Luca uscì tardi di casa, verso le 10.30. Indosso il bomber e il suo berretto, che ormai era diventato la sua seconda testa. Si incamminò verso i giardinetti, curvo sulle spalle e mani in tasca, avvolto dall’umidità dell’aria, che mista alla diossina creava una fuliggine corposa. Proseguiva a passo svelto, e quasi a ogni macchina che incrociava vi susseguiva un suono di clacson che simboleggiava un saluto, lui rispondeva con un cenno del capo, indifferente a chi lo salutasse un po’ per la noia delle stesse fottute faccie e un po’ perché stordito dai miasmi della munnezza. Arrivato ai giardinetti incontrò i suoi amici, i fedelissimi, quelli che ogni sera ti trovi a fumare nel parchetto, mentre i giorni si alternano talmente rapidi e identici che tu non ti soffermi più neanche a guardare il tramonto. Li incontrò e li salutò, poi salirono in macchina, un film già visto, un perpetuo dejavù quest’esistenza. Fuori rideva e parlava, dentro moriva e ghignava, mentre si riproponeva l’eterno dilemma “Che facimm uagliù?”. Fase successiva alla domanda era l’individuazione del budget a disposizione…. ”Che strazio si fa quello che si ha” pensò lui. Come al solito le finanze a disposizione non permettevano molto, e quindi si decise di optare per una bella ed economica stecca di schifosissimo hashish di ultima qualità, ma comunque sempre meglio dell’erba che ti danno alle “basi” zeppa di chissà quale merda. La macchina dopo un paio di soliti giri, si fermò nel parcheggio, un po’ dopo i giardinetti, quello dove tutti fumano, dove qualcuno tromba, dove qualcuno parla, quello dove qualche rarissima volta i carabinieri fanno un blitz esagerato, prendono due pischelli con uno misero messico e li riempiono di botte a sfogare la loro rabbia di sfigati repressa, scatenando lo scandalo nel paese. Luca era seduto sul sedile anteriore, e rollava una canna ascoltando le chiacchiere degli amici, che in queste situazioni molte volte erano l’unico svago. La macchina per loro era tutto, o quasi tutto. Ci si mangiava, ci si fumava, ci si trombava e ci si usciva.
Mentre i sogni erano l’unico posto puro e incontaminato, immune dalla monnezza, dalle facce di merda, dagli stronzi che dovevi sorbirti tutti i giorni, dalle solite cose. Il sogno più grande di Luca era quello di andarsene, quello di viaggiare in tutto il mondo, vedere cose, lavorare, vivere meglio. E spesso ne parlava. Quella sera però non ne aveva voglia. Era una di quelle sere in cui la noia e l’amarezza non riesci a mantenerle fuori, si erano impossessate di te, come se vivessi guidato da qualcosa, come quando nella fila ai concerti la folla ti spinge in avanti senza che tu cammini. Perché sai già tutto, puoi prevedere tutto, nessun imprevisto, nessun cambiamento, è un cinema che proietta sempre lo stesso film, e tu puoi decidere soltanto in che momento mangiarti i pop corn o andare in bagno. Accese la canna “u missl” iniziarono a parlare un po’ delle novità che circolavano in giro, un po’ di donne, poi risero per delle stronzate, poi iniziarono a parlare di nuovo, poi accesero un’altra canna, poi parlavano, si raccontavano e poi via di nuovo. A fine serata la testa tra chiacchiere e sballo non reggeva più. “Accompagnami a casa” disse Luca. Antony “Iaaaaaa ma arò vai è ambress” “No no” “Voglio andare” “Vabbuò”. Fuori il cancello di casa sua capì che un altro giorno fotocopia era finito e avvertì di nuovo quella sensazione di vuoto, un vuoto che ti avverte che stai gettando il tuo tempo nel cesso, e si addormentò con il desiderio che il giorno successivo si fosse svegliato da qualche altra parte, in qualche altro mondo, lontano da dove era in quel momento, lontano da tutto, verso i suoi sogni, verso i suoi preziosi e vitali sogni, nel candido bianco dell’indefinito.
ciao,
sono la tua lettrice preferita….
quella delle analisi azzeccate…
mi piace questo tuo racconto che crocifigge la realtà immota della gioventù disperata e pure fiduciosa in un domani diverso.
bellissima l’idea introdotta sul desiderio di viaggiare.
un viaggio diverso, che può essere solo un miraggio o diventare realtà, se il protagonista, emblema di una generazione e di una fetta di società maledetta, riesce ad appropriarsi di sè e delle sue speranze per fare quel salto verso il suo futuro e lontano da quell’auto che non può portarlo da nessuna parte.
bella l’idea della fuga dalla “monnezza” reale e morale che può essere realizzata solo dalla voglia di riscossa che è in nuce nella coscienza del protagonista e che non può prescindere dalla presa di coscienza e dall’impegno personale .
avanti Antonio , continua così.
cosa viene dopo?
Sono vecchia! Lontana anni luce da quello che hai raccontato, beata me. Sono stata giovanissima l´altro ieri, e non ho mai avuto un giorno uguale al precedente. Ora ho paura per i miei figli, non lasceró che si accontentino della “monezza” c´é di piú la fuori. Comunque molto bello, bravo.
Ciao, non nascondo che conosco molto bene queste auto, questi amici e queste serate. Dobbiamo però renderci conto che la nostra vita dipende da noi e non dalla volontà di terzi. Io, per esempio, leggevo tantissimo cose anche abbastanza impegnative e ci andavo, con i miei amici saltuariamente. Ciò non sminuisce la bravura dello scrittore che ha saputo farci toccare con mano una cruda realtà giovanile. Ciao…
Ci sono delle realtà, che diventano delle minuscole gabbie malsane, in cui la rabbia, l’amarezza e la delusione rimbombano nel minuscolo spazio vitale e si acuiscono nel ripetitivo susseguirsi delle proprie sofferenze.
Dove gli stimoli e le passioni non condivisi si atrofizzano o si limitano ad un confronto con se stessi. In un paese fantasma, pieno di morti viventi, respirando rassegnazione e bigottismo, e difficile non farsi negativamente influenzare… cmq grazie per l’interesse, è importante per me! …Annaaaaaaaaa vacci piano….. già mi stai facendo montare la testa….. ciao.
bello. una descrizione cruda e triste di alcune realtà giovanili di provincia. Da un punto di vista narrativo avrei solo aggiunto qualche dialogo in più ma è un gusto personale.