Le giunture degli arti rispondono a stento ed il passo, per forza di cose, è affaticato mostrando a tutti un’andatura a strascico, pesante.
E’ abbastanza tardi e fa alquanto freddo in queste sere di Gennaio, ma venir meno alle abitudini, al mio unico amico, sarebbe doloroso.
Ci basta mezzo sguardo e come sempre i nostri passi, lenti ed incerti su questo nero ed umido lungomare, vanno in accordo.
Sappiamo di apparire goffi come se stessimo trasportando alle caviglie tutto il peso della nostra età e di incrociare spesso le braccia dietro la schiena come prigionieri ebrei, ma nulla possiamo; è parte di noi.
Camminiamo, procediamo, niente! Non esce una parola.
Le dita ingiallite stringono tremolanti il filtro tra le labbra. Dal rumore d’emissione e dalla data traiettoria del fumo, capiamo.
La brezza, sottile e pungente, fa sì che i nostri esili esseri affondano nel cappotto, nel maglione, nelle sciarpa, nel cappello. Una parte anche nei calzini e nelle scarpe.
Non si parla stasera!
Il nodo alla gola, della reciproca compassione, ha bloccato le corde vocali. Prima o poi doveva succedere e questa è proprio quella volta.
Sento che i pensieri di entrambi sono malinconicamente concentrati su quelle adorabili donnine che per oltre mezzo secolo abbiamo avuto al nostro fianco e che ora ci vegliano da lassù lanciandoci, di tanto in tanto, qualche bacetto e rimproverandoci bonariamente, come sempre, di qualcosa.
Noi, logore locomotive nella nebbia, neanche un fischio.
Intorno a noi l’alone di tristezza, che ci fa da cornice, è visibile da lontano. Il forte imbarazzo del comune dolore carica ancor più il peso dei nostri piccoli, ondulanti, passi.
L’indifferenza della gente ci ricorda di essere “passato”, ma la loro attenzione ci darebbe ancor più fastidio.
Ora è vento e neve, freddo e gelo. Bufera e quant’altro possa scatenarsi in questo cielo maledetto e nei nostri poveri cuori.
E’ meglio andare a letto stasera. Neanche una parola!
Solo mezzo sguardo e un piccolo cenno d’intesa col capo.
Questa volta,
nessuno di noi due è stato veramente bravo.
l’inverno fuori e dentro di noi.
un bel modo di rendere la solitudine interiore, il freddo dell’incomunicabiltà, la stanchezza del corpo e della mente.
triste quel gettare la spugna finale: neanche un saluto, per me e per quell’altro me stesso che condivide la mia solitudine.
bravo.
ciao
Molto bella e triste, come a volte lo é la vita.
Ciao. Sandra
Mi hai fatto pensare a mio nonno, che non vedo da un po’, siamo lontani e mi manca. Anche lui non puó fare a meno di uscire e chiaccherare con il suo amico, anche mia nonna lo aspetta e rimprovera, e mentre tu continuavi a descrivere un uomo stanco e in la con gli anni, io non potevo far a meno di volergli bene. Scusa, con affetto Tilly.
Grazieeeee…