Le foglie volavano basse, trasportate dal vento. Rosse e gialle formavano un tappeto di diverse sfumature.

Il parco era sempre bello in ottobre, quando gli ultimi strascichi d’estate restavano sospesi in bilico sui ricordi abbronzati e il bianco della salsedine era solo l’ombra di un sapore secco rimasto sulle labbra. L’odore del mare era ormai quasi scomparso così come i granelli di sabbia tra i capelli. Ogni tanto un brivido attraversava la pelle coperta ancora da abiti leggeri, come a voler trattenere una stagione ormai andata. Il profumo nell’aria sapeva di sottobosco e c’era un silenzio strano tutto intorno.

Solo quei colori e quelle foglie portavano alla mente immagini di neve, di pioggia e di buio. E sembravano vive.

Era questo che pensava Marcus. Le guardava e gli sembrava di sentirle parlare, tante voci confuse e impertinenti che non capiva. Ci camminava sopra e quando le sentiva scricchiolare sotto i piedi gli sembrava che respirassero ormai ridotte in briciole dalle sue scarpe pesanti. Non pensava che soffrissero, almeno non più. Forse nel passaggio tra il verde e il rosso, in quella sottile linea tra la vita e la morte. Ora erano puro spirito e volavano nel parco solo per ricordargli che un giorno erano state vive anche loro.

“Tu sei verde o rosso, Marcus?”, migliaia di piccole voci gli chiedevano una risposta. O forse gli chiedevano di farsi quella domanda?

“Un attimo verde e poi rosso. Sono morbido, leggero, ma a volte scricchiolo sotto i piedi di chi attraversa la mia vita come in un parco. Sono albero e vento, sono foglia e polvere. Sono verde e rosso.”

Era così difficile farsi quelle domande muovendosi nel più oscuro angolo del cuore, toccando le pareti avvolte dal buio e cercando di capire il punto esatto in cui tutto era partito. C’era qualcosa scritto sopra, forse da lui stesso in un attimo in cui distrattamente si era lasciato vivere, incapace poi però di rileggere le sue stesse parole, distratto com’era dal suo lavoro che lo faceva dormire male su un letto di soldi non suoi.
Un capogiro di paure.
Un rigurgito soffocato.
Un terrore con mille tentacoli che lo seguivano e lo facevano sentire in sospensione da se stesso. E la sua maschera sul volto, così stretta, così soffocante, così vergognosamente impropria ma così maledettamente sua.
Le mani fredde dentro le tasche stringevano il suo sogno.
Era quasi tangibile lì, dentro quel piccolo spazio, un sogno così grande. Se ne stava rannicchiato e in paziente attesa, mentre intorno la vita correva vertiginosamente in direzioni confuse. Un cuore sereno, questo avrebbe voluto avere Marcus. Fino a quel momento non era stato capace di acchiappare quel sogno al volo. A volte aveva pensato di averlo quasi raggiunto, aveva creduto di avere il potere di prenderlo, per poi vederlo di nuovo svanire in una fitta coltre di nebbia. Ma si era sentito forte, così forte da cadere comunque in piedi dopo un breve volo a cavallo della felicità. Non c’era nulla al mondo che potesse cancellare dal suo volto il sorriso che aveva deciso. La sua maschera.

E fu allora che lo vide.

