Continua da: Cari figli ecco come è andata (prima parte)

Siamo ai primi di marzo e cominciano le assenze strategiche salva voto, o scampa interrogazione, quindi i famosi “cup” così per lo meno chiamavamo il marinare la scuola, diventano frequenti, anche se io li ho sempre dichiarati tutti a mia madre, tipo “oggi non entro vado in biblioteca”.

Nel frattempo la taverna della nostra casa di campagna a Gerenzano di Canzano si era trasformata nella taverna di classe dove con i Vip io e Vincenzo ci incontravamo dalle 21:00 per studiare la notte e poi si dormiva lì al piano di sopra, per lo più notti insonne a cazzeggiare e cuocere arrosticini.

Martedì 16 marzo tiro fuori dal cilindro una super interrogazione di Diritto, la prof Cristinziani quasi non mi riconosce e per premiarmi mi dice “bravo Palmino spero che venerdì farai bene anche all’interrogazione di Economia”, porca vacca ma se nell’elenco delle mille cose da fare studiare economia non è contemplato fino ai primi di aprile? “Vincè venerdì cup”, e lui “Ovvio, ci sta pure ragioneria che ti cerca disperatamente”.

Io e Manuela parlavamo sempre più spesso, di ogni cosa, di musica, sport, della vita in generale, ma nel totale anonimato e senza manifestare mai interesse reciproco, solo chiacchiere libere, e poi sorrideva, che bella che era quando mi sorrideva. Io continuavo ad essere un ragazzo libero e Manuela una perfetta sconosciuta a quel mondo di vipere, una studente normale, che va a scuola in tram, e segue le lezioni.

Il mio alibi di ferro era sempre Patrizia, ormai la classe intera sapeva della scommessa e si chiedevano perché insistevamo così tanto a lavorarci a ricreazione.

Vincenzo comunque il 18 Marzo’93 durante la ricreazione tira fuori l’argomento di Economia e ragioneria, e riferisce che il giorno dopo non saremmo stati presenti per un “cup” necessario alla causa.

Ovviamente estende l’invito anche a loro quasi certo del rifiuto, ed invece Patrizia, saggia lei, “dai Manù facciamolo anche noi” lei ci pensa un po’, mi guarda ed io la fisso dicendole “tranquilla Vi porto io al sicuro e reggiamo le candele a questi due” Vincenzo sghignazza assaporando la vittoria, ed io guardo Manuela sorridere che dice “si va bene”.

Appuntamento per i tigli, dove Patrizia arriva con il pullman dell’arpa e Manuela scende a piedi da piazza Garibaldi.

È venerdì 19 marzo, fasta dei papà ed io ero super puntuale, tutto profumato e trendy con la camicia fuori ed i Levis 501.

Prima però mi faccio una lunga chiacchierata con Vincenzo, dove gli spiego che a me della scommessa non me ne frega più nulla, che ho perso perché mi interessa Manuela, e lui da signore dice: “lo so, l’ho capito da ottobre scorso, ti conosco troppo bene avresti vinto o perso in fretta dopo massimo due settimane, non riesci a stare zitto con le donne e l’avresti messa in condizioni di scegliere da subito, io le 100 mila lire non le voglio, tanto viaggio sempre gratis”, lo ringrazio e gli rispondo “Vincè a te Patrizia ti piace veramente, ed io ad un amico una cosa del genere non la farei mai”.

Prelevato il prezioso carico, Vincenzo si siede dietro con Patrizia ed io e Manuela davanti, la Pajero aveva l’antenna lato sinistro di fianco al parabrezza estraibile, si alzava da sola quando accendevi la radio e riscendeva quando spegnevi, in una delle tante scarrozzate settembrine si era spezzata nel sottopasso di Pineto, e quando accendevi la radio usciva un piccolo moncone di una ventina di centimetri.

Come anche oggi nella mia macchina ci sono sempre state bottiglie d’acqua, e quella mattina avevo il vetro sporco,  e non avevo acqua ai tergicristalli, presi una bottiglia, aprii il finestrino e con la mano sinistra buttavo acqua sui parabrezza con i tergicristalli accesi, nel rientrare la mano il polso grattò sul moncone dell’antenna spezzata, porca vacca che figura, feci il coraggioso, ma saranno stai i capillari rotti o che il cuore pompava a manetta per l’emozione che uscivano litri di sangue.

Eravamo in direzione San Gabriele, il santuario dei cupparoli automuniti, (panini con la porchetta indimenticabili), il sangue era tanto, mi fermai e scesi dalla macchina io e Manuela riuscimmo con l’acqua della bottiglia avanzata ed il mio fazzoletto a tamponarlo, lei poi me lo legò stretto al polso, ma io la guardavo ed era così profumata e bella che se mi tranciava il braccio non me ne accorgevo.

Quindi la decisione fu di andare da un medico di Isola del Gran Sasso, almeno per farmi medicare, il dottore si ritrovò questi quattro nello studio con una storia incredibile, un’antenna spezzata che provocava una escoriazione al polso, per fortuna senza tagliare le vene, ad un ragazzo che ufficialmente doveva essere a scuola. Comunque mi disinfettò la ferita, cerotto e fascia, quasi simile a quella dei tennisti per il sudore, e via al Santuario.

Lì seduti al parchetto dietro al furgoncino della porchetta ci mangiammo i nostri panini, giocammo e parlammo tanto, ma io e Manuela, a parte il mettermi il fazzoletto al polso non ci sfiorammo mai, ci guardavamo e basta.

La porchetta di Colledara non si batte, con la crosta poi … ok ok, scusate mi sono lasciato prendere da quei profumi.

Quindi passate le nostre liete ore lì a San Gabriele, fatto il giretto dal Santo ed al negozietto, si riparte alla volta di Teramo.

La mia macchina aveva il cambio manuale, e dopo la ripartenza Vincenzo e Patrizia seduti dietro cominciano a parlare tra di loro di chissà cosa, io accendo la radio e si riparte, la mia mano è sul cambio ed improvvisamente su di lei si posa la mano di Manuela, ci guardiamo un attimo e continuo la guida, le nostre mani giocano, mettono le marce insieme e come per magia alla radio parte Umberto Tozzi con la canzone “ a cosa servono le mani”.

Guidavo con la sinistra fasciata, e con la destra giocavo con la mano sinistra di Manuela, non ci guardavamo neanche, la strada da San Gabriele è tutta curve ed eravamo un pelino in ritardo visto che era quasi l’una e il “cup” osserva gli stessi orari scolastici.

La radio va, e Masini di tutte le belle canzoni che ha fatto se ne esce con “vaffanculo” che la radio inizia a trasmettere. Io e Manu ci guardiamo un attimo e canticchiandola continuiamo a giocare con le mani, io stringevo forte la sua e lei la mia, ci sfottevamo ad ogni “vaffanculo” che il buon Marco gridava dalla Sony, ovviamente stritolandoci reciprocamente il dito medio durante il simpatico ritornello.

Non ne posso più, mi giro e le dico “se non la smetti ti do un bacio” e lei arrossendo un po’ risponde “provaci!” c’è una curva a destra con un piccolo spiazzo a sinistra, mi accerto che non viene nessuno ed attraverso la curva andando dritto allo spiazzo, mi fermo sull’erba, metto in folle e tiro il freno a mano, apro lo sportello e scendo, Vincenzo e Patrizia mi guardano spaesati, faccio il giro della macchina ed apro il suo sportello, le do la mano per invitarla a scendere, lo fa guardandomi fissa negli occhi, la mano le sta tremando un po’ gli occhi mi cadono sul display del Pajero mentre lei scende e vedo che sono le 13:04 la porto in mezzo al prato e le lascio la mano per mettere entrambe le mie intorno ai suoi fianchi, avvicino il mio viso al suo, è come se non avessi il coraggio ma quando siamo vicinissimi i suoi occhi si chiudono e si solleva leggermente sulle punte dei piedi, si è stato un bacio lunghissimo ed appassionato, il suo profumo mi entrava dalle narici e finiva dritto al cervello. Dopo il bacio resta con la sua guancia sul mio petto per un istante, guardo in macchina e dal finestrino vedo le facce di quei due che ci fissano, Vincenzo un po’ stordito mi fa il cenno dell’orologio, e mentre mano nella mano, senza dirci nemmeno una parola tornavamo verso la macchina, Patrizia prende e lo bacia, forse non ha più molta fretta Vincenzo in quel momento, ma io tolgo il freno a mano e riconquisto l’asfalto verso Teramo, zitti e senza fiatare, alla radio continuavano a cantare chissà cosa, e le nostre mani scalavano le marce insieme senza staccarsi mai.

Arrivati a Teramo ci salutammo perché il tram ed il pullman ripartivano, lei mi strinse in un abbraccio caloroso, mi sussurrò all’orecchio se stavamo insieme ed io la baciai dietro l’orecchio e sussurrai, dapprima si ritrasse quasi come se le facevo solletico ma sentì bene cosa le dissi perché strinse forte forte prima di saltare sul tram.

Stavo insieme a vostra madre, nel più totale anonimato e vi state sicuramente chiedendo “ma tutte le storie che raccontano” ecco sono vere ma non accaddero prima ma dopo il primo bacio, sì perché purtroppo il totale anonimato durò pochissimo ed i serpenti iniziarono a circondarci.

La nostra storia non andò giù alle sfigate che mi ronzavano intorno e nemmeno all’ex di mamma ed arrivavano attacchi e tentazioni da tutte le parti, ogni giorno.

Decisi che difendersi era inutile, dovevo attaccare e dimostrare al mondo che io amavo lei, ma gli attacchi erano così infimi che arrivavano anche dalle sue presunte amiche e mi ritrovai che dovevo dimostrarlo soprattutto a lei in quanto le dicevano continuamente cose strane, tipo “tanto non dura più di un mese” oppure “non sei importante per lui”, addirittura una delle sue migliori amiche le fece le carte, si quei tarocchi che si compravano in edicola, e le disse che non l’amavo e che sarebbe finita a breve.

Lei ci soffriva, aveva paura di perdermi e la vedevo come se non volesse affidarsi a me totalmente perché certa che non sarebbe durata.

Mi ritrovai a dover dimostrarle che l’amavo e che per me era importante, e soprattutto volevo farlo capire alle vipere che ci circondavano.

Un pomeriggio, dopo una riunione come rappresentante con la presidenza presi un giravite dietro la mia macchina e smontai il plexiglass del distributore automatico, c’era un manifesto rosso con la scritta bianca Coca Cola, alla tabaccheria di fronte comprai un foglio grande bianco e dei pennarelli  e rimpiazzai la scritta della società di Atlanta con un bellissimo “Manu Ti Amo” e la mia firma. A quel distributore ci andavano tutti, alunni ed insegnanti e c’era la fila quella mattina per vedere la novità, tutti sapevano chi ero io, molti non sapevano chi era lei, e le vipere invece di diminuire aumentarono.

Io facevo il rappresentante d’istituto, era facile per me uscire durante le ore di lezione, quindi andavo in classe sua, bussavo e giravo al Prof di turno le nuove circolari che erano frasi d’amore per la Signorina Pannella.

Fuori dalla sua porta attaccavo con una puntina un palloncino gonfio con la scritta “Manu Ti Amo” ad ogni cambio dell’ora prof ed alunni vedevano i miei nuovi messaggi per lei, brusio generale e qualche prof romanticone cominciava a tifare per questa storia d’amore inconsueta per quegli anni.

Dalla finestra della mia classe al terzo piano pendeva uno striscione di carta con la scritta “Manu Ti Amo”.

Una mattina presto tappezzai tutta via Tordino con 3000 bigliettini con su scritto “Manu Ti Amo” e lei un pomeriggio scrisse su tutti i banchi della scuola con la matita “Mino Ti Amo”

Non era tutta rose e fiori ed un giorno litigammo, le comunicazioni erano complicate, niente cellulari ricordate?

Volevo fare pace e misi uno striscione in Via Tordino con la scritta Manu Ti Amo, lei lo ignorò e salì frettolosamente sul tram per andare a scuola, io lo superai, Vincenzo come navigatore faceva schifo e si reggeva forte, nella discesa di Via San Martino, di fronte al Bar Promenade, in fila al semaforo, scesi dalla macchina, lasciando pure lo sportello aperto con Vincenzo ormai nel panico, e bussai alla porta del tram, l’autista mi aprì la porta e salito a bordo andai da lei, scattò il verde, con migliaia di macchine che suonavano ad un Pajero senza conducente con lo sportello aperto ed il povero Vincenzo preso a parole da tutti, la guardai negli occhi e le dissi che per me lei era importante più di ogni altra cosa, più del traffico e che niente poteva dividerci, ci fissammo negli occhi e un vecchietto le disse “Signorì dagli un bacio che qua scoppia la guerra se non ripartiamo”. Ci baciammo, la portai in macchina e filammo via tra insulti ed applausi.

Un giorno le comprai da “prenatal” che stava di fronte al palazzo della provincia, una tutina da neonato, mi disse che ci doveva fare, ed io le dissi, “niente, nel caso un giorno avessimo dei bambini”.

Quando tornammo dalla gita di tre giorni il Pullman sulla quale viaggiavo aveva un cartellone davanti con la scritta “Manu Ti Amo”, l’arrivo a piazza Dante fu trionfale con lei che mi aspettava alla scaletta del bus.

Un giorno la stavo riaccompagnando in macchina, non aveva fatto merenda ma non ce né fu il tempo, discutemmo un po’ mi fece capire di essere convinta (forse su pressione di qualche vipera) che ero importante per lei più di quanto lo fosse lei per me, e scendendo dall’auto sotto casa le dissi “aspetta, ci andiamo a mangiare qualcosa” mi disse che avrebbe mangiato volentieri un gelato, ma non c’era più tempo quindi salutò e si precipitò per le scale, io andai in un bar, quello di fronte allo scientifico, cera il frigo dell’algida e due ragazzi dietro il bancone, svuotai tutto il frigo gelati, non sapevo ancora quale gelato le piaceva, e nel dubbio li presi tutti, chiesi al ragazzo del bar se mi faceva la cortesia di consegnarli a casa, erano diverse buste, con un bigliettino “sei importante tanto”.

Ogni settimana riceveva Rose a casa, mazzi e mazzi di rose rosse, contro ogni previsione passò un anno ed arrivarono 365 rose rosse a casa, e sempre contro tutti e tutto passarono 1000 giorni ed arrivò a casa sua una orchidea in una scatola con mille caramelle.

Nel frattempo sono passati decenni che raccontarli tutti diventa impossibile e forse un po’ pesante, Vi dico solo che abbiamo avuto alti e bassi, che ci siamo divertiti tantissimo e ci continuiamo a divertire, lei sorride e quando mi sorride io sto bene.

Comunque la amo sempre di più, siete arrivati Voi, il frutto più dolce che la pianta dell’amore può produrre, io la continuo a corteggiare, anche un po’ spudoratamente e lei ha capito che per me è importante.

Ops manca un pezzo nel saluto del 19 marzo lo so, dai lo metto in rosso:

Arrivati a Teramo ci salutammo perché il tram ed il pullman ripartivano, lei mi strinse in un abbraccio caloroso, mi sussurrò all’orecchio se stavamo insieme ed io la baciai dietro l’orecchio e sussurrai, PER SEMPRE dapprima si ritrasse quasi come se le facevo solletico ma sentì bene cosa le dissi perché strinse forte forte prima di saltare sul tram.

Ecco qua, una semplice storia d’amore, nata quando non c’era Whatsapp o Facebook, fatta di carezze e baci, qualche lacrima e tanti sorrisi. In oltre 24 anni abbiamo litigato tanto, spesso per Voi o per cavolate, Vi giuro però che mai sono andato a dormire con il cuore arrabbiato con vostra madre e mi sono sempre svegliato cercando i suoi occhi.

La vita ci ha dato tanto, soprattutto tre piccoli delinquenti che hanno riempito i nostri cuori, di mestiere cerchiamo di crescervi con dei principi, ed aspettiamo che prendiate il volo.

Vi auguro una vita piena d’amore come la mia, e quando avrete le vostre storie darò la mano a Manuela e cominceremo a stritolarcele ed a giocare intrecciando le dita, il povero dito medio avrà come al solito la peggio, ma non esiste un amore sincero senza un sonoro “vaffanculo” e tanti ma proprio tanti “Ti Amo”

2 pensiero su “Cari figli ecco come è andata (seconda parte)”
  1. Scusate gli errori, ma davvero l’ho scritto per lasciare un qualcosa ai figli.
    Un abbraccio

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