Dalla sua cattedra la professoressa Eccelsa Spaccavento tuonava.
Gli alunni della prima e della seconda fila che occupavano i banchi centrali, ondeggiavano come fruscelli al vento, intimiditi dal cipiglio dell’insegnante e da ogni salire e scendere del tono della sua voce.
Eccelsa Spaccavento era famosa per le sue urla.
La prima cosa che doveva imparare un alunno della Scuola Media “Walt Disney”, era come scegliere il banco in cui sedere nel caso la sua sezione fosse la G.
Per tre anni, due volte alla settimana, i suoi timpani sarebbero stati trafitti dagli acuti di colei che tutti chiamavano “la terribile urlatrice”. Ma alla fin fine Eccelsa non era cattiva. Non era una di quelle insegnanti sempre sorridenti che poi ti appioppava una nota se ti scappava una chiacchera col compagno di banco oppure se non ti eri fatto in quattro nell’esecuzione del compito a casa o se chiedevi di uscire durante l’ora di lezione.
No, no!
Eccelsa Spaccavento era una di quelle persone convinte che ogni urlo equivalesse ad avere ragione. E urlava, urlava… convinta che ogni sua parola fosse più vera, meglio assimilata dai ragazzi, una garanzia per tenere desta la loro attenzione.
In realtà nella scuola tutti la prendevano in giro.
I colleghi insegnanti e i bidelli la guardavano con sufficienza additandosela come un caso tipico di “povera professoressa isterica”.
I ragazzi erano divisi tra la compassione e i sorrisini con relativo sfregamento di mani quando settimanalmente le sue ore di lezione erano terminate.
Claudio, allievo di terza G, era ormai un veterano.
Era sopravvissuto per tre anni alla furia dell’insegnante che tra una spiegazione e l’altra aveva angariato i suoi alunni terrorizzandoli non con i voti, ma con le urlate: Claudio le aveva escogitate tutte per difendere il suo animo di ragazzino e soprattutto i suoi timpani. La soluzione migliore e definitiva era stata quella in seconda media di investire la sua mancetta settimanale nell’acquisto di una confezione di tappi auricolari.
!!!!Perfetto!!!!
I decibel diminuivano e le urla della prof diventavano parole normali per le sue orecchie, tanto che riusciva a restare sempre attento e perfino ad apprezzare ciò che l’insegnante diceva.
Claudio era un ottimo alunno, però, come tutti quattordicenni era anche un tipo fantasioso, burlone e pronto ad afferrare tutte le possibilità per divertirsi e divertire i suoi compagni di classe.
In quella settimana la professoressa Spaccavento spiegava le evoluzioni dell’abbigliamento nel corso dei secoli e Claudio aveva deciso di onorare quelle apprezzate nozioni con un suo personale intermezzo.
Così, suonata la campanella dell’intervallo che divideva le ore di lezione, con la complicità di alcuni compagni ben svegli come lui, si travestì da Zorro e e fu un giochetto infilarsi nell’armadio a muro per una uscita sorprendente durante l’ora della professoressa Spaccavento.
Terminata la ricreazione, infatti, quando il silenzio riavvolse gli alunni e le urla ricominciarono a a sopraffare tutta la classe, nella disquisizione sul confronto tra gli eccessi di un abito settecentesco e la semplicità di un vestito del secondo Novecento, in una piccola pausa di silenzio, Claudio balzò fuori dall’armadio nello splendore del suo travestimento da Zorro, con la maschera di rito e tanto di spadone sguainato.
Eccelsa Spaccavento, sopraffatta dallo spavento, rimase a bocca aperta, priva di parole e di urla.
La dentiera le cadde con un piccolo tonfo sulla cattedra.
Gli allievi esplosero tutti in una sonora risata e Claudio, stupefatto da quanto stava accadendo, uscì di corsa dall’aula, attraversò tutto il corridoio, scese le scale in un battibaleno, aprì la porta della Presidenza e si rifugiò tra le braccia della Preside piangendo.
Tra i singhiozzi e in un racconto confuso, confessò piangendo ciò che aveva fatto e che le urla erano di gran lunga preferibili alla vista della bocca sdentata dell’insegnante.
Ci volle un po’ di tempo e tutta la pazienza della Preside per capire quanto era accaduto e per risolvere la situazione: placare la professoressa Spaccavento, sedare la classe ormai indisciplinata e pensare a una punizione giusta per Claudio non fu cosa facile.
Alla fine tutto si risolse con le scuse di Claudio in lacrime che, da ragazzo intelligente qual era, si era accorto subito del guaio che aveva combinato e con il perdono concessogli dalla prof che da quel giorno imparò, a sua volta, a manterere un tono di voce più basso e rispettoso dei timpani altrui.
Col passare dgli anni Claudio è diventato un uomo e, ironia della sorte, è a sua volta un insegnante, un docente universitario seguito, rispettato e amato dai suoi studenti.
L’esperienza vissuta da alunno gli è servita.
Le sue lezioni sono sempre molto interessanti e il suo tono di voce è proprio quello giusto tale da non far addormentare mai chi lo ascolta, nemmeno nelle giornate di primavera quando l’illustre docente parla di Storia del Costume alla platea di allievi attenti mentre una farfalla maliziosa svolazza nell’aula affolata.
Magistrale come sempre, cara Anna.
L’esperienza insegna, sempre.
Un abbraccio.
Sandra
Bellissimo racconto! Divertente, ironico, forse un po’ malinconico e per certi versi anche didattico.
Se all’inizio della lettura viene da dire: “Poveri bambini!” anche per il nome e cognome della prof, pian piano quella certa apprensione si volge in limpido sorriso.
Certo “placare la professoressa, sedare la classe, e pensare ad una punizione giusta” deve essere stata impresa ardua per quella preside, ma poi il buon senso ha prevalso come ha avuto la meglio l’intelligenza del ragazzo che ha fatto tesoro di quel disagio per essere un buon insegnante.
Mi sono immersa nel racconto sia come alunna che come insegnante; mi intimorivo a sentire gli acuti isterici che ferivano i mei timpani e per questo non costringevo i miei alunni all’acquisto degli auricolari! E poi le urlate non servono e dimostrano sempre un senso di inferiorità e di debolezza, mascherati con la forza.
Grazie, Anna, per questo scritto che mi riporta indietro nel tempo, un tempo felice.
Un caro saluto.
Lucia
Ahahahah!
Grazie!
Ho pensato di ricominciare a proporre racconti per giovani lettori, visto che a loro piacciono e mi incoraggiano a farlo. Per quanto mi riguarda, ho una fonte di soggetti di ispirazione quasi infinita.
:)))
Un abbraccio.
anna
Bel racconto… la scuola è una fonte di ispirazione infinita. Ne so qualcosa… un bel narrare ed una lettura piacevole, scorrevole e precisa. Buon Natale
Grazie, Jack!
Peccato che sia copiato da un cd della Erikson per le dislessie…
@Andrea:
Peccato mettersi in evidenza usando forme veicolanti improprie!
La dislessia è un problema grande per chi lo vive sia in prima persona, che come genitore che come insegnante prima che sia raggiunta la diagnosi e messe in atto le risoluzioni.
Per quanto mi riguarda, è vero che leggo tutto e di tutto, ma non mi sono mai occupata professionalmente di dislessia e ignoro tutto lo scibile in merito.
Professionalmente nel corso degli anni ho avuto allievi Down, autistici, ipodotati, ma mai dislessici.
@ Racconti Oltre
Per quanto sia stata io stessa in prima persona abbondantemente copiata, non solo nei testi ma anche nei commenti, non ho mai copiato alcuno (per questo motivo mi sono rivolta alla Polizia Postale e ai responsabili di siti che offrono pagine gratuite i quali hanno provveduto immediatamente alla chiusura di tali pagine e vi è documentazione di ciò nelle pagine dei commenti di Racconti Oltre).
Il racconto “Eccelsa Spaccavento” è la rivisitazione di vicende scolastiche di cui conosco personalmente i protagonisti che potrei portare anche come testimoni in tribunale a mia discolpa.
Non copio, non ho mai copiato, non copierei mai e nello specifico non so di cosa stia parlando il commentatore Andrea.
Nella storia di ogni allievo e di ogni insegnante potrebbe capitare che ci siano vicissitudini simili, perché la fauna insegnanti/alunni si ripete nel tempo: costante, come costante è il sentire dell’uomo nel corso dei secoli.
Desidero sapere (anche in forma privata) se il commentatore è lo stesso che piazza monostelle a chi gli sta inspiegabilmente antipatico.
Grazie.
Anna Maria Folchini Stabile
X Andrea
Questo è un Sito serio, come lo sono le persone che pubblicano ormai da anni.
Prima di fare commenti offensivi, quali la copiatura di un testo, bisognerebbe essere certi e portare documentazioni ben precise, come, nel passato, ad esempio, è capitato ad Anna e a me. A tale proposito fu avvertita la Polizia Postale e oscurato il copiatore.
Si scrive per passione, e perché abbiamo qualcosa da raccontare, la copiatura è un’umiliazione, a mio avviso.
Buona giornata.
Sandra Carresi
Prego la Redazione di Racconti Oltre di prendere in considerazione il fatto che il racconto intitolato “Eccelsa Spaccavento” ( ogni riferimento a luoghi e persone non è affatto intenzionale) è stato pubblicato da me il 12 dicembre 2014 e un certo Cappellani97 su wattpad lo ha pubblicato a suo nome l’11 febbraio 2015.
È chiaro che è una evidente violazione al copyright che protegge tutti gli scritti e i commenti di questo sito come scritto nelle sue pagine e come più volte ( ma forse mai abbastanza) ribadito.
Il plagio intellettuale è furto e come tale perseguito dalla legge.
Tutta la normativa in merito è chiarissima!
Non basta fare il copia-incolla per improvvisarsi scrittori.
Provvederò a sporgere denuncia nelle sedi dovute.
Denuncia di Copyright violation a report@wattpad.com
nei confronti di cappellani 97:
Dear Sirs,
I found a Copyright violation
Tanks
Anna Maria Folchini Stabile
– my novel
http://www.raccontioltre.it/18090/eccelsa-spaccavento/
Eccelsa Spaccavento
anna 12/12/2014
– on wattpad: 11/2/2015
http://www.wattpad.com/story/32509664
“Non basta fare il copia-incolla per improvvisarsi scrittori” pienamente in linea col tuo pensiero, cara Anna! Se certi soggetti si rendessero conto di quali e quanti sentimenti ed emozioni è intrisa ogni pagina, ogni rigo, ogni parola, ogni sillaba, allora saprebbero anche apprezzare il lavoro altrui. Certi individui mi fanno solo rabbia. Mi spiace tanto per questo inconveniente e ti saluto con un pensiero affettuoso nella speranza che tu possa risolvere.
A presto.
Lucia
Vorrei anche aggiungere questa piccola cosa: chi scrive ha uno stile suo, proprio. Scrivere non è un compito di matematica, i numeri, unica certezza al mondo, sono sempre uguali, la scrittura, no.
Ogni persona ha un proprio stile nel raccontare e chi se ne intende, sa ben riconoscere ogni particolarità.
Il “copiatore” mette in gioco la propria dignità, nel caso che ne avesse qualcuna, indossa poi, il vestito dell’umiliazione e si ridicolizza davanti a tanti lettori; nel caso in cui, per distrazione, la facesse franca…, piccolissima persona all’ombra, visto che, non esisterà poi, un seguito.
Almeno l’intelligenza di riflettere sulle scelte “trappola” che una persona fa.
Sandra Carresi
Ed ecco che fine fanno i copioni:
Hi there,
Thank you for contacting us and bringing this to our attention. The following URL has been removed and is no longer on our site:
http://www.wattpad.com/story/32509664
Please let me know if you need any further assistance.
Best,
Justine
Ovviamente ho subito ringraziato:
Dear Justine,
thank you very much!!
Anna Maria Folchini Stabile
Ripeto:
– il sito è protetto da copyright.
– nel momento stesso in cui uno scritto è pubblicato, per legge, a livello internazionale è già coperto da copyright
– attribuirsi lo scritto o l’opera, a qualsiasi livello, di un’altra persona è furto.
– per quest’ultimo motivo in Germania un ministro ultimamente si è dimesso.
– il problema è stato risolto rapidamente, altrimenti avrei sporto denuncia per furto della proprietà intellettuale ai Carabinieri e alla Polizia Postale : ma ne vale la pena?
Se vi piacciono i miei scritti, comprate i miei libri.
Mi capita molto spesso anche di regalarli con tanto di dedica!
Ringrazio tutti – e soprattutto Luca Coletta e la Redazione di Racconti Oltre – per l’aiuto, per la pazienza e per l’attenzione.
