Era la notte di San Silvestro e faceva un freddo cane. La neve, caduta abbondante nei giorni seguenti Natale, era ammassata ai lati delle strade e ricopriva auto in sosta e marciapiedi. Nei vicoli troppo stretti, dove lo spartineve non passava, s’era spalato a braccia una striscia nel mezzo, giusto perché si potesse camminare in due affiancati; in alcuni tratti, dove il vento n’aveva portata di più, si affondava fino al ginocchio.
Amina e Sebastian si erano ricavati un posto sotto la grondaia, pestando la neve tra due cassoni per l’immondizia e foderando l’improvvisato giaciglio di cartoni spessi, trovati sul retro dei Grandi Magazzini. Di lì proveniva anche l’appendiabiti rotto, che Sebastian aveva sistemato con dei tappi di sughero; le coperte ricevute dai Volontari, poggiate sopra di traverso, facevano da tetto e quella “trovata” da Amina li avvolgeva strettamente.
La neve aveva ripreso a cadere nel pomeriggio, e turbinava fine in mulinelli portati a zonzo da folate di vento gelido.
Sebastian, infagottato alla meglio in abiti usati, sdruciti e troppo larghi per lui, teneva Amina tra le braccia; aveva fame ma non così tanta da lasciare il riparo.
Amina non ricordava d’aver avuto mai così tanta fame e così tanto freddo insieme, nemmeno quando avevano dormito in macchina con mamma, prima che lei salisse in cielo; anche Miao sembrava mezzo morto, tutto appallottolato in grembo ad Amina. Sebastian lo guardò sbuffando; una bocca in più da sfamare proprio non ci voleva ma se serviva a tenere Amina lontano dai guai, avrebbe diviso volentieri il poco che riusciva a racimolare con quella palla di pelo spelacchiato.
Il vento diede tregua e Sebastian uscì dal tugurio, trascinandosi appresso Amina. Percorsero per un tratto la strada illuminata, cercando di mantenersi ai lati, nella speranza d’intercettare il camper dei Volontari: alla peggio, pensò Sebastian, avrebbe trovato il modo di far mangiare una zuppa calda ad Amina; non c’era denaro bastante per due pasti. Per ironica sorte, i Volontari s’erano fermati di fronte ad un ristorante italiano. Sebastian spinse Amina al riparo di grandi vasi, seduta su di una grata giusto in angolo con la vetrata del locale. Tornò poco dopo con un paio di contenitori di zuppa di legumi e un bicchiere di latte caldo. Sfilò dalla tasca un mezzo coccio dove versò un sorso per Miao e stettero tutti e tre su quella griglia. Di sotto i loro piedi, vociare e umori di cucina salivano su a dare manforte ai morsi della fame. Sebastian non aveva ancora finito di mangiare che Amina richiamò la sua attenzione con una pacca sulla spalla.
Guarda! – disse, indicando una tavolata di sei persone; una coppia anziana, una coppia adulta e due ragazzi, più o meno della loro età.
Sono entrati tutti sorridenti e guardali adesso! – fece Amina, fissando suo fratello a bocca spalancata.
Neanche il tempo di finire l’arrosto e litigano! Saranno scemi? – scosse la testa sghignazzando.
Noi – disse, puntando l’indice verso Sebastian, in un crescendo di risata. 
Noi non litigheremmo mai, prima del dolce!

 

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