Se ne stava seduto su una panchina di ferro fredda e grigia. La testa leggermente china sulla spalla lasciava scoperto il collo, su cui rughe profonde avevano firmato il passaggio degli anni. Sembrava guardare un punto lontano al di là degli alberi delle foglie del vento. Attorno a lui un silenzio innaturale, come se all’improvviso ogni rumore si fosse ritirato in rispettosa attesa. Marcus si fermò ad un passo e sentì qualcosa di strano muoversi dentro, svegliarsi in lui dopo un lungo letargo. Quell’uomo silenzioso e solo uscito dal nulla gli sembrava irreale. Si sedette accanto a lui perchè non c’era altro che potesse fare. Il vento diventò più forte e più gelido, lo sentiva sul viso come tanti piccoli spilli. Tirò su il bavero della giacca e aggiustò il foulard intorno al collo ma il freddo sembrava essere arrivato in fondo al cuore. I suoi occhi visitarono quel vecchio paltò, quel cappello ormai sdrucito, quelle scarpe logore che sembravano aver percorso migliaia di vite. Guardava quelle mani e gli sembrava che non vi scorresse nulla nelle vene: se ne stavano appoggiate come di plastica su quelle ginocchia fragili. Solo il tintinnio di un bracciale con un ciondolo piccolissimo ruppe per un attimo il silenzio e a Marcus quel suono rimbombò nelle orecchie.
“Chi sei?”, domandò. Nella voce una leggera incrinatura di timore, un impercettibile tremore.
Due occhi più profondi dell’oceano lo guardarono silenziosi e mille risposte passarono su quell’iride bianca, mentre con un solo balzo scendeva fino dentro la sua anima e non c’era nulla che potesse fermarlo.
“Sono te”.
Due semplici parole, tanto semplici da averne paura.
A Marcus cominciò a girare la testa, un walzer di emozioni. Lui che non sapeva ballare era in una grande balera avvolto in un vortice di musica e colori, ubbriaco di danza sulle note di una fisarmonica mai sentita fra le dita esperte di un suonatore sconosciuto.
“Che significa?!”
“Significa che sono te. Guardami…”
Un volto sconosciuto. Ma quella cicatrice sul lato sinistro della bocca…
“Te la ricordi? Posso farti vedere il grande neo sul fianco destro e il mio dito mignolo della mano sinistra con quattro piccole falangi, la stessa mano con cui ho scritto intere pagine della mia/tua vita. O vuoi sapere solo di TE?”
Marcus non capiva. Sentiva il tempo scorrere velocissimo attraverso gli anni passati, correre a perdifiato, correre correre ancora e volare tra boschi case prati moltitudini di gente distratta e angosciata, ruotare vertiginosamente ancora e ancora intorno ai suoi desideri, alzarsi a quote altissime senza respiro, fermarsi per un solo attimo e poi ancora giù, ricominciare la discesa improvvisa e incontrollabile con il vento contro e la sensazione di non farcela! E giù, giù, giù per finire poi scaraventato là, su quella panchina fredda e senza colore!
Ora non sapeva più chi fosse né cosa stesse facendo in quel pezzo di terra calpestata da decine di persone sconosciute.
Come poteva essere lui quel vecchio? E perché era cieco, così povero e così solo???
Così quel volto cominciò a parlare e raccontare:
“Sei stupito? Non devi esserlo. A volte l’anima del nostro futuro decide che vuole parlarci. Siamo ciechi di fronte alla nostra vita finchè qualcuno non ce la racconta. Tu hai sempre creduto di sapere cosa ne sarebbe stato di te negli anni. Mi fa sorridere pensare che hai sempre creduto di morire giovane; una paura che ti sei portato dentro per tanto tempo e così sei morto davvero, ogni giorno un pochino. Hai guardato dalla finestra sbagliata e non eri tu quello che vedevi passare. Io sono un tuo probabile futuro. Non ti piace, vero? Ti saresti creduto morto da un pezzo. Sciocco, infinitamente sciocco! Con la tua morte di fianco hai attraversato gli anni, pensando di avere poco da vivere e da dare. Ti sei perso tante emozioni e sorrisi che avevano il tuo volto, impegnato com’eri a morire”
“Da dove vieni?…” la voce si arrampicava faticosamente su per la laringe, attraversava la gola e impaurita si adagiava sulla lingua, aspettando di essere catapultata fuori dalla bocca le cui labbra restavano quasi serrate in un sorriso spaventato.
“Vengo dai tuoi sogni, da quelli che non hai mai ascoltato perché vivere ti fa paura”
“Ma perché ora? Perché adesso?” Una duna, la voce.
“Forse ora il tuo cuore è più forte della tua mente. E’ arrivato fino a me, al mio sonno e mi ha chiamato. Sono la somma dei tuoi dolori, delle tue gioie, delle tue speranze. Sono quello che non avresti voluto ma che hai forgiato attimo dopo attimo….”
Marcus restò ad ascoltarlo come incantato. Quante cose vere uscivano da quelle labbra sconosciute! Persino il vento aveva smesso di soffiare così che ogni sillaba, ogni respiro restasse immobile nell’aria ottobrina.
Anche il sorriso di Marcus era rimasto sospeso sul suo viso, ora leggermente chino davanti a quel se stesso che non conosceva. Possibile che stesse solo sognando? Si, era una possibilità. Certo, sembrava proprio tutto vero, anche il freddo. Però sia il parco che la panchina potevano essere una trasposizione della realtà all’interno del suo mondo onirico. Ci passava ogni giorno a piedi, in pausa pranzo. L’unica attività fisica che si concedeva. Gli era capitato di vedere qualche vecchio con cappello e bastone camminare lentamente tra i ciottoli e pensare: poveraccio! Possibile che in quel lasso di tempo così breve la sua mente avesse messo in piedi un piano tanto diabolico???? Oltretutto a sua completa insaputa!!! Certo doveva prendere atto che era proprio stanco. Con tutti i problemi che aveva in quel periodo, non poteva nemmeno dedicare due minuti a se stesso, per rilassarsi un po’. Sempre tutto di corsa. Una spada di Damocle sulla testa ogni minuto di relax della sua vita!!
E adesso quel terribile vecchio uscito dalla sua fantasia (o dai suoi sensi di colpa??).