Queste vicende servono di esempio per chiunque incappi in un fastidio simile.
Anna Maria Folchini Stabile
Mi piace il doppio significato e il doppio senso della parola “copioni” nel senso che colui che non sa scrivere è un copione perché non sa fare altro che copiare per cui necessita sempre di un copione, da copiare, naturalmente!
Vedi… certi tipi si obliterano con le loro stesse mani!
Un caro saluto.
Lucia
Ho apprezzato tanto questa storia, mi ricorda un po’ gli anni delle superiori, nonostante io le abbia finite da poco ne sento già la mancanza e questo racconto mi ha fatto rivivere alcuni di quei momenti bizzarri e strampalati. Io amo leggere e scrivere, infatti nel tempo libero creo storie, anche se non sono ancora soddisfatta delle mie tecniche di scrittura che devo ancora affinare. Inoltre la professoressa sopra citata mi ricorda tanto la mia insegnante di matematica che con le sue urla riempiva i corridoi… ah che ricordi.
Racconto davvero carino. L’ho trovato divertente e leggero. L’unico piccolissimo accorgimento che personalmente vorrei fare è che trovo alcuni vocaboli un pochino difficili per i ragazzi. Sto seguendo un ragazzo di 14 anni e insieme abbiamo letto il racconto. A entrambi è piaciuto molto ma ammetto che talvolta ho dovuto cercare il significato di alcuni termini sul dizionario…. in ogni caso complimenti Anna. Ho letto anche altri suoi racconti e mi piace molto il suo modo di scrivere.
A me è piaciuto molto perché faceva ridere ma il fatto che i suoi colleghi la prendevano in giro non mi è piaciuto.
Cari Giada, Barbara e Brandon,
il mondo della scuola è così, perché il mondo “fuori” dalla scuola è così.
La scuola è un microcosmo.
Chi è stato alunno prima e insegnante dopo ha molti esempi simili di vicende da ricordare e raccontare.
Una “storia” attira quando ci si “riconosce”, si partecipa, fa sorridere o suscita il rammarico necessario per spronare a un impegno che possa cambiare situazioni analoghe.
Io scrivo volentieri racconti per “giovani lettori” cercando di offrire loro esempi di vicende che abbiano un messaggio per loro e che possa aiutarli a trovare “speranza”, perché il posto di ognuno nel mondo può essere condizionato proprio dal modo in cui gli viene “insegnato” ad affrontarlo.
Quanto al linguaggio che utilizzo, cerco di rivolgermi ai lettori giovani nello stesso modo in cui mi rivolgevo ai miei allievi : c’era un giorno al mese in cui qualcuno di loro era chiamato a sostenere una tesi assurda, per esempio la necessità di abbuffarsi di patatine fritte, con tutto il resto dei compagni che sostenevano (educatamente e con passione) tesi opposte; oppure ci si dava rigorosamente del lei (nessuno dei miei allievi sbagliava l’uso dei congiuntivi o dei condizionali), perché nessuno è ragazzino per sempre; e ancora: in classe vigeva una regola, cioè chiunque non avesse compreso il significato di una parola, doveva alzare “la zampetta” e chiedere spiegazioni. L’idea della zampetta faceva sorridere e demonizzava il non sapere personale a vantaggio del voler sapere collettivo, perché la scuola è proprio questo: uscire dal mondo ovattato del non sapere per aprirsi al mondo con il desiderio di sapere. Come diceva Gramsci la conoscenza passa proprio attraverso anche la conoscenza del significato delle parole e forse un linguaggio sempre troppo elementare impoverisci sia chi lo usa che chi ascolta.
Per quanto mi riguarda, io ho un ricordo splendido dei mie anni scolastici comunque vissuti, sono in contatto con molti dei miei ex-allievi e mi è capitato di avere come allievi anche i figli di ex allievi.
La “scuola” è proprio così come la si “vive”.
Sicuramente riuscire a non gridare in classe e farsi ascoltare sempre è la migliore cosa in assoluto. Ma penso che ci sono momenti in cui è necessario gridare ed avere un bel tono forte di voce è un dono, cosa che io non ho.
Quanto alla storia: bellissima.
Eppure… mi sarebbe piaciuto essere la professoressa Spaccavento! E con lo stesso cognome.
Carino, scorrevole, è una delle poche storie che non mi ha annoiato, fossi stato Claudio sarei scappato viaaa