e nella penombra del sottobosco scorgo gli ultimi ciuffi di ciclamini vanitosi.
Il sentiero si inoltra ancora, ora tra faggi e querce, ora tra cespugli di rosa canina e castagni secolari. Improvvisamente la luce del sole si fa più forte, si diffonde intorno ed incornicia un panorama da sogno.
Un gruppo di case sparse abitano il luogo e mi aggiro tra esse, senza perdere alcun dettaglio.
Case antiche e cosi familiari.
Mi avvicino con passi sicuri e intravedo una vecchia donna, che con movimenti lenti e di fatica, raccoglie panni colorati da lunghi fili appesi e avvicinandomi ancora si volta verso me e mi sorride.
Un saluto di buongiorno ci accomuna e tra una chiacchiera e l’altra sento che stiamo entrando in sintonia. Apre il cancello, entro e continuando a parlare le racconto del mio sogno che per lei è realtà, una casa e un piccolo giardino tutto mio.
E mentre ancora mi sorride con le rughe intorno agli occhi e l’età severa che la veste, mi guardo intorno e riconosco quel profumo inconfondibile di buono a me tanto caro.
L’occhio scruta, osserva e tutto è così delicato e soffice quasi ovattato che mi immergo sempre più in quello scenario, mentre la cara Emma mi fa entrare in casa.
Sento un tepore, ed il fascino dell’antico mi emoziona in modo forte, è una piccola casa,  ma d’istinto la sento come un nido sicuro. Lei mi guida con accoglienza e simpatia in una stanza piuttosto grande con una arredo gentile e gusto semplice.
Emma mi fa accomodare su un vecchio divano, un po’ usurato dal tempo, ma pulito e spolverato di colori che ricordano l’arcobaleno. Il grande camino è acceso e il colore del fuoco e il suo calore aggiungono al tutto quel non so ché ….di magia.
Mentre Emma traffica nell’angolo cucina, tra acqua calda, miscela di tè, zucchero e tazzine, mi parla di lei, dei suoi anni, della sua solitudine, delle fatiche che pesano sulle spalle e del destino che ormai la porta a lasciare quei luoghi.
La tranquillità dei suoi figli è averla con loro, negli ultimi anni della sua vita, tra l’amore dei parenti e le coccole dei suoi numerosi nipoti.
La sua è una vecchia casa, senza fronzoli né eccessive comodità, luogo remoto, lontano dalla quotidianità, dai rumori, che poco ha a che fare con la civiltà e un sottile dolore sembra salire in lei fino a riempirle gli occhi di lacrime.
Mi confida la sua preoccupazione più grande: lasciare tutto, le sue cose, quelle mura, gli odori, i colori che l’hanno accompagnata per tutta la vita, i ricordi.
I giorni passati accanto al suo adorato marito, la nascita dei suoi figli, i pasti caldi e saporiti gustati nel calore di quel camino, tutto insomma fa parte di lei, e l’idea che tutto vada perso è un lutto, un ulteriore lutto nella sua vita.
E mentre l’ascolto con attenzione e tanta empatia, prendo tra le mani quella tazza di tè profumato e fumante che con tanta ospitalità mi ha preparato, la guardo e sento dentro un’emozione, un riconoscimento.
Quella tazza da tè io la conosco, è lei e non può essere altrimenti.
Di sottile porcellana, bianca come la neve, con la base a piccolo cerchio che man mano in altezza s’allarga, come il tuffo di un sasso nell’acqua, riporta sulla superficie due rose gialle, una adulta e nel suo massimo splendore, l’altra accanto quasi a sfiorarla, appena nata, un piccolo bocciolo e accanto dipinta  a colore una piccola dedica “Alla piccola Elisa”.
Si è la mia tazza da tè.
Non ho mai chiesto spiegazioni alla cara Emma, ma oggi quella casa è la mia casa, ed io mi sento una regina in ogni attimo passato in quel luogo magico e vivo ancora con l’illusione che quel treno preso mi abbia portato proprio li.

 

2 pensiero su “Una tazza da tè”
  1. Molto bella, vera e sentita come le cose semplici ma ben radicate nei nostri cuori.
    Non tutti hanno ricordi così emozionanti e saldi é una fortuna che accompagna la vita e la rende meno in salita.
    Ciao. sandra

  2. Che bel quadro si dipinge nella mente, leggendo le tue parole! Usi delle espressioni molto vive, mi è piaciuta sopratutto quella in cui chiami “musiscista pennuto”un uccellino.
    Bellissimo anche il paragone tra l’ampliarsi del bordo della tazza e quello dell’acqua quando un sasso vi si tuffa dentro.
    Saper rivivere le proprie emozioni passate, sentire gli odori e ricollegarli all’infanzia è fondamentale per chi scrive. Tu lo fai e sai trasmettere benissimo il sentimento che ne ricavi. Brava!

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