Se non ci sei, io t’invento.
Ciò che tento di fare è rinvestire il mio vuoto, non di colmarlo.
Per tutti è una cosa difficile, per me no.

Senza volerlo mi sono ritrovata a parlare di simboli, di sagome aperte, di analogie con la natura e gli stati d’animo, di tutti gli arcobaleni del mondo.
Le mie sculture sono sempre state forme di carne e adesso devo rimediare: digrossare lo spirito appiattito per creare una forma intrisa di energia, che oltrepassi il punto estremo della resistenza e della lontananza, per instaurare un nuovo eterno Sentimento.

Prendo tra le mani un piccolo blocco di creta e penso di fare esercizio per dimostrare a me stessa che domino questo materiale freddo e difficile.
E’ ancora cruda, quando affondo gli artigli per strapparne un pezzo da forgiare.
La lavoro a lungo, con il movimento delle dita e dei palmi, fino a scaldarla e renderla incandescente per vincere e dominare l’istinto che mi guida alla composizione.

Per la prima volta dopo tanto tempo sto richiamando la tua immagine insidiosa che mi tormenta. Ho come l’impressione di sfiorarti, la creta è così calda.
Sento la tensione salirmi dentro come un serpente brulicante nell’esofago; provo il desiderio di immergermi nel tuo blocco, ma soffro per non distrarmi e abbozzo l’apertura delle ginocchia, per crearmi un posto quieto, per collocarmi.

Le mie mani abbandonate stringono la pasta, la tua inerte appiccicosità mi dà la forza e il gusto.
Ti lasci gestire e rimodellare con una sorta di tenerezza mai provata: disfare e ricomporre ad immagine propria un corpo sfiorato e sognato, stabilire un contatto con due porzioni di materia che impregnano lo spazio circostante; il tuo fisico irraggiungibile in dura pietra, masso che domina e presiede la durezza del mio misero essere resistito.

Voglio il mio re per trafiggerlo con lo scalpello sino ad estorcere la sembianza desiderata; prima del corpo nella visione della mia coscienza malata, poi nella sostanza, per ridiventare la parte inseparabile di me.

Anelando la compiutezza dell’opera, divarico le gambe per fare posto alle mie spalle magre e stanche, attendo le nervature delle estremità per combaciare con la mia pelle assetata e bramosa, seguo le incavature e le prominenze per annidare le mie viscere affamate e abuliche.
Ne gusto il capolavoro in questo equilibrio di delicatezza e di sospirati messaggi.

Io cerco un contatto accessibile, solo per me.
Cerco te per non dimenticarti.

Lavoro come un’ossessa giorno e notte immersa nelle schegge e nella ruvida polvere che mi corrode la pelle e i polmoni.
La mia mano è abituata alla tenera carne, che domina con maestria, facilità e naturalezza.
La creta richiede il massimo sforzo, la necessaria resistenza, il conseguente martirio.
La lotta con la materia e l’immane sforzo fisico per far riemergere qualcosa che ho sempre cercato in tutta la vita: la Passione pura, “tutto” il mio e il tuo.

Non importa la dimensione, potrei anche crearti a grandezza naturale o renderti invisibile, minimo; l’importante e’ poterti abbracciare con lo sguardo anche da lontano o averti in pugno con spirito marziale .

Devi essere il mio potere.

Adesso ho finito; sei così duttile al mio cospetto che sembri struggerti per eccesso di umanità.
La tua pelle di argilla non è ancora smerigliata, lucidata a fondo; non voglio che sia troppo liscia.Deve essere ruvida come un corpo protetto, coperto di peluria.

Mi avvicino e ti denudo completamente
E’ venuto il momento di liberarmi per sempre del peso del tuo corpo.
Il fluido che mi turba è risalito in superficie: la sensualità violenta, l’ossessione del mio piacere. Dalle più profonde viscere della pietra si sprigiona un segreto sciolto e inquietante.
Ma la tua bellezza, così pura e viva, cancella tutto.

Ti giro intorno, levandomi il camice bianco.
Con i pugni serrati in tasca ti fisso negli occhi, soddisfatta.

Sei la mia opera, mi appartieni e questa volta potrò dominarti instaurando un rapporto amico.

Oppure no; i nostri corpi senza volto e senza nome svaniranno in amalgama di sedimento nei fondali della memoria e dell’ aberrazione.

Lo sanno tutti, io non mi arrendo.
Se non ci sei, io t’invento.

RG.

2 commenti su “Io t’invento”
  1. Ma che bello! Sembra di sentire la “tensione che sale come un serpente brulicante nell’esofago”, è quello che sentiamo tutti, ma solo tu l’hai detto.
    E’ questo che mi piace quando leggo.
    Grazie!

  2. Mi piace sapere che qualcuno apprezza la mia rete confusa di lumeggi che seguitano a contorcersi nel vuoto, grazie Germana. Ciao, Greta

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *