Quella, era una mattina diversa dalle altre. Tutto aveva uno strano sapore in quell’alba e lo sapeva benissimo Anna: da quel giorno la sedia accanto alla sua, nell’ufficio, sarebbe rimasta vuota, probabilmente nessuno avrebbe più colmato quel vuoto che tanto la angosciava e le straziava il cuore.
Erano da poco scoccate le otto, ed eccola puntualissima come sempre salire gli ultimi gradini che la avrebbero portata alla soglia della sua “nuova casa”, così lei aveva chiamato il suo studio da quando lo condivideva con Luigi.
Lo si riconosceva il suo passo pigro tipico delle otto di mattina, e il suono dei suoi immancabili stivaletti coperti a metà dal lungo giubbetto di pelle, color panna. In testa come sempre indossava il cappellino nero dal quale uscivano timidamente alcuni riccioli biondi.
Entrò, e quasi in maniera sistematica aprì la borsa e gettò sulla scrivania il fascicoletto delle pratiche da sbrigare, appese il giubbetto, diede un’occhiata superficiale fuori e alla fine trovò il coraggio di girarsi e guardare dritto lì sopra la scrivania, dove era abituata a vedere Luigi… c’era un mazzo di fiori al suo posto ed una foto poco più in là che lo ritraeva sorridente, spensierato. Rimase persa per un attimo, quasi come se non avesse mai saputo del suo tragico incidente, come se nessuno l’avesse mai informata, tanto era il dolore e la voglia di non credere che tutto ciò che sapeva ormai da una settimana era vero.
Poi guardò svogliatamente il computer, lo riaccese meccanicamente e diede una rapida occhiata alla posta elettronica: 13 messaggi… erano troppi, decise di non leggerli, anche perché non ci sarebbe neanche riuscita. Ed ecco di nuovo che il suo sguardo ricadeva sul sorriso di Luigi, quel sorriso che la aveva accompagnata per 5 lunghi anni nelle sue giornate di lavoro, quel sorriso che aveva imparato a conoscere non solo da collega, ma anche da amico, da persona a cui confidare i propri problemi, con la quale condividerli. In un attimo le vennero in mente mille ricordi, mille battute, centinaia di risate fatte dopo la pausa pranzo magari dopo aver letto qualche mail scherzosa o qualche articolo stravagante…
Ancora con la testa immersa nei pensieri si diresse sulla macchina del caffè e solo dopo qualche minuto si accorse che aveva preparato due tazzine, tanta era l’abitudine. Fu in quel momento che uscì la prima lacrima e poi via tante altre… e già le sembrava che lui stesse lì accanto e la stesse consolando proprio come faceva quando le parlava dei suoi problemi amorosi. Affranta si sedette nel posto di Luigi, per vedere se ciò le avrebbe fatto sentire meno la sua mancanza, ma nulla cambiò e in pochi minuti ritornò ad accasciarsi sulla scrivania in preda al dolore.
Arrivarono ormai le otto e mezza, ecco la prima chiamata, il telefono squillo, Anna di soprassalto si risvegliò da quell’incubo, asciugò le lacrime, si ricompose e alzò la cornetta… quella mattina avrebbe dovuto rispondere lui per primo…
là, dove lavoriamo, passiamo metà della nostra giornata e giustamente, come hai fatto ricordare, nascono amicizie e affetti di ogni genere.
hai ben reso il senso di lutto che ci prende quando chi sta nel nostro mondo affettivo viene meno.
da donna, mi permetto di sottolineare che un “giubbetto”, per quanto lungo, non può arrivare agli stivaletti, forse volevi dire un “cappottino”…
Hai trasmesso bene il dispiacere, quel senso di vuoto, di mancanza di qualcosa, quella delusione che segue un atto istintivo, ricambiato fino a poco prima, che non trova più il suo solito interlocutore.
Triste e ben scritto, riguarda una reazione molto comune alla morte di una persona vicina, far finta di nulla o non realizzare la cosa. IL momento in cui la realtà ci si para davanti però inevitabilmente arriva…