L’intero paesaggio era immerso in un’opprimente e crepuscolare staticità. Alberi tinti dalle multicolori tonalità dell’autunno si stagliavano alti verso il cielo, proiettando le loro sottili ombre sulla piccola chiesa che sorgeva lungo il versante occidentale della collina. Sembrava quasi un paesaggio onirico, in cui il permanente stato di quiete era interrotto soltanto dal singhiozzante fruscio delle foglie che fluttuavano quasi in maniera sistematica sul limitare della linea degli alberi che si dipartivano fitti giù dalle alture. Non vi era anima alcuna che avesse potuto godere di una così grande bellezza, eccezion fatta per un individuo elegantemente vestito e seduto sugli scalini della chiesa.
L’uomo era intento a fumare un sigaro, scrutando a tratti il delizioso paesaggio che si stagliava difronte ai suoi occhi. Questi aveva una barba molto curata che, oltre a donare una certa severità al volto, contribuiva a delineare il suo aspetto da perfetto gentiluomo. Non sapeva dove si trovasse o come fosse giunto fin lì, ma ciò nonostante sembrava non curarsene affatto, preferendo soffermare di tanto in tanto il suo sguardo pensieroso su di un’antica lapide, che si trovava a pochi passi da lui.
Nell’interminabile tramonto che illuminava caldamente la collina, l’uomo si interrogava su chi potesse mai essere stato sepolto in una tomba senza nome e senza alcun tipo di informazione, tranne che per un ambiguo e poco comprensibile epitaffio scolpito sull’ormai usurata lapide in granito. L’epigrafe recitava soltanto poche e criptiche parole che sfortunatamente erano state rese illeggibili dall’usura del tempo.
Mentre si sforzava di decifrare quelle irriconoscibili parole, effimere nuvole di fumo originate dal suo sigaro si disperdevano nella fresca aria autunnale. L’uomo immaginò che qualsiasi speculazione sarebbe stata tanto assurda quanto vana: solo parlando con chi era stato sepolto lì, nella soffice terra della collina circondata dal bosco, avrebbe potuto scoprire la verità. Ma quali assurdità passavano mai per la mente di costui? I fantasmi sono creature solitarie, lontane dalla realtà dei vivi e da quella dei morti, sospesi in un eterno limbo sia d’ignoranza che di ridondanti e cicliche azioni. Se anche avesse potuto tenere una conversazione con il cadavere sepolto sotto quella lapide senza nome, cosa di per sé assurda, non avrebbe ottenuto altro che angoscia ed ulteriori domande: è risaputo che i morti non possiedono alcuna risposta o certezza.
Nessuna logica collegava apparentemente la sua presenza in un luogo tanto onirico ed immateriale come quello che, affidandosi ai sensi, si parava difronte ai suoi stessi occhi. Sembrava che il tempo fosse una realtà separata da quella in cui l’uomo si trovava; d’altronde, da quanto tempo era lì? Proprio come i cadaveri sepolti in quelle casse di legno marce ed invase dalle striscianti creature del sottosuolo, neppure lui aveva una risposta certa alle sue stesse domande.
Mentre immaginava di poter udire gli angosciosi e tetri lamenti provenienti da sotto le lapidi, si accorgeva che sotto la tomba senza nome tutto taceva. Tremendi suoni provenienti dalle profondità cosmiche di questa ed altre fittizie realtà turbavano la psiche dell’uomo, sottolineando non tanto la sua strabiliante conoscenza del Tutto, quanto la sua profonda ignoranza di sé. Provava invano a tenere celata ad egli stesso una verità che, da un tempo troppo lungo per essere ricordato, era sepolta dentro di lui.
Alzandosi lentamente, lasciò che il sigaro cadesse sui gradini della chiesa e, mentre il paesaggio circostante di cui egli stesso era ormai da tempo diventato una costante non accennava a cambiare, si avvicinò alla lapide senza nome e, chinandosi su di essa, la toccò. Aveva finalmente compreso di essere lui l’ultimo tassello mancante in quella lugubre cacofonia di suoni sotterranei e così, comprendendo che nell’universo non vi era ormai più posto nè per la sua controparte eterea, nè per la sua mortale prigione fisica, lasciò che la fresca brezza autunnale dissolvesse ciò che di lui era ancora relegato su questa terra, ritornando ad occupare per l’eternità il claustrofobico e tetro mondo del sottosuolo che si dipartiva appena al di sotto della sua stessa lapide.

3 commenti su “La lapide”
  1. Evidentemente era uscito per fumarsi un sigaro e riassaporare l’aria autunnali. Ma il tempo scade velocemente anche per le uscite. Tutto poi deve rientrare con precisione dentro la realtà.
    Scritto bene.
    Sandra

  2. Bel racconto bellissimo finale, anche se io lo sfronderei della sovraggettivazione di cui hai fatto abuso.

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