Continua da: Ride Natty ride (prima parte)

Decise che avrebbe agito la sera stessa, ma doveva essere molto cauto e preciso. Tutto doveva essere perfetto, e lui aveva calcolato ogni cosa fin nei minimi particolari. La scintilla sarebbe partita da Clark, ovviamente. Aveva sempre visto in lui l’origine della sua disperazione. La sua stanza si trovava al terzo piano dello stabile, mentre Adam ne occupava una al secondo; Jacob aveva il bagno all’esterno della sua celletta, a circa venti metri di distanza. Solitamente il sabato pomeriggio lasciava il collegio intorno alle cinque meno dieci per dirigersi al vicino campo di football, dove si allenava con la squadra della città. Adam lo osservava sempre dalla sua finestra, mentre usciva dalla porta principale. Era diventato un appuntamento per lui, o forse più un’ossessione. Poi a volte lo vedeva rincasare intorno alle sette e un quarto, con la tuta sporca e i capelli sudati e appiccicati alla fronte. Evidentemente non faceva mai la doccia negli spogliatoi del campo insieme agli altri, e Adam provava divertimento ad immaginarne i motivi. Sperava che anche quel giorno sarebbe stato così.

Quel sabato attese di vederlo comparire dalla finestra con ansia e preoccupazione.

(e se oggi decidesse di rimanere in camera?)

E infine, con un salto al cuore, vide le sue spalle possenti ondeggiare lungo il viale che portava fuori dalla residenza. Seguì un’attesa che gli parve interminabile; secondo i suoi calcoli non poteva agire prima delle sei e mezza.

E alla fine arrivò il momento.

Fece un rapido ripasso mentale dei suoi compiti, prese il paio di cesoie che quella mattina aveva rubato dal ripostiglio del giardiniere, le nascose sotto il maglione e partì.

Fu fortunato, perché non incontrò nessuno sulla rampa di scale che portava al terzo piano. Dopo aver dato un rapido sguardo intorno, si incamminò verso il bagno di Jacob, cercando di attutire al massimo il rumore dei suoi passi. Si sentiva stranamente calmo, come se stesse semplicemente andando a trovare un amico, e questo pensiero gli diede sicurezza. Infine giunse davanti alla porta del bagno e si bloccò.

(torna indietro non farlo pensa alle conseguenze)

Ma ormai era troppo tardi per fermarsi. Spinse la porta, che si aprì con un cigolio.

(NO! NO! Sei ancora in tempo fermati!)

Individuò la stufetta e puntò contro di essa. Quei pochi passi gli sembrarono un kilometro, ma infine la raggiunse. La fronteggiò, come fanno quei cowboy nei vecchi film western.

(a noi due piccola)

Aveva sempre saputo che lui ne teneva una in bagno, soprattutto in quelle fredde giornate di dicembre. Era a gas, come tutte le vecchie stufette fornite dal collegio. Un’ingenuità, forse, visto quanto possono essere pericolose.

Adam le girò intorno, si accucciò, e aprì lo sportello che conteneva la bomboletta del gas. Questa era collegata all’armatura tramite un tubo flessibile di gomma, nel quale scorreva il fluido che dava vita all’apparecchio. Afferrò le cesoie. Attese che le sue mani smettessero di tremare, e poi iniziò a fare pressione con le lame sul tubo. La gomma era molto resistente, e ci mise qualche minuto per recidere interamente la manica. Infine si ritrovò con un moncone di gomma dura in mano, con i bordi morsicati e taglienti. Se lo mise in tasca; quella vista lo inquietava. Controllò che tutte le finestre fossero ben chiuse e che non ci fossero spifferi. Ora gli rimaneva solo una cosa da fare. Cercò la valvola di apertura della bombola, vi pose sopra la mano e la aprì, girandola con forza. Subito sentì sulla sua mano il solletico del fluido che si disperdeva nell’aria. Erano le sette meno dieci. Era fatta.

 

Tornò velocemente in camera, si disfece delle cesoie e del pezzo di tubo e si accasciò sulla sedia. Aveva il fiato corto, e il cuore gli pulsava violentemente nel petto. Aveva fatto tutto il possibile, ma iniziò a rendersi conto di quanto il suo piano fosse legato a elementi di per sé imprevedibili. E se Clark quel giorno avesse deciso di fare la doccia al campo? Se si fosse accorto dell’odore di gas? Se l’accensione della luce non avesse innescato l’esplosione? Per quanto riguardava il secondo interrogativo, Adam si affidava al fatto che Jacob era raffreddato (lo aveva capito della voce impastata) e che non era mai stato un tipo troppo sveglio. Ma, per il resto, non aveva alcun potere di predizione.

I minuti che seguirono furono un’attesa snervante. Adam continuava a passeggiare avanti e indietro, dalla porta alla finestra, nella speranza di cogliere la figura della sua vittima che tornava a casa. Arrivarono le sette e quattordici. E quindici. E sedici. Adam si mordeva le unghie a sangue. E infine, due minuti più tardi, Jacob Clark fece il suo ingresso trionfale, sporco e appesantito dall’allenamento. Il momento era sempre più vicino.

(sì Jacob sì hai proprio bisogno di una doccia)

La luna era spuntata da tempo nel cielo, ma Adam se ne accorse solo allora. Accese la luce, e nel farlo ebbe un sussulto. Poi si stese sul letto, e aspettò. Immaginava Jacob mentre saliva i gradini che portavano al terzo piano, mentre percorreva il pezzo di corridoio che lo separava dal suo bagno, mentre premeva l’interruttore, e poi… bum. Non immaginava la portata dell’esplosione, ma più sarebbe stata grande, più la sua sete di vendetta sarebbe stata appagata. Tutti, dovevano bruciare tutti.

Col tempo, diventò così agitato da essere in preda agli spasmi; grondava sudore e gli arti gli tremavano terribilmente. Sentiva che stava succedendo. Doveva succedere.

E successe.

Dapprima ci fu un boato tanto possente da scuotere pesantemente le pareti. I libri posati sulla sua scrivania caddero con un tonfo sordo, e sentì da qualche parte un bicchiere infrangersi al suolo. Nel giro di un istante la sirena d’emergenza iniziò a diffondere le sue onde stridule nell’aria, e Adam sentì provenire delle urla terrorizzate da sopra la sua testa. Sperava che in mezzo a quelle ci fossero anche le sue. Realizzò che doveva scappare, non poteva rimanere lì. Si alzò dal letto, spalancò la porta e corse a più non posso, precipitandosi giù per le scale e superando una moltitudine di volti stralunati e cerei. La puzza di fumo era già arrivata anche lì, segno che l’incendio si stava espandendo più velocemente di quanto avesse osato sperare.

Arrivò in portineria, dove alcuni dipendenti ancora si guardavano senza capire. Passò oltre e uscì all’esterno, sotto la luce fredda di una luna piena. Continuò a correre senza voltarsi per altri cento metri circa; infine si fermò, con le mani sulle ginocchia e il fiato corto.

(girati ammira il tuo capolavoro)

Si girò,

(se lo meritano sì se lo meritano dopo tutto quello che ti hanno fatto)

e contemplò la scena: un’ala intera del collegio era in fiamme, e anche da lì gli arrivavano le grida di quelli che erano rimasti intrappolati. Riconobbe il suono grave e lontano di un’autopompa. Distinse le prime sagome degli evacuati, che si raggruppavano all’ingresso, tossendo e con le mani sul volto. Si sedette per terra.

(Non c’è acqua che possa estinguere questo fuoco)

Si infilò le cuffie. Scorse le canzoni sul suo cellulare alla ricerca di quella che gli serviva. Aveva sognato questo momento. Premette play, e si abbandonò al ritmo maledetto di Ride Natty ride, inspirando a fondo quell’aria allo stesso tempo fresca e satura di fumo.

Il fuoco sta bruciando ovunque/ distruggendo e logorando le loro anime/ corri Natty corri!

(scappate!)

Corri attraverso la tempesta/ e noi corriamo nella calma./ Vai vai!/ Noi corriamo tra gli agi/ noi corriamo tra le difficoltà.

Corri Natty. Corri, Natty.

2 pensiero su “Ride Natty ride (seconda parte)”

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