L’incipit di questo racconto (“C’era una volta un re… senza svenire per trenta secondi”) è un’idea di Mattia Ferrari, menestrello di Jorvik.
Un saluto e tanta simpatia per lui e per i suoi amici.
C’era una volta un re.
E morì.
A causa di questo fatto si cercavano pretendenti al trono che avrebbero avuto la mano della regina vedova.
Si presentarono un’infinità di principi belli e prestanti e anche principucoli con il fisico di un pensionato anemico, ma tra tutti spiccava un nobile basso ma distinto, il famigerato Fabricio Francisco Franco Fernandez y Farfallon de la Frontera Fazio Fanin, conte di una sperduta regione della Spagna, la Bracalacaduria.
Costui era un giovane simpatico e assetato di potere, che aveva però un piccolo difetto di pronuncia: non poteva pronunciare la lettera F senza svenire per trenta secondi, ma, per grazia di Dio, il guaio accadeva solo se la lettera F era iniziale di parola, altrimenti sarebbe stato necessario inventare una nuova lingua per parlare di lui e con lui.
Ad ogni buon conto, la cosa era ugualmente una vera condanna, poichè quando se ne dimenticava, stramazzava per terra a faccia avanti sbattendo la fronte alta e spaziosa, la quale, invero, era tutta bitorzoluta e coperta da una frangia di capelli neri che nascondevano lividi e protuberanze.
Fin dalla sua più tenera età, familiari e famigli, compresa la gravità del problema che affliggeva il poverino, il quale non poteva neanche dire come si chiamava, avevano risolto di chiamarlo Bricio Cisco Ranco, nome che, seppure abbreviato, restava degno di un figlio di nobile schiatta quale egli era. Del cognome non si parlava mai: tutti lo conoscevano.
Alla morte del padre, che avrebbe preferito vederlo monaco di clausura, piuttosto che saperlo impegnato in discorsi ufficiali e in relazioni di buon vicinato, divenne capo della casata e nuovo conte.
Fu allora che si conquistò il titolo di famigerato.
Un giorno, infatti, si lasciò prendere da un impeto d’ira per essere caduto nella (f)ontana, vicino alla quale si era appartato con una (f)anciulla di nome (F)iorella in una (f)antastica notte di (f)erragosto per dichiararle il suo amore e (f)arne la sua (f)idanzata, ma questa lo rifiutò, dichiarando che non riusciva a pensare a come sarebbero stati i loro (f)igli se avessero ereditato il difetto del padre.
(Fa)bricio (Fran)cisco (F)ranco, deluso e amareggiato, bandì dalla sua contea tutto quanto aveva a che fare con la lettera F iniziale.
Sparirono così forchette, fazzoletti, fuochi, farfalle, formiche, fagiani, fringuelli, Fiorelle, Francesche, Ferrucci, Federichi…..
…. e soprattutto fantasia, felicità e fidanzate.
Per evitare ulteriori problemi allontanò anche i tre fratelli minori inviandoli in Britannia come paggi del re, ufficialmente al fine di intrattenere buone relazioni e per fare imparare loro la lingua, ma con lo scopo recondito di toglierseli di torno, visto che erano un po’, solo un po’, più belli di lui, più alti di lui e senza alcun difetto di pronuncia.
Bricio Cisco Ranco si ritrovò solo.
In buona salute, senza bitorzoli in fronte, ma solo.
Quando prese coscienza del suo errore era ormai troppo tardi.
Nessuno voleva avere a che fare con un uomo ricco e nobile, ma preoccupato solo di sé e del suo benessere.
Fu allora che giunse il messaggio della regina vedova:
…..”Tutti li omeni et nobili et scapoli del reame si conducano a corte per gareggiare in duelli, trielli et più alla conquista dell’augusta mano”….
Al nostro conte non parve vero di lasciare il suo triste castello e quella remota contea per cavalcare con il suo destriero alla volta della capitale. L’idea, infatti, di nuove occasioni e possibilità di incontri gli rallegrava il cuore.
