In Inghilterra, più precisamente a Hyde Park, in una calda domenica d’agosto, uno dei tanti uomini che s’improvvisano predicatori per qualche dozzina di minuti a settimana, fa un bel ragionamento dalla scarsa altezza del suo sgabello. In realtà non è uno sgabello, ma una piccola scala pieghevole che porta da casa, approfittando del fatto che la domenica mattina la metropolitana è poco affollata e c’è molto spazio per viaggiare comodi. Davanti a questo “everyday man”, un piccolo crocchio di persone, quasi tutte giovani, dalle provenienze più disparate.
Caterina e Michela sono italiane, vengono da Pisa e ascoltano il discorso. A ritmi quasi regolari sbadigliano sonoramente, tanto che sono quasi un accompagnamento musicale a tutto quel parlare. Dopo una notte di bagordi e bevute offerte dai londinesi, sempre felici di conoscere italiani e spagnoli perché sono più espansivi, la vista delle due amiche deve superare un velo di nebbia da alcool che si somma alla nebbiolina grigia da smog che infesta la città e la connota come la città grigia.
Una frase colpisce in particolar modo le due pisane, a dispetto della loro scarsa concentrazione:
“Ricordatevi l’importanza del cubo di Rubik.”
Mr John, come dice di chiamarsi il giovane predicatore il cui vero nome sarà senz’altro meno inglese a giudicare dal colore della pelle, nerissima e lucida in pieno contrasto con la sua maglietta verde smeraldo, pensa che ognuno di noi debba risolvere il cubo di Rubik, prima di imparare a vivere appieno ogni singolo giorno. Per coinvolgere il suo pubblico lancia quesiti importanti, vitali. Chiede poi ai ragazzi se hanno mai finito di risistemare le facce di un cubo di Rubik, se almeno ci hanno provato e in questo caso dopo quanti tentativi hanno gettato la spugna. In risposta al generale scuotere di teste, gesto internazionale di diniego, s’infervora e ordina a tutti di procurarsi al più presto il giocattolo e impegnarsi con tutte le energie, interrompendosi quando necessario per sfogare la propria frustrazione con un amico e riprendere con più volontà.
Dopo un po’ Caterina e Michela decidono di ricominciare la loro passeggiata, anche perché Mr. John sta andando decisamente fuori dal seminato ed è arrivato a proclamarsi il secondo figlio di Dio, mandato per rimetter ordine tra gli uomini.
“A partire dal cubo di Rubik?!” ironizza Caterina, poco convinta.
Dopo qualche mese, delle piacevoli giornate in Gran Bretagna restano solo le foto e i ricordi, che le due amiche confezionano in tanti pacchetti d’aneddoti pronti da sfornare al momento giusto per attirare l’attenzione generale e stupire un po’ la loro platea di amici.
Caterina studia a Roma, ha deciso di lasciare Pisa perché non la trova più stimolante, le è venuta a noia. La colpa, forse, è di Londra che l’ha abituata a fare nuove conoscenze tutti i giorni e disporre di una vasta di scelta di eventi per riempire il tempo libero e trasformarlo in un’esperienza di qualità.
Roma è molto più caotica di Pisa, tanto che talvolta se la darebbe volentieri a gambe, ma in un certo senso la tranquillizza il fatto di vivere in uno dei posti più belli del mondo. A dicembre fa freddo ed è molto brutto essere da soli, ogni sera, nei lunghi tunnel della metropolitana, rincasando anche da posti malfamati, magari con partenza dalla stazione Anagnina, che, com’è noto, non è certo la più sicura, specie dopo il tramonto. Per pagarsi i trasporti e le piccole spese, Caterina dà ripetizioni di matematica ai bambini delle elementari e, se necessario, fa anche loro da baby-sitter nelle ore serali, così i genitori ne approfittano per andare a cena fuori. Impazzisce per i ragazzini, le mancano molto i suoi tre fratelli minori, e anche loro sentono la mancanza della loro sorellina, che si prodigava sempre per aiutarli nei compiti. Adesso doveva accontentarsi della compagnia di bimbi piuttosto diversi, più viziati e meno creativi dei suoi fratellini, però riusciva lo stesso a trarne vantaggio e forse qualche volta influiva sulla loro mentalità e gli trasmetteva una fettina del suo amore per le piccole cose. In genere però riusciva a trasmettergli solo una fettona della torta che portava spesso con sé.
Scende giù in metro nella zona dell’Eur dopo sei ore in casa Braccino, un po’ amareggiata perché i signori Braccino hanno deciso di far onore al loro cognome pagandola meno di quanto pattuito. Accanto allo scassato orologio della stazione, legge la data. Sei Dicembre Duemilasette.
Si prepara al solito viaggetto solitario in compagnia di un ottimo cd dei Depeche Mode.
Ripensa ai sei dicembre degli anni passati. Ovvio, non ricorda cosa ha fatto di preciso in una data tanto ordinaria, ma di certo non stava combattendo un duello con la solitudine. Adesso, invece, doveva sopportare la sua compagnia ogni giorno. In fondo è non si tratta di un ossimoro perché la solitudine fa davvero compagnia. Essere soli vuol dire saper stare con se stessi e avere una sensibilità abbastanza forte da percepire lo stare senza gli altri come un problema.
Anche a Roma, ad ogni modo, era un problema limitato. In casa si sentiva tutt’altro che sola. Divideva un appartamento grande poco più di uno sgabuzzino con altre quattro ragazze, tanto socievoli da invitare tutti i passanti con meno di sessant’anni e una storia da raccontare. All’inizio Caterina è rimasta un po’ spiazzata dall’abitudine delle sue coinquiline a portarsi in casa ragazzi o uomini di ogni estrazione sociale, ma poi ha colto il lato positivo della situazione, se non altro perché offre alla sua fantasia un numero incredibile di teatrini esilaranti. Non solo. Il suo cervello può ampliare le sue vedute con punti di vista nuovi e a dir poco pittoreschi.
Due giorni fa, tanto per citare uno dei molti episodi, quasi odierni, Alessandra era tornata da lavoro in compagnia di un certo Gustavo, artista di strada e spazzino. Di materiale per gli amanti dell’antropologia ne offriva a bizzeffe, a cominciare dal nome che si collega a uomini dal fisico importante, ben nutriti e anche allo scrittore del “mattone” più indigeribile che aveva letto, Gustave Flaubert, l’autore di Madame Bovary, che per scriverlo aveva quasi perso il senno e rinunciato al suo status di animale sociale in favore di una totale astrazione dalla realtà.
Gustavo, invece, non era affatto grasso e sapeva a malapena scrivere il suo nome.
Aveva, però, accumulato una certa varietà d’esperienze più o meno credibili.
Da ragazzo prese la decisione di trasferirsi a Parigi, con un mezzo di locomozione molto semplice ed economico, i suoi piedi.
Gustavo si era goduto una camminata spettacolare, beffandosi del freddo delle Alpi, che chiamava confidenzialmente “le colline a punta”. Una volta a Parigi, aveva scelto di sistemarsi a Montmatre dove guadagnava parecchi franchi con i suoi dipinti e rischiava la pelle per via delle minacce di una cricca di giocolieri francesi poco accoglienti con gli italiani.
Caterina non avrebbe scommesso un centesimo su quello che raccontava quell’uomo strampalato e maleodorante. Ascoltarlo era divertente lo stesso, anche perché a quell’ora della sera avrebbe dovuto scegliere tra “Porta a porta” e “Matrix”.
Alessandra era affascinata da ogni sillaba elargita da Gustavo e non era difficile immaginare come pensava di ristorarlo dalle fatiche della sua vita on the road.
Sia lei che le altre due ragazze, Sabrina e Michelle, sono dotate di una strana concezione di solidarietà e si dedicano agli altri in questo modo particolare, invitandoli a casa loro- se si poteva ragionevolmente chiamare casa quel buco pavimentato con piastrelle da bagno- e offrendo una consolazione piuttosto gradita al sesso maschile.
Il solito sei dicembre, Caterina sta rimuginando su un suo incubo recente, in cui le sue tre coinquiline si “strapazzavano” a vicenda Mattia, il ragazzo a cui pensava di continuo e che di lei sapeva poco o niente.
Sorride al pensiero che le ragazze troverebbero poco interessante un tipo come lui, tutto libri e palestra. Mattia insegna in una scuola guida e ama la storia medievale a giudicare dai libri che lo accompagnano sulla metro. Per piacere alle sue coinquiline si sarebbe dovuto spacciare per Mattia Pascal e convincerle di aver ispirato Pirandello, con cui era in amicizia perché faceva il diacono nella parrocchia dove andava a catechismo.
