Ho trascurato i fiori del mio giardino per coltivare una pianta velenosa.
Come è potuto succedere?
Il seme è arrivato in un giorno di sole, portato dal vento che con forza inspiegabile lo aveva sollevato dal piccolo quadrato di terra arida e sabbiosa dagli alti recinti nel quale stava da anni senza riuscire a germogliare.
L’ho osservato posarsi sulla mia terra fertile, un po’ discosto dalle altre piante, e l’ho visto rapidamente mettere radici e svilupparsi rigoglioso. Non era una pianta che conoscevo, la forma del fusto, delle foglie, tutto era nuovo per me. Giorno dopo giorno l’ho curata, togliendo senza rendermene conto attenzione alle altre piante, mie da sempre, che ne soffrivano un poco, ma non vistosamente. L’ho innaffiata, concimata, e la vedevo preparare un bocciolo, uno solo, ma grande e promettente. Ho aspettato curiosa e inaspettatamente dopo poco è sbocciato il fiore, un fiore meraviglioso, il più bello che avessi mai visto: aveva tutti i colori dell’arcobaleno, ma inspiegabilmente armonizzati come tinta su tinta, i suoi petali erano vellutati e morbidi al tatto, il suo profumo era il più soave e inebriante che avessi mai sentito, al punto da dare alla testa…
Ogni mattina andavo a vedere il mio fiore, a contemplarne la bellezza, ad annusarne il profumo che poi rimaneva con me per tutta la giornata, e ogni sera andavo ad innaffiarlo e ad assicurarmi che stesse bene per la notte, ad accarezzarne i petali per andare a dormire portando con me quella sensazione di velluto.
Poi un giorno incominciò a sfiorire, “beh”, mi dissi, “è normale, ne farà degli altri ancora più belli del primo”. Ma invece di mettere nuove gemme, mi accorsi che la pianta metteva spine, lunghe ed acuminate. “Come le rose”, mi dissi, “le spine proteggono la bellezza del fiore”. Ma quando non ci fu più fiore, nell’accarezzare le foglie ne ricavai ustioni dolorose, incredula riprovai con lo stelo, cercando comunque un contatto con quella pianta che ormai era parte della mia vita, ma ovunque la toccassi un veleno urticante e insidioso mi faceva ritrarre la mano, con una smorfia di dolore.
Ostinata ho pensato fosse una malattia, un qualcosa da curare, ho provato a somministrare rimedi, a trattarla con più attenzione, ma niente, il veleno partiva dalle radici, ed era impossibile eliminarlo, veniva fuori ormai da ogni poro, da ogni propaggine di quella pianta che avevo tanto amato e che ora mi faceva del male.
E intanto mi rendevo conto che il veleno si stava propagando al mio terreno, il mio bel giardino diventava cupo, rialzando lo sguardo sugli altri miei fiori, che avevo trascurato, mi rendevo conto che erano scoloriti, stanchi, e che soffrivano.
Allora, con le lacrime agli occhi e la morte nel cuore, con dei guanti robusti e delle cesoie lucenti, in una notte di luna con le stelle che splendevano in cielo sono scesa in giardino e ho tagliato con disperazione, con forza, con rabbia, ho fatto a pezzi quel fusto malato, ho estirpato quelle radici senza speranza, scavando per cercare fino all’ultimo pezzettino, per evitare che anche una piccola parte potesse restare e ricrescere un giorno, magari dandomi un altro ingannevole fiore, per poi rivelare di nuovo il suo acre veleno e le sue spine senza pietà.
Con i guanti ho raccolto i resti, e li ho bruciati; il fumo denso e acre mi ha riempito gli occhi di lacrime amare, prima di disperdersi in cielo verso le stelle.
Al sorgere del sole, accanto al cratere rimasto, ho posato lo sguardo sui miei fiori, i miei vecchi fiori che, incolpevoli, sembravano chiedersi come mai gli fossero venute meno le mie cure, cosa mai potesse essere successo per farli sentire abbandonati, e che tentavano ancora di restare diritti, contro il sole, cercando di scaldarsi un po’ per sopravvivere, senza portarmi rancore, ma solo incredulità.
Ho capito il loro sconforto, ed ho pensato a quel vento, quel vento che chissà come e perchè aveva strappato quel seme alla terra a cui apparteneva, quella terra arida che lo conosceva bene, e che forse non lo faceva germogliare sapendo che in fondo non poteva portare che danni, resi insidiosi dall’illusione del fiore.
Coprirò il mio giardino, con una rete sottile ma fitta, per proteggere le mie piante, le sole che vorrò seminare, perchè non possano cadere semi estranei, e perchè con le mie cure torni ad essere il giardino che conoscevo, senza bellissimi fiori esotici da una sola notte, ma con piccole piante modeste che anno dopo anno ricompensano le mie cure con le loro fioriture sincere.
Curerò me stessa, dagli effetti del veleno che ho assorbito, forse troverò un antidoto, forse semplicemente resterà dentro di me, e non avendomi ucciso, mi renderà un poco più forte.
Descrizione sottile di un’amore “velenoso”. Mi è piaciuta molto anche perchè io come metafora dico che l’amore è come un fiore…. pianti il seme nel terreno, lo annaffi, metti il concime, lo guardi crescere… poi quando sboccia rimani lì a guardare quello splendore ma non ti fermi, continui a curarlo a guardarlo. Certo se ti accorgi che il fiore è velenoso……. meglio tardi che mai…
Mi è piaciuto molto, Forsythia.
Non è facile tenere una metafora così a lungo e così nei particolari. Hai concluso poi nel modo più giusto, capendo che la vita è fatta anche di veleni, che ci sono momenti in cui quasi ne abbiamo bisogno, forse per poi risollevarci e fortificarci. Grazie!
Germana
E’ bellissima e significativa. Brava. Succede così anche per gli umani. ma, essendo l’esperienza sempre positiva, hai imparato che la bellezza, spesso non é esterna, hai avuto coraggio e capacità di osservazione. Continua a curare le tue piante e a proteggerle, i tagli, graffi, ferite, sono sempre curabili, magari ci vuole pazienza, ma col tempo non si vedono più neanche le cicatrici.
Un saluto.
sandra
ciao, mi sono piaciuti entrambi i tuoi racconti perchè in certi passi mi ci sono ritrovata… una curiosità personale e spero che tu voglia rispondermi: è la tua stella che si è trasformata in una pianta velenosa? ciao
un bel testo, ben scritto, ricco di significati, aperto a similitudini e riflessioni.
brava
Ciao, grazie a tutte per i commenti.
Angela, si, entrambi i racconti sono ispirati alla stessa storia.
Una storia di cui evidentemente sto ancora elaborando la fine. Io ero la stella, e io il giardiniere…
L’apparenza inganna!
Spesso nella vita veniamo attratti dalla superficie delle cose ma se proviamo poi ad approfondire e cogliere l’essenza ci rendiamo conto che ciò che ci riempie e ci arricchisce sono le cose semplici che ci offre ogni giorno la vita!.
Un bellissimo scritto….
Elisa
Molto ben scritto, una metafora chiarissima e rappresentativa di un vissuto. Per il contenuto: spesso si resta abbagliati da un fiore coloratissimo e vistoso e si dimentica il nostro giardino di fiori semplici. Ma anche questo ci aiuta a diventare giardinieri migliori.
Buona Pasqua
Mary
Complimenti, una bella storia, immaginata o personale che sia.
se l’hai immaginata, sei stata bravissima a comunicare dei pensieri cosi’ belli,
sembra trovarsi li’ nel tuo giardino.
se e’ personale e ti riferisci a qualcuno o qualcosa nella tua vita, il paragone e’ stupendo,
Molto bella 🙂
Meravigliosa.
Non sentirti in colpa per quel che ti è successo, hai una forza incredibile e i tuoi fiori diventeranno ancora più belli e profumati perchè nonostante tutto li ami ancora.
Vorrei riuscire ad imparare tanto dalla tua bellissima storia. Grazie
Grazie a tutti per i commenti, non sapete che soddisfazione sia vedere che, pur non avendo mai scritto prima, sono riuscita a far passare le mie emozioni attraverso le parole… Grazie ancora!
L’ho cominciata a leggere per cuoriosità, l’ho sentita subito mia. In uno primo momento credevo riguardasse il giardinaggio poi mi sono resa conto di quanto questa metafora fosse anche la mia storia.