L’odore dei biscotti al limone. Casa di zia Gertrude aveva conservato l’odore dei suoi biscotti. Il forno faceva gli straordinari quando arrivava Bruno.

Ora Bruno voleva riempirsi i polmoni di quel profumo, l’odore d’infanzia, l’odore di casa. Casa sua, ora che zia Gertrude aveva deciso di andare a preparare i biscotti per gli angeli. Chissà, magari si sarebbe fatta dare la ricetta della torta paradiso…

Apre, entra, chiude e sbarra la porta. Abitudine presa il giorno in cui Greta, nonostante l’ordinanza del tribunale che la obbligava a girare al largo da lui e dalla piccola Silvia, decise di andare fargli visita. In compagnia di una grossa spranga di ferro che maneggiava con incredibile noncuranza.

Bruno di quella sera ricorderà solo lei, la lucentezza del ferro nell’oscurità e il buio, prima del risveglio in ospedale dopo l’operazione per l’asportazione della milza e i ventitrè punti sulla fronte. È un bene che non ricordi lei, il suo viso, la sua espressione. Sembrava una scolaretta concentrata nel suo compito. Picchiava con ordine e metodo: prima la testa, poi la parte molle del torace, poi le gambe per tornare indietro attraverso il torace e ancora la testa. Non picchiava con furia, si prendeva il suo tempo per ogni colpo, per calibrarne con attenzione forza e direzione. Non aveva certo fretta. Silvia dormiva nel letto della cuginetta a casa della sorella di Bruno.

Bruno entrò in casa, ma niente odore di biscotti al limone. Ora che si era abituato all’eredità di zia Gertrude, ne cercava il profumo, e non lo trovava. Al suo posto un altro odore che conosce ma che non riconosce.

La casa era silenziosa e buia. L’angoscia -di che dovrei preoccuparmi?- spinge ad accendere tutte le luci e l’arnese anti-solitudine: la TV. Mise sul fuoco un pentolino con dell’acqua per preparare un po’ di the. La casa senza Silvia è vuota.

Silvia aveva l’età delle domande. Migliaia di perché attaccavano giornalmente Bruno, che dalla trincea tentava i respingere l’attacco. Ma quella sera era la tregua. Silvia era al compleanno della cuginetta e avrebbe dormito lì.

Bruno non riusciva a placare i sensi i colpa: – bel pezzo di merda che sono, far sopportare a quella bambina tre anni di affetto della mammina. Egoista e pezzo di merda, certe donne non cambiano con la maternità, istinto di protezione un cazzo! Il mio era diventato istinto di sopravvivenza. Ma ero cieco. Innamorato e cieco, stupido e cieco. Ipnotizzato dalla sua voce e dalle sue gambe. Che idiota! –

Improvvisamente la TV richiama la sua attenzione. Edizione straordinaria del tg. Immagini di un carcere femminile dove i pompieri si impegnano nello spegnere un incendio. Il cronista informa con voce neutra che c’è un solo morto (solo?!), un secondino ucciso da un’evasa con la propria arma di servizio.

Greta. Greta era stata rinchiusa in quel carcere, dopo la sera dell’aggressione.

Ed ecco che Bruno associa l’odore all’immagine. L’odore di cui si riempiva la camera da letto quando lei si massaggiava la pelle con l’olio alle mandorle. Gli chiedeva sempre di passarglielo sulla schiena. Dopo facevano l’amore. Ancora adesso, la notte, nel letto vuoto, gli sembrava di sentire quell’odore.

Adesso sapeva chi era l’evasa. E sapeva che era in casa sua. Il ricordo dell’ultimo incontro lo inchiodò su una poltrona, con un urlo nel petto che non trovava via d’uscita.

Spense la TV. Dal piano di sopra sente arrivare rumore di passi. Passi col tacco. Ora sente i tacchi scendere le scale. Il pentolino con l’acqua comincia a bollire.

La mano di Bruno cerca di trovare il telefono. La polizia. Bisogna chiamare la polizia.

– Non lo farai –

 La voce di Greta ferma la mano di Bruno a pochi centimetri dalla cornetta.

– Vedo che ti ricordi di me –

In effetti, l’odore e il corpo di Greta appena fasciato da un corto asciugamano, avevano reso evidente il ricordo di Bruno.

– Perché non dovrei? In memoria dei sette anni d’inferno passati insieme? O in memoria della mia milza e della cicatrice che ci sta sopra?

– Semplicemente per questa –

Covata nell’abbondante seno di Greta stava una P38, che ora lo guardava con il suo occhio scuro. La potenza di quell’argomento zittì Bruno.

– Ho ricevuto una visita del tuo avvocato. Voleva che firmassi i documenti per il divorzio –

– Non preoccuparti. Lo otterrò lo stesso. Basterà una perizia psichiatrica –

– Stai dicendo che sono pazza? –

La voce di Greta cambiò tono, divenne dolce e sensuale.

– Voglio te, non capisci? Dov’è la piccola? –

– Dai miei – (Non si sa mai)

– Bene –

I lunghi capelli si stavano piano piano asciugandosi e arricciandosi.

– Tu non puoi lasciarmi –

– Hai giurato. Nella buona e nella cattiva sorte. E un giuramento fatto davanti a Dio non può essere infranto. Dio è vendicativo, lo sai? Me lo diceva sempre mia madre, quando mi chiudeva nello stanzino. Diceva che ero cattiva e che sarei andata all’inferno e che sarei diventata la moglie del diavolo. Non ti permetterò di mandarmi all’inferno. –

Adesso la sua voce sembrava quella di una bambina spaventata. I bambini gridano quando hanno paura.

– Dì un po’: quante te ne sei scopate? Belle ventenni che farebbero di tutto per compiacere il bel professorino e darsi la materia. È per questo che vuoi divorziare? Per continuare il tuo giochino senza sensi di colpa? Sono forse meno bella di una ventenne? –

Greta toglie l’asciugamano e toglie il fiato a Bruno.

– No –

Greta ride.

– Siete tutti uguali. Per voi il sesso è un fine per noi è solo un mezzo. E più giovani sono, più vi viene duro. Riconoscevo già a 12 anni il gonfiore nei pantaloni di mio padre. Così come ho riconosciuto quello del secondino. È stato facile –

Bruno abbassò gli occhi.

– Anche tu ti sei lasciato infinocchiare dalla promessa di un bel corpo morbido. Non sei diverso dagli altri –

Bruno la guarda con aria stanca. I capelli asciutti scendono sulle spalle come lunghe onde. Constata che è vero, i tacchi fanno sembrare le gambe molto più belle.

Ora il suo corpo nudo non ha più effetto su di lui.

– Stai zitta –

– Andiamo via. Silvia rimarrà con i tuoi. Tra un po’ verranno a cercarmi –

– Ti ho detto di stare zitta –

– Decidi in fretta, o sarò costretta a far parlare questa –

Carezzò la pistola con la punta delle dita.

– Non hai capito –

Bruno le mollò un ceffone che la stese a terra. Greta tentò di sparare, ma lui le saltò addosso. Il proiettile ruppe il vetro della finestra. Finalmente Bruno riuscì a toglierle la pistola. Si alzò. Lei era ancora stesa a terra. Ricordò tutte le volte che lo aveva picchiato, insultato, le volte che aveva picchiato la piccola e che lui era rimasto a guardare senza dire nulla. Che pessimo padre era stato. Ma ora poteva rimediare. Poteva evitare che Silvia, quando Greta avrebbe finito di scontare la condanna, si ritrovasse a dover preoccuparsi di una madre psicopatica. Non sarebbe bastato per i suoi sensi di colpa, ma era quanto di meglio poteva fare.

Gli dispiacque mirare allo splendido seno di Greta.

Aspettando la polizia, che sarebbe arrivata a momenti (vuoi gli spari che i vicini avevano sicuramente udito, vuoi per cercare l’evasa), Bruno mise una bustina di the nella poca acqua rimasta nel pentolino. Adesso sì che avrebbe voluto qualcuno dei biscotti al limone di zia Gertrude.

 

3 pensiero su “L’odore dei biscotti”
  1. a parte il fatto che da professoressa non ho compreso cosa significhi “darsi una materia”
    (slang locale?), trovo il racconto degno di un thriller.
    cinico a sufficienza quel tè finale con il rimpianto di quei biscotti che ricordano al protagonista tempi migliori.
    ciao
    anna

  2. Ma che bel matrimonio! Beh, un thriller in tutta regola, alla fine il professore ha preso la decisione giusta. Adesso, non farà del male a nessuno, la Signora…, forse solo nella mente del profossore.
    Sandra

  3. sì, anna, “darsi la materia” fa parte del vocabolario degli studenti della facoltà di palermo. a tal proposito, scusate se non mi sono fatta sentire prima, ma è stato un periodo molto intenso e ho acceso poco il pc.
    vi ringrazio del tempo dedicatomi, e dei benevoli commenti!

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