Verosimilmente almeno una di loro avrebbe creduto a quella colossale panzana e si sarebbe buttata a peso morto sul ragazzo, convinta di aver già sentito parlare di un certo Mattia Pascal, forse in tv o dalla parrucchiera. Certo, se una di loro lo avesse conosciuto davvero, il SUO Mattia almeno avrebbe potuto parlarci e conoscerlo, anche se in una situazione a dir poco imbarazzante.
“Ora basta! La stanchezza mi fa a perdere in pensieri del tutto incongruenti!”. Accende il lettore e smette di pensarci.
Your own Personal Jesus
Someone to hear your prayers
Someone who cares
Da dietro qualcuno le tocca la spalla per richiamare la sua attenzione.
Paura che sia uno dei tanti malintenzionati in giro a quell’ora.
“Scusi se la disturbo signorina. Il prossimo treno ferma alla Manzoni?”
Una signora, dolce, innocua e sola.
“Certo, passa tra cinque minuti signora!” risponde Caterina con un sorriso.
“Meno male! Sai, non sono più abituata ad uscire di buio e non è bello stare qua sotto, con tutta questa gentaglia!”. La signora è sulla settantina, in borsa custodisce la pensione, frutto di una vita di lavoro del suo “poro” marito, morto tanti anni prima di tubercolosi insieme al figlio maggiore.
Caterina si guarda intorno. Oltre a loro c’è un signore anziano, sdraiato su un pezzo di cartone bagnato, intento a mangiucchiare qualcosa da un cartoccio bianco. Accanto a lui, un cane marrone spelacchiato, con due occhi grandi ed espressivi ben concentrati sul cartoccio, intenti a sperare in qualche briciola per far lavorare lo stomaco almeno un paio di secondi.
Più lontani da loro, ci sono due ragazzi litigiosi, tutti presi da una discussione in un francese marcato. Può darsi che vengano da un altro paese e usino il francese per capirsi.
“Ha ragione signora. Sono tempi duri.”
Fruga un po’ nella tasca del suo piumino nero, trova una moneta da due euro e la porta al signore col cane che la ringrazia di cuore. Caterina sorride e poi apre il pacchettino di biscotti che ha preso in casa Braccino per rivalsa nei loro confronti e lo svuota davanti al cagnolino che guaisce scodinzolante, forse per riconoscenza o forse per la troppa fame.
Trattenuta da chissà quanti giorni.
Finalmente arriva il treno e Caterina si siede vicino alle porte abbracciando bene la borsa come fosse un orsacchiotto.
Feeling unknown
And you’re alone
Flesh and bone
By the telephone
Lift up the receiver
I’ll make you a believer.
Scende e s’incammina verso casa, indecisa su cosa prepararsi da cena sfruttando le poche risorse a disposizione. Il tempo per fare la spesa è davvero poco, ma tanto da circa un mese si nutre del suo amore per Mattia. Lo trova perfetto, lo immagina dolce e amante dei bambini, desideroso di conoscenza e anticonformista. Di certo non è un tipo da discoteca e nemmeno un superficiale. Sospira.
Peccato che non lo conoscerà mai e poi mai. Se solo non avesse già preso la patente in quella maledetta Pisa. Perché aveva avuto tanta fretta? Poteva prenderla a Roma così avrebbe imparato davvero a guidare, in mezzo al traffico, destreggiandosi nel raccordo anulare. Le sarebbero servite moltissime lezioni per imparare in una città così trafficata e avrebbe avuto tutto il tempo di diventare amica di Mattia. Sapeva il suo nome solo perchè una mattina gli era caduto il portafogli nella metropolitana, lei l’aveva raccolto ma lui era già sceso e il treno era ripartito. Così aveva dato un’occhiata dentro e studiato a fondo la sua Carta d’Identità. In uno scomparto c’era il suo biglietto da visita in cui il suo numero stava sotto a quello di una scuola guida poco lontano.
Fregandosene della lezione di statistica, aveva cercato la scuola guida e restituito il borsello al legittimo proprietario che l’aveva ringraziata e dedicato un sorriso che le aveva quasi provocato un mancamento, contenuto in un sospiro.
Tutto qui.
Da allora lui la salutava quasi tutte le mattine, quando non era troppo preso dalle sue letture. Caterina è molto meno espansiva delle sue coinquiline e non è dotata della loro faccia tosta. Le piace fantasticare e a volte si accontenta di avere qualcuno da sognare.
Gira l’angolo per entrare nell’oscuro vicolo che porta all’ancor più oscura strada senza sfondo dove aveva l’onore di risiedere.
Davvero una brutta zona, covo di ladri e spacciatori.
