“Amore, ho vinto il concorso interno come migliore segretaria dell’anno”
“Cavolo! Brava! Vieni qui, fatti dare un bacio”
“Aspetta” divincolandosi
“L’hanno detto davanti a tutti, non puoi capire che emozione! Tutti che mi applaudivano! Hanno detto che mi daranno un aumento e mi hanno regalato una cena per due in un ristorante lussuosissimo in centro, il Playa Real, Placa Real o qualcosa del genere!”
“Fichissimo!”
Adriana era tornata a casa con questa bella notizia. Massimo era ancora in tuta da lavoro e doveva lavarsi. Lei lavorava come segretaria in un’azienda informatica e lui da un gommista per auto. Erano giovani, niente figli ma sarebbero arrivati prima o poi e conducevano una vita tranquilla, normale. I conti con i soldi che non bastavano mai, qualche uscita con gli amici, la pizza, un cinema, le vacanze poche, brevi e vicino casa.
Il premio della cena era arrivato molto gradito perchè loro in un ristorante di lusso non c’erano mai stati. Massimo specialmente, grande forchetta e buongustaio, aveva accolto la cosa con un grande sorriso.
Avevano prenotato seguendo le istruzioni: chiedere di una certa persona, citare lo speciale invito; aveva chiamato lui tenendo la cornetta con entrambe le mani e con la moglie di fronte che annuiva e seguiva le sue parole.
“Amore, mi devi fare un regalo” disse lei “mettiti il vestito elegante, non farmi fare brutte figure! Non puoi mettere il jeans e la solita felpa con i cartoni animati, lo capisci? Ci saranno anche altri colleghi premiati e sicuramente qualche dirigente della società!”
“Ma si, certo. Speriamo che il vestito del matrimonio di tua cugina mi entra ancora!”
Avevano detto tutto ai genitori e la mamma di lei al telefono con lui, ignorando le raccomandazioni della figlia, aveva tuonato:
“Per favore vestiti in modo decente, non come al solito tuo che sembri un profugo!”
Sempre carina la suocera.
Massimo effettivamente non ci teneva molto al vestire, e se vogliamo dirla tutta nemmeno all’igiene personale, era piuttosto trasandato ed anche il fatto che fosse abbondantemente sovrappeso non lo aiutava. Addosso a lui anche un capo di sartoria diventava un cencio spiegazzato da quattro soldi.
La serata speciale era arrivata. Lei era bellissima con la sua folta chioma di capelli castani, gli occhi neri e luminosi, le ciglia lunghissime, indossava pantaloni marrone, stivali e maglioncino a collo alto beige. Sobria ed elegante.
Lui riuscì con non pochi sforzi ad entrare nel vestito grigio scuro del famoso matrimonio. Il pantalone si chiuse trattenendo il respiro, serrò la cintura e sperò che tutta l’impalcatura reggesse. La giacca ovviamente non si chiudeva, mancavano diversi centimetri, ma lasciata aperta e indossando la cravatta non si notava poi così tanto.
Nemmeno il colletto della camicia volle saperne di lasciarsi abbottonare in alcun modo nonostante fosse una taglia diciotto, lasciarono l’ultimo bottone aperto e Adriana gli strinse bene la cravatta. Problema mimetizzato.
Massimo scelse la cravatta più bella fra le tre o quattro che aveva, sfondo rosso e pallini di varie misure e colori. Adriana inorridì ma nel complesso si poteva dire che, tenendo conto della base da cui si era partiti, il risultato era piuttosto soddisfacente e comunque ben oltre le aspettative.
Parcheggiarono l’utilitaria vicino al centro e si incamminarono a piedi.
Arrivarono al Plaza Real che si affacciava in una deliziosa piazzetta del centro storico e a momenti gli prendeva un colpo a entrambi: era il ristorante di uno degli alberghi più lussuosi della città, una cosa super chic. L’ingresso era una porta di legno importante ma senza insegna, con due imponenti fioriere ai lati. La porta di un club esclusivo.
“Sembra una di quelle dei film americani” disse Massimo.
Bussarono, un signore in divisa apri la porta e li fece accomodare, entrarono e lo salutarono con piccoli inchini scambiandolo per il direttore. L’interno era molto elegante, ricco ma non vistoso. Non c’era un particolare fuori posto: opere d’arte qua e là, tavoli distanti l’uno dall’altro dei metri e con sopra le candele accese, luci soffuse, musica classica come tenue sottofondo, poltrone di pelle in luogo delle sedie, grandi composizioni di fiori freschi.
Vennero loro incontro altre tre persone, una per salutarli ed indirizzarli alla sala, una per prendere i soprabiti e una per farli accomodare al tavolo.
Massimo sprofondò nella poltrona, la moglie tossì e lui si rimise con la schiena dritta, anche perchè era l’unica posizione in cui riusciva a respirare ed evitare lo scoppio dei bottoni dei pantaloni e delle vene del collo strizzate dal cappio di colletto e cravatta.
“Ti prego” implorò Adriana “non mi far fare brutte figure!”
Glielo aveva detto già una decina di volte. A casa prima di uscire, mentre erano in auto, mentre parcheggiavano, mentre arrivavano a piedi. Era diventato una specie di jingle pubblicitario che partiva di tanto in tanto, come alla radio.
Una quinta persona, il Maitre, li salutò e porse loro i menù.
“Oh, sono più i camerieri che i clienti!” disse lui e la moglie annuì.
Davanti a loro un’infinità di posate e bicchieri. Aprirono l’enorme menù. Quando vide i prezzi a momenti Massimo si strozzò, se avessero dovuto pagarla loro la cena ci sarebbe voluto un mezzo stipendio!
Tutto il resto era aramaico antico. Si capiva poco: ogni paginone conteneva sei, sette piatti dalle descrizioni talmente elaborate, fantasiose ed indecifrabili che non si comprendeva quali fossero gli antipasti, quali i primi, se c’erano, quali i secondi, né cosa ci fosse dentro esattamente. Inoltre ogni foglione aveva un tema: freschezze di primavera, foglie di autunno, fondali marini, terra e boschi e così via.
Ipotizzarono che uno dovesse per forza scegliere una pagina e quindi un tema.
Una delle ragazze che li aveva accolti intanto aveva portato loro tre grissini a testa, in due eleganti piatti di cristallo stretti e lunghi.
“Li posso mangiare o sono per bellezza?”
“Massimo per f-a-v-o-r-e!”
“Io li mangio…”
Tornò il Maitre. Meno male. Spiegò che i primi due piatti di ogni pagina erano gli antipasti – (aaah!) disse con gli occhi Massimo – gli altri due a seguire i primi piatti e gli ultimi due i secondi. Erano proposti secondo dei percorsi di degustazione suggeriti dallo chef ma si poteva anche saltare da una pagina all’altra. La lista dei dessert era a parte, come quella dei vini naturalmente.
Illustrò alcuni piatti e suggerì un approccio di scoperta dei sapori che prevedeva due antipasti, un primo, un secondo e un dessert.
“Ma si, tanto è tutto gratis!”
“Come prego?”
calcio sotto il tavolo
“no dicevo, … ci consigli lei”
Le scelte non furono facilissime ma riuscirono nell’impresa pur nutrendo forti dubbi su cosa avessero realmente ordinato e di che tipo di animale o vegetale potesse trattarsi. Riuscirono, nonostante i suggerimenti del Maitre, a mescolare in modo agghiacciante pesce, carne, ancora pesce, …
Intanto la ragazza dei grissini era passata più volte chiedendo
“I signori ne gradiscono ancora?”
Massimo non rispondeva nemmeno più, faceva un gesto con le braccia, le spalle e la testa che voleva dire inequivocabilmente: – e si capisce, che c’è bisogno di chiederlo?
A cui seguiva in un nanosecondo la frase della compagna sibilata fra i denti:
“Non mi far fare brutta figura!”
La signorina depositava i soliti due, tre grissini nel piatto, solo nel piatto di Massimo perchè Adriana faceva il gesto con la mano come per dire: – no grazie sono già piena! – con una pinza d’argento e giusto il tempo di girarsi ed il nostro eroe li aveva già triturati.
Lista dei vini. Lista? Un libro! Quello più economico costava come il pieno alla macchina fino ad arrivare al prezzo di acquisto della macchina vera e propria.
Si lasciarono consigliare nuovamente.
“Vorrei proporvi un Dolcetto d’Alba del 2004 che pur intenso e corposo è un rosso che si può ben abbinare sia ai sapori di terra sia a quelli di mare. All’olfatto si apre ampio nei profumi fruttati con note di rosa e cannella, al palato è morbido, pieno, con un finale gradevole leggermente asciutto con riflessi violacei”.
I due annuirono lentamente e a bocca aperta come due simpatiche carpe e quando il Maitre si allontanò si scambiarono occhiate ed espressioni ancora più sconcertate!
Intanto servirono loro un aperitivo ed uno stuzzichino pre-antipasto. Un piatto enorme, bianco, con al centro un francobollo tridimensionale colorato con tre gocce di aceto balsamico di lato.
“Cos’è?” chiese lui a lei senza muovere nemmeno un ciglio e senza togliere lo sguardo dal francobollo.
Era stato preso un po’ in contropiede. Aveva si immaginato delle porzioni piccole, ma non così piccole, cazzo!
Buono. Piccolo ma buono, scese giù come una boccata di vento.
Si chiesero cosa fosse ed ipotizzarono un salume un po’ forte e pasticciato con una salsa strana. Lo chiesero al Maitre.
“E’ una fantasia di pescespada con bottarga e lacrime di ostrica”.
Le due carpe si scambiarono una nuovo occhiata di reciproco “mah!”
Ogni volta che finivano il vino nel calice si materializzava dal nulla un ragazzo che glielo riempiva nuovamente quasi a metà senza farne cadere una goccia.
La ragazza passò al pane. Depositò sempre con l’aiuto della immancabile pinza d’argento tre minuscoli panini di differenti fogge nei piattini laterali della coppia.
Massimo ebbe come un singulto e gli venne da piangere, panini poco più grandi di un’oliva non li aveva mai visti.
“Amore ti prego…”
“Si, si, ho capito, non ti devo far fare brutta figura. Ci sto provando, cazzo!”
Adriana aveva intravisto in sala qualcuno degli altri fortunati colleghi e diversi personaggi della presidenza.
La signorina capì che con Massimo non doveva lesinare con i panini così come aveva già fatto per i grissini.
Ogni panino, ingoiati come fossero m&m’s, scattava il jingle non-mi-far-fare-brutta-figura sempre più sibilato a denti sempre più stretti.
Le cose stavano andando comunque abbastanza bene, a parte gli abbinamenti dei piatti, quando Massimo cominciò a diventare paonazzo a causa dell’armatura. Gli stava stretto tutto: scarpe, pantaloni, la giacca all’altezza delle spalle e sopra a tutto il micidiale nodo scorsoio di camicia e cravatta.
Fra i due antipasti le prime linee cedettero e la fanteria arretrò.
Non ce la faceva più. Allargò il nodo della cravatta lasciando scoperto il colletto della camicia aperto e slacciò in modo tattico i due bottoni superiori del pantalone lasciando però la cintura ben tesa a reggere tutta l’imbracatura.
Partì il jingle.
Fu comunque una mossa arguta perchè aveva riacquistato una respirazione più serena e naturale. Anche le vene del collo si sgonfiarono sensibilmente e poteva finalmente permettersi di sbracarsi un tantinello sulla poltrona.
Arrivò il primo. Per lui tre ravioli, di numero, di pesce di fondale in un brodetto di mare con conchiglie, vongole, olio, pomodoro e microscopici pezzetti di verdure. Per lei invece alcuni pezzetti di pasta con anatra, formaggio e chissà cos’altro.
L’imponderabile stava per accadere.
Massimo tagliò a metà uno dei ravioli, (così ne faccio almeno sei bocconi!) pensò. Cercò di infilzare la mezza luna con la forchetta ma il ripieno sgusciò fuori. Riprovò prendendolo a mò di cucchiaio, da sotto, portò la forchetta alla bocca ma il raviolo traditore proprio all’ultimo istante si tuffò con un perfetto carpiato con avvitamento all’indietro nel brodetto devastando nell’ordine: cravatta, camicia, giacca lato destro altezza bavero, polsino destro giacca e camicia e dulcis in fundo il lato destro della tovaglia. Come se qualcuno gli avesse scosso davanti al petto un grosso pennello pieno di vernice.
Partì il jingle telepaticamente.
Bestemmiando come un ottomano ma sommessamente Massimo con un paio di gesti rapidissimi ed esperti tuffò il tovagliolo di lino nell’acqua minerale e cercò di togliersi di dosso almeno il “grosso” del danno. Cercò di pulire anche la tovaglia ma riuscì solo ad allargare la macchia, confonderne un po’ i contorni e stemperarne il colore.
Lei abbassò gli occhi e non disse nulla.
Lui cercava di scusarsi
“Amore, hai visto, è scivolato all’improvviso! … Stò cazzo di raviolo di merda!”
“Ti prego!!!”
Anche il maitre e i due ragazzi si accorsero del dramma ma con molta eleganza fecero finta di nulla.
Gli altri due ravioli li inforchettò con un’unica mossa e li mise in bocca in un solo boccone, poi fece una doviziosa scarpetta con tutti e tre i suoi micro-panini come fosse una zuppa di latte con i biscotti.
La battaglia era ormai persa, le truppe si stavano ritirando in modo scomposto sotto i colpi del nemico.
Arrivarono in qualche modo fino al dolce. Lui aveva ovviamente anche assaggiato tutti i piatti della moglie, mentre lei lo supplicava con gli occhi di non farlo, creando così una piccola traccia di gocce di olio, pomodoro e condimenti di varie tinte fra loro due.
Dolci spettacolari. Sempre microscopici, presentati in un piatto rettangolare con il contenuto diviso in tre tappe degustative, con la fogliolina di fili di zucchero caramellato, la cialda di ostia, lo zucchero a velo, forme e colori molto originali e aromi quasi commoventi.
Lui finì il suo senza incidenti. Lei lasciò la sua cialdina a margherita con dentro la mini-palletta di gelato al cioccolato. Fu un errore madornale! Lui gliela rubò di soppiatto con la mano sollevandola da un petalo. Sempre all’altezza della sua bocca, quasi una forza magnetica misteriosa e maledetta impedisse ad alcune pietanze di essere ingoiate dal nostro eroe, il debole petalo cedette e la palletta al cioccolato, già in via di disgelo, finì di liquefarsi su cravatta, pantaloni, tovaglia e poltrona. Si, la poltrona di pelle crema che fino a quel momento era stata miracolosamente risparmiata dai vari assalti. Questa volta i maldestri tentativi di ripulire le tracce dell’efferato delitto sparsero il fondente ovunque.
Guardò la moglie con due occhioni da cucciolo di SanBernardo
“La colpa è mia” disse lei scuotendo la testa rassegnata
“Lo sapevo. Il vestito non basta”
Ordinarono il caffé, il Maitre perse il suo aplomb
“Signore, il suo glielo verso direttamente addosso o preferisce fare da solo?”

 

9 commenti su “Raviolo Carpiato (Il vestito non basta!)”
  1. ….matrimonio mal combinato.

    previsione :
    – Adriana mollerà Massimo al più presto (due settimane? un mese?), diventerà l’amante del suo gran capo, quindi l’amante di un politico, quindi personaggio del grande fratello, vincerà il premio in palio e si farà fotografare nuda per un calendario;
    – Massimo, finalmente, preso dal dolore dell’abbandono, smetterà di abbuffarsi e dimagrirà, quindi ripensando alla lunga teoria di figuracce che ha sempre fatto fare alla moglie,
    seguirà un corso di bon ton, scriverà un libro sulle buone maniere, diverterà bello ricco e famoso e sarà ospite fisso del mauriziocostanzoshow;
    – la suocerà tirerà un sospiro di sollievo per essersi liberata di un genero sempliciotto cafone e non gradito, racconterà le sue memorie al settimanale più scandalistico che ci sia, lascerà a sua volta il marito che morirà di infarto e sarà assunta come opinionista per un programma di cucina erotica trasmesso ogni sera a mezzanotte
    dopo l’oroscopo del giorno dopo.

    Che te ne pare?
    un sorriso e di’ a Massimo di mettersi assolutamente a dieta PRIMA che tutto ciò avvenga.

    anna

  2. Molto spiritoso. Medita sui consigli di Anna, conviene correre ai ripari. Bravo.
    sandra

  3. eh, no….
    è un bel racconto e spinge a considerazioni su possibili scenari…. di guerra (familiare!)

  4. Lo avevo gia letto sul tuo blog, quello che penso delle cose che scrivi lo sai ….ma ripeterlo non fará male: sei bravissimo e mi fai morire dalle risate. Grazie!

  5. Divertente, scorrevole e con una bella battuta finale.
    Applausi e risate.

  6. Qua bisogna spezzare una lancia a favore di Massimo! Anche io ho ricevuto un invito in un ristorante così chic…. non mi sono buttata addosso tutto, ne sono uscita miracolosamente illesa, ma quando penso ad una bella mangiata (nel senso ampio del termine, dove tutti i sensi ne escono soddisfatti), consentitemi di preferire una bella trattoria!!!

  7. è un’esaltazione dei ristoranti “veri”, dove le porzioni ti permettono di sentire il sapore di quello che mangi.
    ben scritto, ben strutturato e divertente!
    posso venire al ristorante con te, qualche volta?

  8. Certamente!!! … però portati da casa un tovagliolo bello ampio (da utilizzare come separé mobile) e l’indispensabile viavà … 🙂

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