Londra.
Londra era addormentata. Qualcuno in qualche libro scrisse che “ovviamente…Londra non dorme mai profondamente ed i suoi sogni sono sempre inquieti”.
Era la fine d’Agosto, ed un vento caldo e costante sollevava le cartacce dalla strada. Il sole si ergeva timidamente dietro il tetto degli edifici, come se avesse paura di mostrarsi. Era l’epilogo di una giornata tetra e paurosa.
Come ogni giorno Habram Corby, funzionario della biblioteca comunale, assorto nei suoi pensieri vaghi e confusi, abbandonata la sua casa sulla riva del Tamigi s’incamminava verso la fumosa città. Il vento tentava di spazzare via gli appunti che Habram teneva strettamente in una mano. La città era un grande intreccio di strade, piazze, salite, discese e persino alberghi, già alberghi.
Quella mattina arrivò puntuale come sempre per aprire la biblioteca, la grande biblioteca di Londra. Lui conosceva ogni punto di quell’edificio, sapeva a memoria la disposizione degli scaffali e dei libri. Lavorava in quel posto da trent’anni.
Quella mattina la biblioteca sembrava più affollata del solito.
“Buongiorno signor Corby”
“Ciao Robert”
“Ho sentito dire che è arrivato quel libro di cui ti parlavo”
“Si è arrivato ieri. Un attimo… ecco scaffale 33b”
“Grazie”.
Il giovane Robert con passo svelto si avvicinò allo scaffale, prese il libro e cominciò a leggere. Habram lo osservava spesso. Gli ricordava la gioventù prima del tragico incidente che sterminò i suoi familiari. Era assillato dal ricordo di quell’evento che spesso gli ritornava in mente quando gli capitava di vedere foto antiche o quando osservava alberghi.
Il tragico evento avvenne in un albergo di Watford. Lui era appena quattordicenne e con la sua famiglia era costretto a vagare, poiché il padre era in cerca di un lavoro. L’albergo di Watford fu l’ultimo che visitarono tutti insieme.
Watford. Molti anni fa.
Habram era intento a giocare con sua sorella Rosy, quando ad un tratto sentì un rumore provenire dalla camera 45.
In quel periodo le città inglesi erano spaventate dall’enorme ondata di delitti che si susseguivano in maniera continua. L’artefice di tutti quegli omicidi non fu mai scoperto. La gente lo chiamava “Hooded Devil”, diavolo incappucciato.
“E’ lui”- gridò Rosy -“me lo sento, è lui!”.
“Non preoccuparti piccolina”- la rassicurò Habram.
Le urla continuavano e si mescolavano al rumore di una lama. Habram uscì dalla sua stanza e corse a chiamare i suoi genitori che parlavano con altre persone adulte nel salotto dell’albergo. Ad un tratto il fuoco. Le fiamme divampavano in tutte le direzioni . Non c’era via d’uscita per nessuno. Le porte erano sbarrate, le finestre pure. Habram corse per le scale in cerca di sua sorella. Evitò le fiamme e aprì la porta della camera. Rosy non c’era. Ritornò nel salotto.
Le persone si contorcevano fra le fiamme. Si voltò e vide la sua sorellina fra le braccia di un uomo con un cappuccio nero, che correva con una torcia infuocata in mano. Lo seguì. L’uomo attraversò il muro dell’albergo e lasciò una sostanza gelatinosa verdastra attaccata al muro. Habram tossiva, Non riusciva a respirare. Si accasciò al suolo e fortunatamente toccò la sostanza verdastra attaccata al muro. Ad un tratto si ritrovò fuori dall’albergo.
Alcune persone lo aiutarono ad allontanarsi. Habram tossiva ancora. Alle sue spalle uno spettacolo pauroso. Quel giorno morirono ventiquattro persone in quell’albergo fra cui i suoi genitori. Il corpo della sorella e di altre tre persone non fu mai ritrovato. Quante volte Habram pensava a quel giorno, quante volte avrebbe voluto “rimanerci” anche lui. Non sopportava l’idea di essere rimasto solo, di essere stato l’unico superstite di quella strage.
In seguito il giovane Habram fu adottato da una famiglia benestante di Londra. Il rapporto con i “nuovi” genitori fu subito violento.
Erano anni di sofferenza per il ragazzo. In seguito grazie anche all’aiuto della nuova famiglia, Habram si ristabilì.
“Habram! Signor Habram !Venga un attimo qui!
“Arrivo”- disse con voce rauca e tossì. Si alzò stancamente dalla sedia e aggirato il bancone, andò verso gli scaffali.
Inaspettatamente vide su uno scaffale un libro mai visto prima.
“Da dove diavolo esce questo libro?!”- pensò il vecchio.
“allora vediamo un po’ la data di immatricolazione…oh mio Dio…1865!Come è possibile ?”La biblioteca risaliva al 1890.
Tolse la polvere dal libro e lesse il titolo: ErUzIoNe Di AnImE iNsAnE”
“Strano, molto strano”- pensò Habram. Chiamò a sé Robert.
“Che ne pensi?”
“1865, non può essere proviamo ad aprirlo, sarebbe interessante vedere chi lo ha scritto e quando!
Habram portò il libro sulla sua vecchia scrivania. Robert lo osservava incuriosito.
La biblioteca era affollata, ma nell’edificio regnava il silenzio assoluto.
A volte si sentiva qualche pagina sfogliata. Habram ci era abituato.
Appena toccò il libro si accorse che le lettere che componevano il titolo diventavano di un colore verdastro. La biblioteca era vuota. Anche Robert era scomparso.
L’ambiente divenne paurosamente tetro. I libri cadevano dagli scaffali. Il vecchio istintivamente gettò in aria il libro e corse verso l’uscita.
La porta era sbarrata da uno scaffale. Tentò di spingerlo. Niente da fare. Una qualsiasi persona della sua età in quella situazione sarebbe svenuta o morta d’infarto, ma lui no. Lui sapeva contro chi lottava o sperava che fosse lui. Si voltò. Vide quell’essere spaventoso che aveva sconvolto la sua infanzia e quella di molte altre persone.
L’essere lo colpì alla gamba e a lui sembrò che lo avesse fatto solo con uno sguardo. Capì la sua impotenza. Cominciò a zoppicare. Non sapeva dove andare. Tutto ciò che sembrava avere importanza era che stava arrancando attraverso quella biblioteca infernale, per superare l’oscurità e andare verso la luce. Lo spazio si apriva in ogni direzione. Il movimento era l’unica cosa che lo faceva sentire ancora vivo.
Camminò senza la più pallida idea di ciò che gli stesse accadendo. Forse un senso di impotenza lo colse e capì che non si stava muovendo.
Il movimento era solo un illusione. Era immobile. Erano gli oggetti che si muovevano intorno a lui.
Ad un tratto si arrestò. Vide in lontananza il libro. Cercò di raggiungerlo. La gamba sanguinava e lasciava la scia di sangue sul suo percorso. Arrivò in prossimità del libro. Lo vide ricoperto della stessa sostanza gelatinosa che il diavolo incappucciato aveva lasciato all’epoca sul muro. Capì che l’essere era entrato nel libro. Tra le pagine notò la foto di sua sorella e accanto quella di Robert.
“Oh mio Dio no !il ragazzo è con lui”- pensò Habram piangendo.
Prese le due foto e chiuse il libro. Aveva perso il senso del tempo. Era stanco, molto stanco.
Le ossa sembravano spezzarsi e poi la gamba, già la gamba. Era un dolore che neppure l’acqua fredda di un ruscello sarebbe riuscito a placare, un dolore vivo e rosso cupo. Strappò uno stralcio di camicia e lo legò strettamente alla gamba,. Si addormentò.
Al risveglio si ritrovò seduto sulla sua sedia accanto alla scrivania. La biblioteca era deserta,
gli scaffali erano al loro posto. Ma la gente dov’era finita? Robert che fine aveva fatto?
Aveva in mano ancora le due foto e il libro era poggiato sul bancone. Preso dall’ira cominciò a strappare in mille pezzi le pagine del libro. Mentre lo strappava su una pagina comparvero dei caratteri verdastri.
Era una lingua sconosciuta,strana. Quelle che sembravano parole si confondevano come fossero formiche con un ritmo incessante e senza senso. Ad un tratto dal libro uscì una nuvola verde,da questa una quantità sterminata di esseri volanti con facce da bimbi e corpo da pipistrelli. Gli esseri gli volano intorno senza sfiorarlo. Le loro facce erano sorridenti. Un suono pervase il cervello del vecchio bibliotecario, era la canzone che i suoi genitori cantavano a lui e alla piccola Rosy per farli addormentare. Distolse lo sguardo da quelle entità ibride. Vide fra le pagine una serie di foto di molti anni prima che ritraevano famiglie felici e notò che alcuni visi erano cancellati.
Che significavano tutte quelle foto. Fra queste ne riconobbe una. L’immagine ritraeva la sua famiglia in un piccolo boschetto poco distante dalla loro casa.
Ad un tratto si ritrovò ad inseguire la piccola Rosy che correva senza voltarsi e sembrava sorridere. Lui e la piccolina indossavano i pigiami del giorno in cui la sua vita cambiò per sempre.
“Rosy,fermati!”-gridava il vecchio con voce da bambino perché era quello che si sentiva,la gamba cessò di fargli male. La bimba sembrava non sentirlo. Ad un tratto vide all’ombra di un albero l’essere dei suoi incubi con una torcia in mano che bisbigliava alla piccola di avvicinarsi e di non aver paura. Habram corse + veloce che poteva e stava quasi per raggiungere Rosy quando gli esseri volanti con facce da bimbi gli si misero dinanzi ostacolandogli la corsa. Cadde. Prese nelle mani il bastone su cui era inciampato e cominciò a dimenarsi e a colpire il viso di quei bimbi con le ali. Continuò la sua corsa dopo essersi creato un pertugio e vide Rosy che si voltò.
“Ciao Hab!”-era così che lo chiamava quand’erano piccoli. L’essere incappucciato prese in braccio Rosy e scappò nel boschetto. Era un’immagine che aveva già visto.
“Ahh,la mano!”- Habram riconobbe la voce del ragazzo. Il grido proveniva da dietro uno scaffale. Era il 33b.
“Oh Cristo no!”- la mano del ragazzo era tutta insanguinata. Il sangue toccava terra e formava delle lettere, che messe nell’ordine dicevano:”HD ti ucciderà…ORA!”. Una scossa fece tremare lo scaffale che dopo alcuni secondi cadde. Le entità volanti scapparono via come uno stormo di uccelli dopo uno sparo. Il vecchio si tolse appena in tempo,ma il ragazzo rimase sotto.
La gamba sanguinava, il dolore era atroce. Trascinandosi con le braccia arrivò alla scrivania,prese un fermacarte simile ad un pugnale. Il silenzio regnava nella vecchia biblioteca, ora sentiva il suo cuore battere freneticamente. La fronte gli sudava. Chiuse gli occhi e si fece divorare dal buio…
“Signor Corby, signor Corby” – era Robert. Habram gli prese la mano con un gesto violento: aveva una lunga cicatrice sul palmo. Il vecchio era tramortito, la testa gli scoppiava. Si sedette a fatica facendosi aiutare dal ragazzo. La biblioteca era più affollata del solito. La gamba gli faceva ancora male.
Questo racconto in quanto è un capolavoro è anche la fonte di una fantasia che non riesco a capire da dove sia stata tirata fuori!
Comunque tengo a fare i miei complimenti al leggittimo propietario!
Bella metrica, bell’atmosfera.
Bel racconto.
Anche se l’ispirazione iniziale non trova uno sbocco d’elaborazione buono quanto lei.
Ma complimenti.
Meph
Stile inconfondibile.
La realtà che incontra l’immaginazione.
Il lettore, assolto nella lettura, smarrisce le coordinate spazio-temporali e si lascia travolgere (con un po’ di confusione, a dir la verità) dal susseguirsi delle vicende in cui trovano adeguata collocazione l’ossessione di “Hab” nonchè il suo dolore che si concretizza poi in quello fisico.
Biblioteca affollata ma silenziosa (magari ce ne fossero): un ossimoro, giusto?! Bello! Sembra testimoniare l’isolamento del protagonista dal contesto, sottolineando quanto Hab sia immerso nel suo pensiero ricorrente.
In attesa di un tuo nuovo racconto: bravo!
Però continua a scrivere, mi raccomando!
Molto semplice, forse troppo. Si può fare di più.
Bello! Ma la fine non l’ho capita. Cmq complimenti allo scrittore!