Si ferma all’improvviso ed indietreggia.
Due ombre a pochi metri di lei e un parlottìo sottovoce la fanno guardare bene da proseguire. Nel buio non può certo distinguere i loro volti, ma hanno tutta l’aria di due che stanno facendo qualcosa di losco, al riparo dalla vista altrui. Se avesse ragione e loro la vedessero di certo non la tratterebbero con i guanti. La paura sale, anche perché non esiste un’altra via per raggiungere il suo appartamento.
Maledizione.
Per giunta, fa un freddo da battere i denti, ma di certo non le conviene abbandonarsi al battito che minaccia di iniziare ad ogni folata di vento gelido.
Il Tg preannunciava una nevicata quasi certa.
Ad un certo punto la voce di uno dei due si alza e vola rivolta verso Caterina:
“Vedo un’ombra. Chi ci sta spiando?”
“Hai ragione. Chi è là?”
Caterina d’istinto inizia a correre tornando indietro ma in pochi secondi le sono già addosso e si ritrova a terra dopo una bella botta al sedere.
“Fatti un po’ vedere. Sei solo una ragazzina…”
I due si divertono con Caterina per una ventina di minuti buoni ma terribili, purtroppo indimenticabili, poi se ne vanno, fieri dell’operato.
Due spacciatori come tanti, per altro con i volti coperti da occhiali da sole e bandane, praticamente inutile denunciarli, tanto non ci sono speranze di riconoscerli. Dopo un tempo indefinibile trascorso a terra piangendo, Caterina pensa che tornare subito a casa, in quelle condizioni, sia sconsiderato. Le sue amiche chiamerebbero i genitori di Cate senza esitare e lei si sentiva morire all’idea che suo padre venisse a conoscenza dello stupro. Dopo qualche discussione, poi, le avrebbero ricordato i loro avvertimenti su Roma e l’avrebbero proibito di restare in un posto così pericoloso.
Raccoglie le sue poche forze e si avvia, tutta tremante, nella direzione opposta a casa sua. Torna alla metropolitana in cerca di un bagno dove rimettersi un po’ in sesto, poi andrà dal suo amico Mario, anche lui studente a Roma, che avrebbe capito le sue ragioni e le avrebbe offerto un posto per la notte.
Cerca il bagno senza alzare la testa dal pavimento così va a sbattere contro un ragazzo con il naso a sua volta immerso in un libro dalla copertina dorata.
“Scusa, scusa tanto!” Le dice una voce familiare che le scalda subito il cuore.
Incredibile.
Non ora.
E invece sì.
Mattia, tra le migliaia di persone con cui poteva scontrarsi, proprio lui e tra le centinaia di sera in cui poteva accadere proprio quella in cui era appena stata violentata.
“Figurati. La colpa è mia.”
Lui osserva bene quella ragazza dall’aria sconvolta. Un rivolo di sangue le cola dal labbro inferiore, i suoi vestiti sono mezzi strappati e sporchi i suoi occhi sono gonfi come se avesse pianto ininterrottamente e la sua voce è rauca come se avesse urlato a squarciagola.
“Ti senti bene? Chi ti ha ridotto in queste condizioni? Ehi, ma io ti conosco! Sei Caterina, mi hai riportato il portafogli quando l’ho perso!”
Si ricorda il suo nome!
“Sì, sono io.”
“Hai bisogno di cure, sembri terribilmente impaurita, che ti è successo?”
“Non preoccuparti sono caduta. Nulla di grave.”
“Senti, con me non devi mentire, voglio solo aiutarti. Se non vuoi raccontarmi cosa ti successo, non farlo ma lascia che ti accompagni a casa o al pronto soccorso.”
Caterina non racconterà a nessuno dei suoi conoscenti quella tremenda avventura, resterà il suo segreto, la sua profonda e ingiusta ferita, inferta da due delle tante persone che si credono padrone del destino proprio ed altrui ed agiscono come gli gira senza curarsi dei sentimenti, di cui forse ignorano l’esistenza.
Caterina ne parlerà solo con una brava psicologa, accompagnata da Mattia, che da quella sera non l’ha più lasciata sola.
Per la terribile violenza che ha dovuto subire Caterina è stata ricompensata con il grande amore. Forse esiste il destino ma di certo non la giustizia.
Mr John aveva ragione sul cubo di Rubik, ma non per tutti il cubo da mettere a posto è fatto di impegni e buoni sentimenti, per alcuni la perseveranza è compagna della cattiveria e spesso si mettono a scomporre i cubi altrui, a sconquassare le loro vite senza alcun rispetto per gli sforzi con cui le hanno costruite.
Reach out and faith
tumultuosa la vita della protagonista…..
scusami se mi permetto di pensare che forse la scomposizione del racconto in più parti ti ha portato a sminuirne alcune di importanza e peso vitali.
parli di uno stupro come se fosse una passeggiata.
il mio modestissimo parere personale mi porta a pensare che un energico taglio di particolari sovrabbondanti e la sottolineatura e la precisazione di momenti tragici che metti a fuoco, avrebbe dato ben altro tono alla narrazione.
se tutte le donne stuprate, e scusami se mi permetto di sottolineare e ribadire la cosa, trovassero poi l’amore, non credi che ci sarebbe la fila per trovare il mascalzone di turno che sfoga i suoi bassi istinti con le aspiranti innamorate?
sei un autore donna?
come ti poni a confronto con le donne che ti leggono?
(è appena il caso di ricordare e non solo a te che il sito è spesso visitato anche da ragazzine della scuola media).
lo pseudo lieto fine che dai alla vicenda non la rivaluta per niente.
altro che chiacchiere con lo psicologo…
prova a rileggere quello che hai scritto…
sempre a mio modestissimo parere, non mi sembra saggio cimentarsi in campi narrativi di cui non si conoscono i meccanismi e di cui si ignora la portata.
meglio una bella poesiola strappacapelli per un amore finito.
e non basta conoscere quatto paroline d’inglese per dare tono e internazionalità alla storia,perchè
ci sono più di quattro gatti in grado di cimentarsi in traduzione simultanea.
sicuramente qualcuno riterrà il mio commento spietato, ma pensa che non ho neanche preso in esame consecutio temporum, sintassi e idiotismi linguistici…
lo confesso vado sempre fuori dei gangheri quando le donne vengono meno a loro stesse.
Ho letto il tuo racconto con molto interesse, la prima parte é carina, molto giovane e fresca. La seconda non mi convince, é un argomento un tantino spinoso quello che hai trattato, forse ti serviva una testimonianza diretta prima. Comunque piacevole e molto lungo, ti abbraccio. Tilly
Mi soffermo qualche rigo sul primo commento, a mio giudizio piuttosto inadeguato. Ho pubblicato, tempo fa, il racconto su un altro sito molto frequentato e i commenti erano stati positivi, nessuno si è sentito offeso, anche perché bravura nello scrivere a parte, chiunque abbia letto qualcosa di mio sa che non sono superficiale e cerco di lanciare messaggi positivi, di speranza. Il mio intento era questo anche stavolta positivo. Sicuramente ho fatto male a scegliere un tema che non conosco direttamente, ma non intendevo sminuirlo. Solo aprire una finestra sul futuro. Nei miei scritti mi piace inventare un mondo di persone che non chinano la testa, dove l’amore risolve tutto o quasi. In questo caso volevo evitare di darla vinta a chi scompone il cubo altrui e mostrare come volta i casi della vita siano assurdi. Niente di male mi sembra.
Riporto la frase che mi ha fatto saltare sulla sedia:
“se tutte le donne stuprate, e scusami se mi permetto di sottolineare e ribadire la cosa, trovassero poi l’amore, non credi che ci sarebbe la fila per trovare il mascalzone di turno che sfoga i suoi bassi istinti con le aspiranti innamorate?”
Ne hai fatta di strada per fraintendere così il messaggio! Mi sembra un po’ assurdo che qualcuno possa pensare una cosa del genere leggendo questa storia!
sei un autore donna? Beh… mi chiamo Claudia…
come ti poni a confronto con le donne che ti leggono?
(è appena il caso di ricordare e non solo a te che il sito è spesso visitato anche da ragazzine della scuola media).
Anche su questo mi pare che tu ti sia un po’ sbilanciata. Le ragazzine possono leggere molte cose non adatte a loro, passi ad alto contenuto erotico o di violenza mentre qui non ci sono descrizioni né messaggi negativi.
Dov’è il problema?
Scusami se te lo dico ma il tuo commento sembra lo sfogo di una persona molto nervosa che si è sfogata sulla prima cosa che gli è capitata davanti. Spero che in futuro starai più attenta a quello che scrivi perché i commenti devono essere utili, costruttivi e ragionati altrimenti possono infastidire.
Un’ultima cosa:
e non basta conoscere quatto paroline d’inglese per dare tono e internazionalità alla storia, perché ci sono più di quattro gatti in grado di cimentarsi in traduzione simultanea.
Questa parte mi ha strappato una bella risata!
Se tu avessi letto bene avresti capito che ho solo citato una canzone dei Depeche Mode, Personal Jesus e si ti va di tradurle non vedo il problema! Chi scrive sa bene che spesso l’ispirazione si lega ad una canzone e allora la facciamo ascoltare al protagonista, citandola per dare un po’ di musicalità. Proprio perchè è facile da tradurre mi sembra sensato metterla, no?!
Quanto agli “idiotismi linguistici” non mi sembra di aver mai avuto di questi problemi.
Ti saluto sperando che ti asterrai dal pubblicare commenti maleducati e privi di fondamento, non è questo lo scopo dei blog!
carissima,
– circa la mia maleducazione, leggere ciò che gli altri autori pubblicano è per me cosa educata e doverosa. Se rileggi ciò che scrivo e come commento, da sempre, vedrai che non sono nervosa, parziale o paranoica.
– circa i tuoi scritti, in cui ti cimenti con predilezione nell’affrontare temi scottanti, essi evidenziano, per il modo in cui gli argomenti sono trattati e per le soluzioni spesso semplicistiche offerte, sia la giovane età di chi scrive sia l’inesperienza (per tua fortuna!) a proposito dei temi stessi.
– ho commentato positivamente il penultimo testo (e lì non mi sono sentita dare della nervosa e maleducata…).
-ribadisco più che convinta che questo scritto è molto discutibile e non al livello dei precedenti.
– molti, io stessa, non commentano le produzioni meno valide e gli osanna non sono garanzia di validità.
– se sei così sicura sia della mia maleducazione che dell’inconsistenza di ciò che scrivo nei miei commenti, perchè non chiedi alla Redazione di intervenire contro di me? Io ti ho detto solo la verità, altrimenti ci sarebbe stata la corsa a difenderti.
– circa gli altri siti molto frequentati in cui hai riscosso lodi, impara a fare la tara. Pensa che io stessa ho vinto in uno dei tre concorsi a cui ho partecipato e uno dei siti che vanno per la maggiore ha pensato di dare l’annuncio via internet per una sua adepta classificatasi ex equo con altri con festeggiamenti e complimenti infiniti.
comprendo che subire una critica negativa può essere una scocciatura, ma sei molto giovane hai capacità, perchè non vedere la cosa come uno stimolo a crescere e migliorare?
se però preferisci arroccarti anche tu nel castello delle tue sicurezze, da oggi in poi lascerò anche te alle tue perfette convizioni e alle tue salde certezze.
…ma non è questo lo spirito del sito…
ciao
anna
Non intendevo lodarmi, solo spiegare che non intendevo scrivere un testo che svaluta le donne e sminuisce un’esperienza terribile come uno stupro. Ho detto di averlo pubblicato altrove non per vantarmi ma per spiegar che non mi aspettavo reazioni così negative. Pubblico i miei racconti sia per darmi uno sprone a scriverne di più sia per ricevere suggerimenti che di sicuro mi servono e molto. Solo che leggere il tuo commento mi ha fatto rimanere molto male, nel ripensarci a lavoro mi sentivo proprio dispiaciuta. Mi ha trasmesso tanta rabbia perchè se tu avessi criticato il tema e il fatto che il racconto è un po’ scollegato, come diviso in parti, avrei accolto con gratitudine la critica ma ci hai messo tante di quelle cose scollegate (come la canzone che non mi sembra ci stia male) che mi sei proprio sembrata arrabbiata. Tutto qui. Sei avrai ancora voglia di leggermi e criticarmi mi farà piacere, di certo non sei un tipo che giudica con falsità e inutili complimenti, volevo solo difendermi per comunicare che non sono un mostro insensibile che non considera il peso di certi eventi terribili.
Ciao
Claudia
carissima,
continuerò senz’altro a leggerti.
sono più che convinta che tu abbia la stoffa per fare e fare bene.
non perderti in rigagnoli, punta dritto al mare.
se non fossi convinta di quello che ti sto scrivendo, non perderei il tempo per dirtelo.
non accontentarti.
ribadisco: non ti ho “criticato” all’italiana, ti ho “criticato” alla greca.
ho cioè solo espresso un “giudizio”, un parere il più sincero possibile.
guarda avanti e scrivi altre cose belle, come spesso sai fare.
a presto rileggerti.
ciao.
anna