Tutto lasciava presagire il meglio. Per me. La notte stessa, avevo fatto uno strano sogno e il mattino seguente la stessa strana sensazione mi era rimasta attaccata addosso, come poche volte accade che sogni qualcosa di veramente bello, e da sveglia cerchi di continuare quel sogno, per prolungarne i fili interrotti e bruscamente spezzati dal risveglio. Un’insolita allegria mi accompagnò quella mattina, per tutta la colazione, in bagno, davanti all’armadio e si confondeva al pensiero di lui, che in sogno, avevo visto accanto a me. Entrambi, in una luce opaca, come quella che passa dalle serrande socchiuse, camminavamo in una direzione a noi ignota. Ma non avevamo paura. Ricordo nel sogno solo la mia mano calda nella sua, che più grande della mia mi stringeva finanche il polso e le nostre ombre che quasi si fondevano sull’asfalto, e qualche sassolino ai lati della strada. Presi il telefono, tremante come spesso accade. Non c’era il suo squillo. Chiamai. Il numero non era attivo. Cosa assai strana pensai. Come due giorni fa, quando al telefono mi chiese: “Sabato vai in qualche posto particolare?” “No, dove vuoi che vada”. Presi di corsa le mie cose, e uscii. E per tutto il tragitto quella strana sensazione mi attanagliava lo stomaco, e ben presto divenne debole speranza, e quasi certezza. Ripetevo quelle parole, continuai a provare, ma il numero era sempre non attivo. Ben presto la mia allegria si tramutò in estasi, irrequietezza, e mai mi venne in mente che potessi sbagliare, che il mio istinto potesse fallire dove la mia immaginazione e la speranza si erano spinte troppo oltre, ma ormai era troppo tardi per tornare indietro: il mio cuore batteva ritmicamente come una marcia trionfale, suonava a festa, e io mi sentivo solo un po’ più ansiosa del solito. Avrei voluto che i minuti mutassero presto in ore, e venisse la sera, per potermi ritrovare nella piazza, là forse ci dirigevamo nel sogno. Non riuscivo a stare calma. Come non pensare? Era esattamente dal 3 febbraio che non smettevo di pensare a lui, da quella sera in cui lo vidi lì, accanto alla panchina rotta, nel centro della piazza ad attendermi E’ da quel giorno lì che il mio cuore ha saputo di avere un padrone, e da quel giorno ho saputo di amarlo, come nessun altro mai, e che la mia non era affatto un’infatuazione momentanea, che nonostante il lungo oblio, la separazione forzata a cui ci costringemmo, per necessità contingenti, per evitare dolori, rimandando ad altra vita la nostra passione, l’amore aveva sempre albeggiato nei nostri cuori, senza mai spegnersi, era là dentro di noi, e io lo seppi quando lo vidi, quando istintivamente corsi a lui, e lui lo seppe quando non potè fare a meno di odiarmi, vedendomi con un altro, e di guardarmi negli occhi e vederci riflesso noi due, e il passato. Ogni volta che ripensavo a quella sera, sentivo sempre come se la felicità alla bellezza di quel ricordo fosse mescolata in parte uguale alla tristezza: ma la vita ti offre sempre una possibilità di fare bene, l’importante non sbagliare due volte. E Dio solo sapeva quanti sforzi stessi facendo per non sbagliare di nuovo, per non perdere lui e me.
La mattina sembrava interminabile, ma mi accompagnava il suo pensiero. Lo sentivo vicinissimo a me, dietro di me. Avvertivo quasi la sua risata, e il suo sguardo fiero. E come accade, non mi girai nemmeno una volta, per paura che tutto svanisse, e mi trovassi sola con i ricordi. Come quando da bambina credevo che le mie bambole, una volta spenta la luce e chiusa la porta parlassero tra loro e giocassero: ma nonostante tutti i miei inganni, la velocità fulminea, le trovai sempre nella medesima situazione in cui le avevo lasciate.
E così passò anche quella parte. Contavo anche le ore, mi costringevo a concentrarmi sulle equazioni in seno e coseno, ma la mia mente era altrove. Ci fu un momento in cui davvero caddi in una sorta di trans, persa nelle pagine della mia immaginazione, e quando mi svegliai quasi rimasi delusa di trovarmi seduta presso la mia scrivania, con un libro aperto dinnanzi agli occhi e non lì, dove ero stata poco prima. Allora risi della mia stupidità.
Finalmente venne la sera. Mi preparai con cura, scelsi il mio abito migliore, mi acconciai i capelli, come se lui fosse sotto casa mia, e mi aspettasse. Mi facevo bella per lui, per quando mi avrebbe vista di nuovo. Mi avrebbe dovuto trovare bella, e avrebbe dovuto avere una stretta al cuore pensando che ero truccata e vestita in quel modo solo per lui, e che quella ragazza lì davanti era solo sua. Man mano che avanzavo verso la piazza, a piedi, esitando, il mio cuore batteva più forte e credevo di morire. Camminavo studiatamente piano, perché, in qualunque punto egli si fosse trovato, avrebbe dovuto vedermi chiaramente. Mi infastidivano gli sguardi degli altri ragazzi, tiravo avanti “Impertinenti”. Pensavo solo a lui, a quanto fosse bello, alto, intelligente, carino. Perché lui era mio, e io sua. La mia amica, Ambra, se ne andò con il suo ragazzo. E fu la prima volta che il mio cuore non ebbe un moto di stizza. Anche a me sarebbe stato concesso di stare con la persona che amavo, anche io avrei avuto la mia parte di felicità. Le ore passavano, lente. Gente che andava, e gente che arrivava, la piazza di svuotava e si riempiva. Il cielo si scuriva. “Ora lo vedrò arrivare di lì, e gli correrò incontro”. “Forse è meglio che faccia un giro, così mi vedrà”. “Dovrei mettermi al centro della piazza”. E man mano il mio cuore perdeva le sue forze, e non ero più così sicura. Soprattutto, ero sola. Arrivò Ambra. “Dunque, c’è?”. Incominciò perfino a piovere. L’acqua bagnava i pioppi, le panchine, la gente corse a cercare un riparo, alcuni ragazzi vestiti di nero continuarono a rimanere in piedi vicino al bar, dove si trovavano, senza far caso alla pioggia, e io pure tacevo, e piangevo, e la pioggia non era niente; bagnava la strada asfaltata, i cappotti nuovi, i vestiti, disegnava pozzanghere. “No”.
Abbracciata al suo ragazzo, ridendo divertiti della pioggia “Non fa niente, tanto vi vedrete fra tre mesi…”.

 

4 pensiero su “Bastava solo ricordare”
  1. Non ho capito la fine, forse manca un pezzo. Il flusso di pensieri è scritto bene ma non mi è chiara la trama L’appuntamento era combinato oppure lei sperava solo di vederlo?

  2. si in effetti questo racconto non si comprende se non si conosce la vera storia… lui e lei abitano a distanza, e lei aveva avuto un presentimento del suo arrivo, e questi erano più o meno i suoi pensieri quel giorno, tra l’ansia e la speranza. Ma mi ero sbagliata. La parte finale rappresenta più o meno l’incapacità da parte di alcune persone di comprendere il dolore degli altri, e l’egoismo che molte volte si cela sotto l’affetto.

  3. be grazie a questo racconto non ho preso 2 in italiano grazie all’autrice 😀

  4. prego….ma faresti meglio a farli da te i racconti e a non copiare quelli degli altri

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