Il viso della sua bimba che dormiva mentre lui era immerso in un bicchiere dentro un locale notturno, appoggiato ad un bancone affollato, guardandosi intorno alla ricerca di un sorriso che gli desse serenità. Questa era l’immagine che gli tornava in mente. D’altra parte lavorava senza respiro, di giorno dietro ad un computer che sputava luride sentenze e di sera dietro un bancone di un bar, a sentire i commenti della gente su tutto quello di cui a lui non importava nulla. Però si divertiva, si, in braghe, a elargire sorrisi (ahimè spesso forzati!) a gente che a volte gli sembrava perfino cretina. E ogni tanto la serata libera. Serata libera… forse era un parolone. Un’ora scarsa di tempo per ricaricare le pile, magari anche incontrare un amico o un’amica con i quali scambiare due chiacchiere furtive. A volte nemmeno il tempo di una sigaretta . Un drink veloce, magari due per mandare un po’ il cervello in tilt e quasi riuscire anche a ballare… e se poi c’era Lei era tutto più bello. Si sentiva un po’ meno disperato accanto a quel sorriso, a quella battuta pronta e a quei due occhi così espressivi. Lei gli faceva battere il cuore ora che si era convinto che al suo posto gli fosse rimasto solo un grande vuoto. Una volta aveva creduto di essere innamorato di Lei e glielo aveva perfino detto. Avevano fatto l’amore con la passione di chi vuole godere di ogni attimo, di ogni odore o suono. Erano stati bene, si erano salutati sciogliendo un abbraccio ancestrale, suggellando quell’incontro con una silenziosa promessa. “Noi due siamo legati dentro”, le aveva detto. Ma lui non aveva mai capito se ne era stato veramente innamorato o se l’unica cosa che voleva era sesso, quello che con sua moglie non riusciva più ad avere. Non c’era più poesia tra loro, dopo la nascita della piccola Stella. Guardava quella donna che gli dormiva accanto e non capiva cosa avesse amato tanto di lei, tanto da indurlo a sposarla e volere da lei una figlia…. Ma forse era lui che era proprio così: oggi qui, domani chissà. Un inaffidabile, forse era proprio questo. Le ferite di un passato non troppo lontano, sanguinavano ancora. Ecco, quelle urla nelle orecchie, suo padre e sua madre in un angolo a piangere con gli occhi gonfi di lacrime . La bottiglia rovesciata sul tavolo e le ultime gocce che colavano sul pavimento. Fino al giorno dell’incidente… ancora un goccio e poi, via!, fuori in macchina! Vediamo se si riesce a strapparsi di dosso tutto questo vivere trascinato! Via! Via! Via! E poi il colpo… e quell’uomo disteso per terra, senza alito di vita in corpo… ma che fa? Alzati! Alzati! Marcus era arrivato trafelato, con il desiderio che tutto quello non fosse vero, che non fosse suo padre a guidare e non fosse morto quell’uomo… ma quel sogno non voleva finire. Omicidio colposo. Processo per direttissima. Carcere. Il sorriso restava sempre là, su quel viso così bello e così triste. Due anni e poi un attacco cardiaco aveva stroncato la vita di suo padre. Oddio, pensò…
Sentiva il dolore che tirava forte, dentro, senza riuscire a buttare giù quel muro che gli girava intorno. Le sue mani tenevano la fronte, come se volessero impedire a quei pensieri pesanti di far crollare tutto. I palmi lentamente si appoggiarono sugli occhi e li chiusero. Vai dentro il tuo sogno, Marcus, ancora….
E via, ancora in volo su quel cielo così fitto di stelle! Il cuore cominciò a battere sempre più forte e il suono era così assordante da rimbombare nell’intero universo. Ancora una danza in mezzo a quei tamburi. La mente ferma. D’improvviso due lacrime. Da quanto tempo non piangeva! Gli fecero quasi paura e con un salto si mise in piedi, deciso a dire a quell’uomo che era un impostore! “Non so chi tu sia, ma giuro che….” Le parole si fermarono a mezz’aria, mentre gli occhi fissavano la panchina vuota. Dov’era finito? Santo Dio, non c’era più! “Sto impazzendo! Lo sapevo, non era vero nulla!”.
Sorrise alleggerito al pensiero che aveva sognato tutto.
“Sono proprio stanco. Dio! lo sono davvero tanto! Prenderò il pomeriggio libero…” Fece per andarsene, prendendo la direzione opposta a quella di sempre. Sentì un leggero scricchiolio sotto i piedi che non gli sembrava quello delle foglie. Si fermò a vide luccicare qualcosa… Si abbassò a raccogliere l’oggetto e rimase pietrificato: aveva in mano un bracciale con un piccolo ciondolo che tintinnò tra le sue mani. Lo osservò meglio, il ciondolo era una piccolissima lettera M, tempestato di pietre preziose, che forse un giorno erano luminose, ma ora formavano solo il contorno di quel segno. Di nuovo il capogiro. Prese a camminare sempre più velocemente, sollevando le foglie che ogni tanto si infilavano sulla piega dei suoi pantaloni. Ora faceva veramente freddo, sembrava arrivato l’inverno in un minuto..? un’ora..? un giorno..? Accidenti, quanto tempo era rimasto su quella panchina? Chiamò sua moglie, le disse che sarebbe tornato a casa prima perché i suoi appuntamenti del pomeriggio erano saltati. Entrò in macchina e chiuse lo sportello sbattendolo forte, come se volesse chiudere fuori tutto quello che in un attimo lo aveva terrorizzato. Si guardò ancora intorno: nessuno. Ogni tanto passava una macchina e lui guarda dentro, con gli occhi ancora sgranati. Vide una persona camminare a piedi verso di lui… chi era?? Se era lui, lo avrebbe smascherato e gli avrebbe fatto dire che cosa voleva!!! Scese dall’auto, camminò verso quella figura che teneva la testa bassa e gli si fermò davanti. L’altro cercò di cambiare direzione, ignorandolo e senza sollevare la testa. “Chi sei??? Fatti vedere bene!!!” disse Marcus a denti stretti. La paura era ormai diventata rabbia e come un pazzo tirò giù quel cappello sbattendolo per terra.
L’uomo davanti alzò la testa, lo guardò con gli occhi di chi non ha capito e non sa cosa deve dire. Non era LUI!! Non era assolutamente LUI! Marcus raccolse il cappello, cercò di ripulirlo dalla polvere e lo restituì all’uomo, con un gesto che chiedeva scusa. Gli accarezzò la spalla e l’altro parve capire.
“Vado a casa, si, faccio una doccia calda e mi riprendo.”
Mentre pensava a questo, sapeva nel suo cuore che nulla sarebbe più stato come prima.
Il vialetto che portava alla sua casa era costeggiato da piccole siepi che ogni tanto lanciavano fuori dal bordo dei rami troppo lunghi. Ogni volta che ci passava davanti Marcus pensava che li avrebbe dovuti tagliare, ma poi restavano là, come braccia tese.
“Come mai oggi pomeriggio sei libero?”. Beatrice…
“Mi sentivo troppo stanco e ho disdetto gli appuntamenti. Che vadano al diavolo, ho bisogno di stare un po’ tranquillo”
“Sei strano… sembri spaventato. E’ successo qualcosa?”
“No, no. Non è successo nulla. ..”
“Che hai? Dimmi la verità”
“Senti, perché devi sempre rendere ogni cosa più difficile? Ti ho appena detto che va tutto bene! Ti disturba avermi tra i piedi tutto il pomeriggio?”
“Ti conosco troppo bene perché tu possa pensare di mentirmi.” La guardò negli occhi e sembrò vedere quel verde per la prima volta.
“Senti, io vado fuori a tagliare la siepe con Stella, ok?” e uscì senza voltarsi, mentre un brivido gli attraversò la schiena.

