È venuto a casa una domenica mattina di una fredda giornata di fine gennaio. Un muso nerissimo e un poco lungo, una macchia bianco latte sul petto, le orecchie spioventi e gli occhi tenerissimi, lucidi, così neri da confondersi col pelo corto. Non sapeva dove guardare, ma non sembrava avere una grande curiosità di scoprire il nuovo mondo che lo circondava e in cui avrebbe vissuto. Forse sapeva già che non occorreva sforzarsi di conoscerlo, questo piccolo mondo in cui sarebbe vissuto per un tempo troppo breve perché fosse il caso di approfondirne la conoscenza.
Ha cominciato a fare pipì un po’ dappertutto e noi dietro di lui a deviarlo dai cuscini, dai letti in cui qualche volta è salito per essere subito richiamato all’ordine e tornare nella cuccetta di paille, pure nera maculata di zampette bianche, che abbiamo comprato dai cinesi sotto casa, insieme a tutto il corredo di ossi di plastica e di pupazzetti da fargli compagnia: caso mai la nostra non fosse sufficiente per compensarlo dell’assenza dei fratelli e delle sorelle lasciate al canile insieme alla mamma, che chissà se avrà provato il dolore di una mamma, quando, impotente, se l’è visto portare via da sconosciuti a sessanta giorni dalla nascita.
È nato il 17 novembre, Alan, meticcio di pitbull e di labrador, strana mistura di due razze agli antipodi nel pregiudizio dell’uomo che presume di conoscere gli animali attraverso i luoghi comuni più comuni che non si potrebbe, e rinuncia, qualche volta, alla scoperta dell’imbroglio che sottende ogni sorta di pregiudizio, anche il più accreditato. Finalmente avevo deciso di sormontare il pregiudizio e scoprire l’imbroglio che mi avrebbe riservato la conoscenza di questo cucciolo nero come il carbone che nero come il carbone sarebbe sempre rimasto, e chissà come sarebbe diventato, forse grande, grandissimo, da non poterlo contenere dentro la stanza limitata di due fratelli adolescenti che già da soli ci stavano stretti. Mamma mia! Cosa mi aspettava!?
Non ho voluto chiedermelo e sono andata avanti. Avanti a pulire le sue feci che intanto diventavano sempre più frequenti, ad attaccare e smontare le traversine dove, un po’ guidato e un po’ di sua iniziativa, aveva cominciato a fare i bisogni. Ma qualcosa cominciava a non quadrare in quel sangue che si notava sul pavimento, per non dire di quel vomito continuo che non poteva essere normale per un cucciolo che non riuscisse a mangiare nemmeno una croccantella, di quelle buone, appena acquistate in un negozio specializzato. In effetti, in mezza giornata ci si era aperto un mondo, il mondo degli animali con la sua rete di negozi dove acquistare tutto, ma proprio tutto l’occorrente per la loro cura e alimentazione. E in questa rete c’era pure la farmacia e la clinica veterinaria che era l’ultimo posto dove avremmo voluto portarlo. E invece in clinica, crocifisso dalle flebo, ci è finito quasi subito, il nostro povero Alan, che ha scelto noi, proprio noi, per finire i suoi giorni e andare a giocare, sano e salvo, in mezzo agli angeli del Paradiso dove, sono sicura ci sono tutti gli animali che la Terra ha accolto e sempre accoglierà per quel breve tempo che è e sempre sarà la vita di ciascuno. Solo la gratitudine può essere eterna. A te Alan, cucciolo di labrador e pitbull mischiati in un unico meticcio che non sapremo mai come diventerà, il mio ricordo e la mia gratitudine in eterno, per avermi insegnato tante cose di me nel poco tempo che abbiamo avuto per stare insieme.
Innanzitutto, mi hai insegnato che è possibile la convivenza tra due essenze agli antipodi tra loro, e che due estremi non sono inconciliabili e, anzi, possono trovarsi armonicamente ricongiunti in un unico essere. E che in questo essere, originato per vie naturali dalla combinazione di due estremi caratteriali, potevo ritrovare una me stessa che stentavo ad accettare. Anche io, una meticcia di pitbull e di labrador, una mistura pericolosamente esplosiva di generosità e affetto da un lato, e di capacità aggressiva istintivamente primordiale, dall’altra: tanto simile a te, che se avessi avuto paura di te, ne avrei dovuto avere anche di me stessa e, soprattutto, non avrei dovuto stupirmi se gli altri ne avessero. Perciò, tanto valeva accettare in te quella parte di presunta aggressività che il tuo dna poteva rivelare e tirare avanti. Grazie, Alan.

Un pensiero su “Il nostro meticcio di labrador e pitbull”
  1. Credo di poter asserire di amare gli animali più che degli umani. Sono al mio terzo cane. Ho accompagnato alla morte il mio cane precedente Benny di quasi 13 anni, un periodo forse lungo per un cane ma, breve per chi lo ama. Il mio primo, Bacco, è morto a soli due anni e mezzo e il terzo, Lupin, un’adozione in Puglia, piccolo e pestifero, accompagna le mie giornate. Ognuno di loro mi ha arricchita, e ognuno di loro mi ha amata in maniera diversa e unica. Credo che, conoscendo l’amore di un cane, nessuno poi, possa farne a meno.
    Grazie per questo racconto di amore e generosità, dimostra che forse qualche umano si salva dall’aridità in cui è piombato.
    Alan, sicuramente corre felice, e sicuramente, tu non lo vedi, ma sta dietro di te e ti segue.
    Sandra

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