Quel morbido ticchettare dell’acqua, che libera precipitava su ogni cosa lo rilassava. Contemplando ad occhi spalancati la pioggia, si sentiva meno solo di quanto non lo fosse veramente. Se ne stava lì, immobile, seduto davanti alla finestra, con la testa accasciata sul davanzale e lo sguardo perso in chissà quale emozione, chissà quale turbamento. Il lume rifletteva la luce sul suo profilo sinistro e proiettava la sua ombra in basso. Anch’ essa sembrava essere espressiva, pareva avere la stessa rassegnazione e la stessa tristezza che aleggiava nella stanza e si mostrava sul suo viso; come se quella luce, illuminasse la sua anima, come se penetrasse dentro di lui, sbattesse contro le sue emozioni e le riflettesse sul pavimento.

Alzò piano la testa e la sprofondò sul palmo della mano, mentre con il gomito, appoggiato sul davanzale, si sorreggeva. Accostò a se il posacenere, colmo fino all’orlo di cenere e cicche, estrasse il pacchetto dalla tasca e ne prese una sigaretta, l’ennesima. L’accese e iniziò a fumare; senza cambiare mai espressione; era smarrito nel labirinto delle sue incomprensioni. Nella penombra, la punta incandescente della sigaretta, gli illuminava il viso ad ogni tiro e il fumo si alzava lento e denso sopra di lui, scomparendo nel buio più corposo al di sopra della finestra.

Pensava e si faceva cullare dalla pioggia. Cercava, sagacemente, di sfuggire alla morsa della mestizia, tentando di annullare il suo passato mescolandolo con l’acqua che scivolava via, lì fuori, sperando che lo portasse con sè. Un’altra sigaretta era finita e andava ad aggiungersi ai molteplici mozziconi che affogavano nel posacenere emanando un odore acre, che si mischiava al fetore sprigionato da lui stesso, poco avverso all’acqua in quei giorni. Il tanfo che ne derivava era voltastomachevole e sottolineava la rassegnazione di quell’uomo. Lui rimaneva lì, avviluppato dai suoi pensieri, perso nella caliggine della sua stanza, inalando i miasmi della depressione, inerte, sopraffatto dall’ansia, schernito dalla vita. Di colpo ebbe un sussulto e il suo sguardo perso nell’indefinito diventò attento e disperato.

Si era accorto che la pioggia aveva smesso di cadere. Si sentì smarrito, ora era davvero solo. Quell’atmosfera fosca e malinconica, dolce e rilassante, stava svanendo. L’uggiosità del mondo lì fuori lo aveva rassicurato fino ad allora. Non era solo lui a soffrire, non era l’unico ad essere coperto da un manto triste e rassegnato. Non era solo lui ad essere in una dimensione statica, aspettando che uscisse il sole per ricominciare a vivere. Gli pareva così. E questa sua convinzione era l’ultimo appello al suo strazio di non tagliare il già esiguo filo della speranza. Ma non poteva piovere per sempre. Prima o poi il sole avrebbe squarciato le nuvole e illuminato il grigio pallore del cielo piovoso. Lui lo sapeva. Ma, intanto, si era fatto cullare dalla pioggia, come un pargolo prima di dormire, prima di dormire per sempre.

 

4 pensiero su “Della pioggia, ci si può morire…”
  1. riesci a descrivere poeticamente la disperazione, rendendo i tuoi personaggi, protagonisti di situazioni difficili ed estreme, vivi, reali, quasi simbiotici alla nostra quotidianità.
    bellissima l’idea dell’acqua, che dà vita e rigenera, mentre qui, nella sua assenza finale, è causa di morte e addio senza soluzione.
    ciao
    anna

  2. Sei bravissimo come sempre.
    La pioggia che ti fa compagnia, perchè piange come te, quando se ne va per lasciar posto al sole, che di solito è vita, ti lascia in balia della morte. Tutto giocato sui contrasti e sulla sorpresa. Bellissimo!

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