Esco, non posso più stare qui a guardarlo. Tanto non serve a nulla attendere. Attendo cosa? Che si risvegli? Ma sì dai, prima o poi si risveglierà. Speriamo si svegli presto questo cretino. Non ne posso più. Mamma quanto è stupido, stupido e pure recidivo. E noi che credevamo avesse imparato la lezione. Gli sta proprio bene guarda. Magari stavolta ha capito davvero.

Santo cielo, guarda la faccia di Luca. E che gli dico ora per tirarlo su? Servono a qualcosa le mie parole. No, lo so, servono a ben poco. Qui contano solo i fatti. E’ terrorizzato. Ora faccio una bella cosa, mi stampo un bel sorriso sul volto e gli dico che va tutto bene. Che i medici si sono fatti una bella risata. Ma lui lo sa che non è così. Vabbè non mi importa, lo faccio e basta. Lui ha il diritto di stare male e io ho il dovere di tirarlo su con un sorriso. Si è alzato. Non gli ho detto nulla. E’ entrato. Forse dovrei andare con lui? Stargli vicino? No, no, non è il caso, è una cosa personale. Meglio lasciarlo solo. Che faccio? Vado dagli altri? Sono tutti preoccupati, e tutti hanno il diritto di esserlo. Io chi sono per esserlo? Io non sono nessuno, e lo so. Non posso essere talmente sfacciata da chiedere il conforto di qualcuno. Io devo darlo il conforto. Qui stanno tutti peggio di me. Sicuramente stanno tutti peggio di me.

E’ una cosa personale anche per loro. Non posso parlare. Chi li conosce. E che gli dico? Che devono stare tranquilli? Che andrà tutto bene? Certo, e poi cosa mi risponderanno… che io dico così perché tanto a me cambia poco. Non sono io quella che ha convissuto con lui l’infanzia, l’adolescenza, la gioventù… chi più ne ha più ne metta.

E io che gli risponderei? Nulla. Hanno ragione. Come posso dar loro torto. D’altronde io lo conosco da talmente poco. Forse solo con lei potrei parlare. Forse lei non potrebbe rispondermi così. Lei forse è sul mio stesso piano. Lei ride in un angolo. E’ ubriaca fradicia. Ride nevrastenicamente preoccupata. Ride nervosa. Ride quasi epiletticamente. Continua a ripetere che lo ha fatto ancora una volta e che è un cretino. E ride, ride nervosa. Anche lei vittima delle mie stesse sensazioni, delle mie stesse inibizioni. Non ha senso manifestare cosa si ha dentro: spesso l’unica soluzione è fingere, fingere e fingere ancora. Eppure io la capisco, abbiamo un modo simile di fingere. Però lòe si legge negli occhi che sta fingendo. Io invece, sembro seriamente tranquilla. Tranquilla, serena, distaccata, menefreghista.

Che ansia. E’ passata mezz’ora. Ancora non esce Luca. Che diamine sarà successo? Ora mi faccio coraggio e entro. Perché tutti possono entrare e tenergli la mano e io no? Ah già vero, la mia sarebbe solo mania di protagonismo, una finzione, una reazione esagerata per chi è per te un puro e semplice conoscente. Vabbè allora diciamo che non vado per lui va bene? Diciamo che vado per il mio ragazzo… posso almeno stare vicino al mio ragazzo? Sì dai, è ragionevole come cosa. Non posso lasciarlo solo dunque ora entro e basta.

Dio mio come è ridotto. Non ce la faccio a vederlo così. Cavolo svegliati, svegliati! So che puoi, svegliati! Vorrei stare vicino a Luca ma lui non me ne dà modo. Io vorrei adempiere il mio compito di ragazza premurosa sempre presente, sempre forte, sempre al di sopra delle emozioni ma lui esce… E ora che faccio? Esco anche io?

Lo guardo un attimo. Mi vengono in mente tutte le cose che non gli ho mai detto. E’ lì che sembra dormire sereno, chissà quale paesaggio avrà nella mente, chissà cosa starà sognando, chissà per quanto sognerà. Ma certo, certo, si sveglierà presto. Il dottore era arrabbiato, ma non era allarmato, dunque va bene no? Si sveglierà… Ti sveglierai vero? Dai svegliati, voglio dirti che ti voglio bene, voglio dirti solo questo… Ma perché non te l’ho detto prima? Ma certo, non te l’ho mai detto perché con te non serve parlare no? Tu lo sai, anche se non parlo tu devi saperlo. Tu sai che sei una delle persone più importanti della mia vita, tu sai che mi hai fatto credere in qualcosa che credevo non esistesse vero? Non abbiamo mai avuto bisogno di parlare… Noi abbiamo sempre parlato di sguardi, noi siamo telepatici, noi non ci siamo mai detti nulla di serio. Forse, forse se non abbiamo mai avuto bisogno di parlare, non ce ne sarà bisogno neanche ora. Non mi vede nessuno adesso, nessuno può pensare che io abbia manie di protagonismo…

Gli prendo la mano. Magari col contatto posso raggiungere i tuoi pensieri. Ma perché queste cose succedono come nei film? Io ci provo lo stesso.

Devo uscire. Mi dispiace. Capirai. Spero. Devo mantenere la copertura. Scusami se sono sempre vittima del giudizio altrui. Scusami. Ma purtroppo è più forte di me.

Guardala lei. Continua a ridere isterica. E’ ora di sfoderare la crocerossina che c’è in me. Dai su, non prenderla così, non nascondere quello che provi. E’ normale essere preoccupati. Ma andrà tutto bene vedrai. Andrà tutto bene.

Ecco Luca. Come dici scusa? Hanno deciso di ricoverarlo? Ma come, perchè! Sembravano tranquilli e ora… lo ricoverano! Dai su, vai con lui. Ma che dici, devi andare, lui ha bisogno di te. Possibile che ti preoccupi in continuazione di me! Io sto bene, è lui che ha bisogno di me.

Finalmente è andato. L’ho convinto. Voleva rubarmi il posto di crocerossina, ma nessuno me lo ruba. Sono io quella forte, sono io quella indifferente, sono io la menefreghista.

Vogliono andare a prendere un caffè. Direi che è il caso. Stare qui non serve a molto.

Suona il telefono. E’ Luca! Cosa è successo? Come dici? Si è svegliato! Sento qualcosa che mi si scioglie dentro. E’ quel nodo di emozioni che si era aggrovigliato. Ma che faccio? Sto piangendo? Ma che mi piango. No, no, nessuno deve vedermi piangere. Ora basta. Sii seria, smettila subito.

Adesso esce. Adesso posso dirgli quello che penso. Che è un cretino, un deficiente, che mi ha fatto prendere uno spavento, che è il mio migliore amico e non sopporterei mai di perdere di nuovo il mio migliore amico. Posso dirgli che ci ha fatto prendere uno spavento assurdo.

Eccolo. Mamma che brutta cera. Nessuno si muove. Dai, posso andare davvero io per prima ad abbracciarlo?

Come non detto. Va lei. Ha ragione, è stata così tanto tesa. Finalmente ha sbloccato l’isterismo con le sue vere emozioni. Ora va lui. Lei versa un paio di lacrime. Tutti gli sono addosso sollevati. E io… io… io vorrei parlare ma… ma perchè, perché di nuovo quel blocco. E che gli dico ora? Non gli dico niente, faccio l’unica cosa che devo fare. Corro incontro a Luca e lascio che sfoghi la tensione.

Portiamolo in macchina. E’ distrutto.

Non ti dico niente. Dai su, alza lo sguardo. Incrocia il mio dai. Ti prego, non riesco a parlarti. Incrocia il mio sguardo dai, ho bisogno che tu lo capisca. Tu sai leggere nel mio sguardo, tu sai capirmi, noi siamo telepatici. Lo avrai capito? Lo avrai capito davvero che sono stata da cani? Lo hai capito che anche se mi fingo sempre forte e indifferente in realtà non è così? Ma poi, siamo davvero telepatici? Non mi importa, io non voglio espormi più di tanto. Spero tu l’abbia capito. Ma si che lo ha capito. Io lo so. Perché tra fratelli ci si capisce al volo. E per essere fratelli non serve per forza un legame di sangue. Fratelli si nasce, o ci si diventa. Noi ci siamo diventati, e non c’è una tempistica, vorrei urlarlo al mondo, si può diventare fratelli anche in soli tre anni. Ma non mi importa, non mi serve, a me basta sentirlo dentro di me. Mi basta pensare che lui sappia cosa è per me. E a me basta vedere che sta meglio, che si è ripreso, che c’è.

 

Un commento su “Fratelli si nasce, o si diventa (monologo schizofrenico)”
  1. L’ho letto mille volte e tutte le volte mi sale il cuore in gola.
    Perchè?
    Perchè come disse Eduardo a Peppino De Filippo:
    “…L’amor fraterno è un sentimento da asilo infantile, credi a me. Fratelli si diventa dopo di aver guardato nell’anima di una persona come in uno specchio d’acqua limpida, e dopo di averne scorto il fondo….”

    Fratelli è vero, non si nasce….. lo si diventa.

    Ary

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