Il pomeriggio trascorse velocemente, lasciando presto il posto alla sera. Marcus entrò in casa quando ormai la luce naturale svaniva dietro l’alone di lampioni stanchi. Ogni tanto metteva la mano in tasca per sentire se la prova della sua visione fosse ancora lì. C’era. Decise di fare un bagno caldo così si poteva prendere mezz’ora buona di tempo per pensare, senza le domande assillanti di Beatrice. Si spogliò, ripose i vestiti nel cesto accanto alla porta mentre la vasca si riempiva, inondando la stanza di vapore e profumo di muschio. Si immerse in quel tepore, chiuse gli occhi e respirò a fondo. Immagini confuse si rincorrevano nella sua testa: il matrimonio, la bambina, la casa e il mutuo. E Lei. Lei. Un pensiero ricorrente e doloroso che gli fece di nuovo sentire il suo cuore battere. Attimi di felicità non meritata, solo attimi. La vita assaporata a piccolissimi sorsi senza mai dissetarsi e una serie di bottiglie vuote a testimoniarlo. Solo allora capì esattamente cosa doveva fare. Tutto gli apparve subito chiaro: uscì dalla vasca, si mise l’accappatoio e lasciò il bagno. Due occhi bianchi lo seguirono attraverso i vetri appannati, passando velocemente ad un nero intenso, assottigliati da un sorriso appena accennato. Una piccola M brillò per un attimo sul pavimento bagnato per poi sparire velocemente. Marcus la vide appena, come in un sogno. Molti anni dopo, in una serata d’agosto della sua vecchiaia, a Lei avrebbe giurato di riconoscerla in un cielo stellato.