Sperava nel suo intimo di essere scelto dalla sovrana tra i tanti pretendenti e lo allettava l’idea del viaggio, perché avrebbe visto persone nuove, luoghi nuovi, città nuove e chissà che non avrebbe incontrato anche qualche sapiente che con pozioni, fatture ed incantesimi non potesse guarirlo dalla sua malattia.
Partì dunque dalla sua Bracalacaduria alla testa di un manipolo di fedelissimi.
Cavalcarono per giorni e giorni attraverso boschi ombrosi e misteriosi.
Guadarono fiumi impetuosi e gorgoglianti.
Attraversarono territori aridi e vuoti.
Dormirono sotto cieli stellati e scintillanti.
Alla fine del lungo viaggio giunsero in vista della città.
“…antastico! …avoloso! …ascinoso! Mai visto un luogo così” disse Bricio Cisco Ranco che con i suoi prodi ammirava il panorama che si offriva agli occhi dei viandanti dall’ultima collina prima di scendere nella pianura là, dove la capitale si stendeva con le mura, i torrioni, le chiese e il palazzo reale con le case dei nobili più vicine e quelle di tutti gli altri sudditi più discoste.
“Città, sei mia!” pensò tra sé e a voce alta disse: “Seguitemi! L’avventura inizia, tutto sarà possibile”.
Ed effettivamente l’avventura era iniziata e continuata con risultati migliori di quanto egli stesso si fosse aspettato: bravo nell’usare la spada, la lancia e la mazza, non c’erano colpi che non conoscesse.
Per affondi, allinei, assalti, attacchi, finte, difese, piattonate, salti indietro, stoccate e traccheggi non aveva uguali.
Vinse duelli al primo e all’ultimo sangue e divenne ben presto l’eroe della corte.
Dame e damigelle impazzivano per lui: se lo contendevano nei balli e nelle passeggiate con e senza chiaro di luna. Trovavano il suo eloquio unico e affascinante: aspirava in modo d .e .l .i .z .i .o .s .o alcune parole; per farla breve, era diventato un tipo alla moda.
La stessa regina vedova sentiva parlare sempre più spesso di lui.
Le sue dame parlottavano fitto fitto commentandone le imprese, cosicchè un po’ di curiosità la tormentava: se questo conte era venuto per conquistare la sua mano, perché non si concentrava sulla “sua” mano? Perché compiaceva tutte le donzelle della corte? Era o non era lei la regina, altresì vedova ancora per poco?
Anche nel petto della sovrana batteva un cuore e, proprio lei, che già una volta si era sacrificata obbedendo alla ragion di stato e all’interesse della sua famiglia sposando un uomo panzuto e anzianotto; lei, che aveva fatto la chiama dei nobili del paese pensando a ciò che sarebbe stato meglio per il regno e non per sé stessa; proprio lei, dicevamo, cominciava a pensare che non le sarebbe dispiaciuto un marito giovane, di bell’aspetto, atletico, intelligente, simpatico, di buon carattere e desiderabile.
Orbene, quando anche l’ultimo avversario fu sconfitto, nulla più separava Bricio Cisco Ranco dalla regina e dal trono. Finalmente quella mano era sua! E con la mano tutto il resto: potere, onori, ricchezza, gloria.
Tutto.
Ma un dubbio lo prese: e se la sovrana alla fine non intendesse sposare un uomo come lui, un po’ impedito nel parlare, un po’ basso di statura, un po’ provinciale, molto solo e un po’ pieno di sè?
Alla fine, non sapeva nulla di lei.
Ella appariva sempre distante e compresa nel suo ruolo e, sebbene fosse graziosa nell’aspetto e compita nei modi, non rivolgeva mai la parola a nessuno, al massimo sussurrava qualcosa al fedele ciambellano che poi ad alta voce riferiva alla corte il pensiero della regina.
Alcuni dicevano che patisse sempre, in ogni stagione, di un feroce mal di gola.
Altri sussurravano che avesse una voce da ranocchia, roca e sgraziata.
Nessuno, però, le aveva mai sentito fare un discorso filato.
Più che altro la regina sorrideva, muoveva graziosamente il capo, salutava con la manina, si muoveva con leggerezza e con leggiadria.
Ma parlare no: non parlava.
Anche quando ci furono dapprima i grandi festeggiamenti che proclamarono Sua Eccellenza Fabricio Francisco Franco Fernandez y Farfallon de la Frontera Fazio Fanin, conte di Bracaladuria e Grande di Spagna, pretendente ufficiale alla mano di Sua Maestà la Regina e successivamente durante la cerimonia del sontuoso matrimonio, i due si sorrisero, si piacquero, ma non si parlarono.
Non ebbero modo di affrontare alcuna conversazione assieme.
Fu così che nella loro prima notte di nozze, chiuso fuori il mondo dall’appartamento reale, si ritrovarono finalmente soli, l’uno davanti all’altra, per la prima volta.
Un’infinità di pensieri attraversò le loro menti.
Si guardarono negli occhi, si strinsero le mani con tenerezza e con passione pronunciarono i rispettivi nomi:
“Fabricio…”
“Fiammetta…”
E caddero l’una nelle braccia dell’altro.
Svenuti.
Scorrevole, simpatico e spassoso.
brava.
ciao. Sandra
Troppo forte! Brava anna mi é piaciuta tanto, mi sono divertita.
Fiabe d’altri tempi, ottimamente narrata, scritta e strutturata. Non è facile oggigiorno sorridere spensieratamente. Brava Anna…
Bellissimo racconto Anna! Scritto con uno stile impeccabile ed appropriato. Mi hai ricordato la dissacrante ironia di Eco in “Baudolino”. Complimenti! Ciao.
Molto divertente, originale, bella veramente.
Grazia
Anna, mi hai “atto” divertire.
Il racconto è avvincente, ben scritto, divertentissimo e denota una “antasia” straordinaria.
Basta leggere Fabricio Francisco Franco Fernandez y Farfallon de la Frontera Fazio Fanin, conte di Bracaladuria per averne un’idea.
Che dire: “antastico”!
grazie a tutti per i vostri apprezzamenti
per D:
anche se nella dissertazione su argomenti di principio posso sembrare rigida, credo di aver dato in questo racconto- ma io scrivo spesso così- la dimostrazione che nessuno di noi è quello che sembra e Pirandello ne sapeva qualcosa.
mi piace l’aspetto umoristico delle vicende umane, il lato B di ognuno di noi e dei fatti che ci vedono protagonisti.
sono poche le cose che possono essere travolte da un mare di lacrime, molto più spesso è meglio seppellirle sotto una valanga di risate…..
Mi allaccio al tuo dialogo con D. Mi è piaciuto molto quello che hai espresso. E anche come concludi “meglio seppellirle sotto una valanga di risate”…ma bisogna essere capaci di farlo perchè non è affatto semplice.
E tu sei capace.
Ancora complimenti.
Sottoscrivo ciò che ha detto Madeleine e mi piace ciò che pensi.
E per finire mi piace un sacco pure Pirandello.
Ciao
per Madeleine:
grazie per quello che hai scritto.
non credere che sia sempre facile trovare la forza o il coraggio di reagire ad una sconfitta o ad un dolore con il sorriso o, addirittura, saper ridere di un “contrattempo”, di ciò che cambia il corso normale, previsto o sperato degli eventi.
ma la vita è così.
bisogna imparare ad adattarsi agli eventi,
farsi giunco e sapersi piegare al vento, pronti a rialzarsi e nuovamente pronti a vivere ciò che di nuovo ci aspetta.
riuscire a farlo dà forza a chi lo fa e infonde coraggio in chi gli sta vicino.
è esercizio di volontà, è amore per se stessi e per la vita, è capacità di spostare l’attenzione da sè per focalizzarla su tutto ciò che ci circonda e che ha in sè sempre qualcosa di bello che merita di essere preso in considerazione.