-Dalla serie “Homo Vulgaris”-
Bisognava aspettarselo un ponte a quella altezza? Se si di certo non così stretto e neanche fatto di tavelloni di legno con passamano in corda.
Isidoro si era allontanato dalla comitiva ed aveva intrapreso un sentiero alternativo spingendosi talmente in alto che il vocio, del restante festoso gruppo di gitanti, riusciva a percepirlo solo acuendo tutte le facoltà acustiche del proprio orecchio.
Leggermente affannato, Isidoro si sedette su un grosso masso e a pochi metri di fronte al ponte che, di lì a poco, avrebbe attraversato. Scrutò giù per la vallata, la visione era semplicemente naturale, cioè spettacolare. Provò a misurare l’altitudine abbassando lentamente la visuale usando la pupilla come un raggio laser, fino a cogliere quei grossi roccioni bianchi, ai piedi della montagna, come tanti piccoli sassi. Il largo ruscello di fresca acqua sorgiva da lassù sembrava una miniatura, esattamente come lo stratagemma che si usa per dare l’illusione di rio nel presepe. L’altezza doveva essere proprio notevole, anche perché l’affanno non accennava a passare. Isidoro ammirava compiaciuto il paesaggio pennellato di sole qua e là e si divertiva, ora, a far scorrere velocemente lo sguardo per tutta la lunghezza del ponte giocando con i noti fenomeni di prospettiva, anche a ritroso.
Ad un tratto il suo sguardo, dopo svariate scorribande per i tavelloni del ponte, impattò una figura in movimento che l’obbligò ad alzare lentamente gli occhi fino alla sommità della sagoma che gli stava venendo incontro, o meglio, che attraversava il ponte in senso opposto. Dall’ombrellino merlettato, fatto roteare ora di qua ora di là con raro portamento, dedusse che si trattava sicuramente di una donna che, tra l’altro, con l’altra mano e con straordinaria grazia, tocchettava la ruvida corda del passamano facendola ondulare leggermente.
Isidoro scattò subito in piedi da quella ridicola posizione. Sostenendosi, leggermente curvato per meglio osservare, con entrambe le mani sui pali di sostegno laterali del ponte. Arrivata la donna alla giusta distanza, rimase sbalordito dall’esuberante bellezza di costei. Alta, abbronzata e con sguardo basso. Al contempo timida e provocante con un ginocchio che le faceva capolino dal leggerissimo vestito stampato a larghi fiori il cui tessuto si adagiava morbidamente sulle forme accarezzandola ad ogni passo. I tacchi da sette, poi, davano a quell’andatura movenze sensuali che rasentavano l’erotismo. Cosa ci faceva coi tacchi a quell’altezza la sosia della grande Loren nella sua migliore gioventù?
Ad Isidoro non fu difficile concretizzare che ella rientrava sicuramente nel suo ideale di donna anche in quanto questo molto vario ed elastico. Ad una decina di metri la donna, accortasi di Isidoro, lanciò una rapida occhiata che sembrò dirgli: “ammirami e pensa pure che io sia il tuo ideale di donna, tra pochi passi tutto sarà concluso e rimarrai solo, a quest’altitudine, con la tua depravata immaginazione.”
A pochi metri Isidoro pensò di rivolgerle la parola, ma ciò gli risultò subito insensato. In parte perché non sapeva cosa dirgli, in parte perché era ancora affannato e questo avrebbe potuto rendere l’emissione delle sue parole incerte, facendolo sembrare balbuziente. E poi, quand’anche fosse riuscito a parlare correttamente, il tono della sua voce sarebbe potuto apparire ridicolo per quel tipo di donna.
Si avviò verso il ponte e pensò di tossire implorando con gli occhi quel corpo sperando così di indurre lei a prendere iniziativa. Avrebbe potuto chiedergli l’ora o che so un commento sulla bella giornata. Purtroppo dovette rinunciare quasi subito anche a questa remota possibilità, dall’attenzione che la donna mostrava più verso la fune che verso di lui. Isidoro scartava velocemente le innumerevoli battute che altre volte avevano funzionato e, senza perdersi d’animo, pensò che gli sarebbe sicuramente uscito fuori qualcosa all’ultimo momento o un lampo di geniale improvvisazione, ma fu letteralmente fulminato da un secondo sguardo di lei.
Isidoro sentiva di dover fare qualcosa. Se l’avesse toccata avrebbe potuto rischiare addirittura di essere scaraventato giù sulle rocce. Procedeva lentamente, senza staccare gli occhi da quello straordinario esemplare di femmina umana in movimento. Alla massima vicinanza, sfruttando l’angustità del ponte, cercò di sfiorarla ma non vi riuscì. Appena l’ebbe superata roteò la testa all’indietro ed inspirò rumorosamente nella sua direzione.
Concluse l’attraversamento del ponte con una chiara espressione di sorriso stampato sul volto. Non aveva colto alcun particolare profumo, ma era certo di avere incamerato dentro di lui parecchie molecole che viaggiavano intorno a lei.
Caspiterina che fantasia!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Bravo.
Ciao. sandra
piacevole questo tuo nuovo filone espressivo che induce il lettore a soffermarsi su pensieri e particolari che riconducono al recupero di una slow-life persa di vista.
bravo.
Caro Laerte, se avessi solo immaginato che quel buffo ometto era un tuo amico …..mi sarei fermata a parlargli.
Molto bello il tuo racconto, bravo.
Tilly
Grazie ragazze, vi porterò con me, Kisssal…