 

3 pensiero su “Se un giorno, all’improvviso …”
  1. un bel racconto, di ampio respiro col dilemma esistenziale di fondo del “sono diventato quello che non mi piace”.
    una sola curisità personale: perchè la persona che si pente è sempre e più facilmente un uomo?
    una incongruenza: un uomo così presumibilmente agiato avrà problemi di mutuo?
    una curiosità: cosa significa “si divertiva in braghe”?
    una nota ortografica: la danza viennese è il valzer.
    dammi pure della pedante.
    ciò non toglie nulla al fatto che il testo mi piace, ma poteva piacermi di più.
    ciao
    anna

  2. grazie a entrambe per aver voluto leggere il mio racconto.
    Per Anna: non trovo che tu sia pedante, apprezzo le critiche sincere. Rispondo alle tue domande: gli uomini spesso non hanno il coraggio di prendere decisioni drastiche come una separazione, preferiscono stare ad aspettare che qualcosa accada, oppure stanno lì e intanto sognano di stare altrove. Non puoi negarlo, giusto? Mi fermo, perchè qua si potrebbe aprire un vero dibattito.
    Un uomo così presumibilmente agiato? Dorme su un letto di soldi non suoi…da cosa deduci la sua agiatezza? Li gestisce, li manipola, ma le grosse cifre non sono sue.
    Si divertiva in braghe, cioè spogliato da giacca e cravatta, comodo, con jeans e maglietta.
    Valzer è corretto, ovviamente. Il mio è un errore (per cui chiedo scusa) legato ad un nomignolo dato ad un mio collega di nome Walter, che cammina ondeggiando e scherzosamente lo chiamiamo Walzer. Ha una sorta di effetto alone questo nome per me!
    Spero di aver soddisfatto le tue curiosità, ti ringrazio per aver detto quello che pensi, l’ho molto apprezzato.
    Baci, Mary

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *