Ricevo una busta, e una rosa rossa.
Nella busta c’è una chiave, con un indirizzo.
Lo conosco, quell’indirizzo. Ci sono già stata, ma non recentemente… non riuscivo più ad entrare.

Ricordo ancora la prima volta che mi sono trovata davanti a quel grande cancello, che lentamente si era aperto silenzioso davanti a me senza che nemmeno lo sfiorassi.
Non sapevo che fare, ero titubante, come capita prima di entrare in casa di sconosciuti, ma era durato solo un attimo, poi un impulso irresistibile mi aveva invitato a superare la soglia.

Mi ero trovata in un luogo meraviglioso, diverso da qualsiasi altro luogo della mia vita, pieno di tutte le cose più belle, cose che mi piacevano e mi rendevano felice.

Un giardino ricco di fiori profumati e meravigliosi, una stanza calda e accogliente, con il camino acceso e morbidi cuscini su cui lasciarsi andare, una luce calda e invitante, e sopra un cielo, pieno di stelle; tutto questo insieme. Non era mio, ma mi ci sentivo a mio agio, sembrava fatto apposta per me.

Ci sono tornata più volte, in stagioni diverse, e piano piano imparavo a conoscerlo meglio, quel posto, e capivo come fare per migliorarlo, per renderlo più accogliente, e la mia permanenza lì diventava sempre più piacevole.

La prima volta era estate, c’era il sole caldo, l’erba verde, tanta luce, e tutto l’entusiasmo di una scoperta meravigliosa. Poi ci sono tornata in autunno, faceva freddo, ma il fuoco mi scaldava nel profondo, e prendendo coraggio cominciavo a conoscerlo un po’ di più, ad apprezzarne le meraviglie, anche quelle più nascoste.

D’inverno erano stati i momenti più belli, non c’era rigore che potesse rovinare la bellezza del paesaggio innevato, del cielo freddo e cristallino, con le sue stelle vivide anche se lontane.

Poi era venuto il giorno della chiusura. Il giorno triste in cui, arrivata davanti al cancello con la solita gioia nel cuore, l’avevo trovato inspiegabilmente, inesorabilmente chiuso.

A lungo avevo tentato di aprirlo, incredula, afferrandone le sbarre lucenti, avevo tirato, scalciato, urlato, ma niente. E alla fine, stremata, mi ero arresa. Guardando tra le sbarre con gli occhi velati di lacrime avevo cercato di imprimermi nella memoria qualche immagine ancora, qualche raggio di luce, i fiori che sentivo più miei, perchè li avevo curati, innaffiati con amore, e resi più belli e più forti. Poi camminando all’indietro, per non voltarmi, ero andata via.

 

Mi sto allontanando piano, quando ricevo la busta. E’ un invito. Perchè adesso? Come mai la chiave? Che faccio, che devo fare?

Ci penso a lungo, e poi decido di andare. Se non andassi mi resterebbe il dubbio per sempre. Eventi recenti della mia vita mi hanno fatto riflettere sul fatto che ne ho una sola, di vita, e per quanto possibile se riconosco qualcosa di bello lo voglio cogliere.

Arrivo davanti al cancello. Scintillante come sempre. Ma io sono cauta, ho imparato a non dare nulla per scontato, sento ancora nelle mani il dolore del mio stringere disperata quelle stesse sbarre, non è passato molto tempo. Giro la chiave nella serratura, scivola dolcemente senza sforzo, e dolcemente si apre il cancello davanti a me, svelando il giardino in tutto il suo splendore… che bello! Non che l’avessi dimenticato, ma l’impatto di trovarmici dentro di nuovo, dopo tanto tempo, è qualcosa che quasi mi stordisce, che mi annebbia leggermente i sensi. Procedo verso la stanza, sembra quasi che tutto sia stato preparato per il mio ritorno, i fiori sono meravigliosi, il fuoco è acceso, le finestre aperte e un’aria dolcissima e profumata si diffonde tutto intorno. Sono inebriata, è come se percepissi tutto ovattato intorno a me, come se procedessi guidata da un invisibile istinto, senza vedere, senza sentire.

Che meraviglia, nei pochi momenti di lucidità mi viene da chiedermi “ma perchè? come mai questo splendido regalo? che cosa è cambiato?” Ma per la maggior parte del tempo mi lascio avvolgere da quell’atmosfera fantastica, lascio che la mia mente e il mio corpo si sentano parte di quello scenario da favola, come e più che all’inizio, anche se con una consapevolezza diversa, perchè i passati momenti di chiusura mi hanno segnato dentro.

Ad un certo punto, dopo essere rimasta lì per un tempo indefinito, che mi sembra comunque troppo poco, le luci si abbassano, all’improvviso ma lentamente, dolcemente, come ad indicare alla platea di un teatro che è finito l’intervallo ed è ora di rientrare in sala… succede una, due, tre volte, capisco che non è casuale. Devo andare via. Nessuno mi spiega perchè ma capisco che è una cosa grande, di quelle cose grandi che la vita ti mette davanti senza preavviso, e non puoi che fare un passo indietro alzando le mani, senza possibilità di pensare, tanto meno di replicare.

Le porte si aprono davanti a me, passando faccio scorrere un dito su tutto ciò che incontro, sui fiori, sugli alberi, sulle pareti, come per portarmi via almeno un po’ di polvere, una sensazione tattile che accompagni il profumo che non mi lascerà mai più.

Il cancello si apre quel tanto che serve per lasciarmi passare, anche un po’ a fatica, come se dovesse sì farmi uscire, ma controvoglia… E non appena ne varco la soglia, guardando senza vedere dritto davanti a me, un po’ intontita e ancora inebriata dai profumi, il cancello si chiude di colpo con uno scatto della serratura. D’istinto mi giro, mi viene spontaneo tornare sui miei passi e provare a inserire di nuovo la chiave nella serratura… ma niente, non funziona più…

Resto lì un attimo inebetita… che mi succede? Ma ero veramente lì dentro un momento prima? Perchè farmi entrare, farmi riprovare quell’ebbrezza per poi mettermi fuori, e, ora lo sapevo, fuori per sempre?

Dura solo un secondo, mentre piano mi allontano senza pensare a dove andare, seguo come un automa il cammino del ritorno, tornando sui miei passi. Quando mi volto a guardare, un fitta cinta di alberi sta crescendo ad una velocità innaturale tutto intorno, già copre il cancello, e velocemente le mura, il giardino non è più visibile, e gli alberi, alti, continuano a crescere.

Ed ecco subentrare un altro stato d’animo, d’improvviso mi sento come estranea a quel posto meraviglioso, e l’esserci stata in passato, così come l’esserci rientrata poco prima, sembra solo un ricordo sfumato, come un bellissimo sogno, che al risveglio si dissolve lentamente nella luce dell’alba, lasciando tracce profonde ma non visibili. Sfuma a tal punto che mi chiedo se sia realmente esistito, se non sia un mero frutto della mia fantasia, e ad un ultimo sguardo indietro vedo solo una folta macchia di alberi, impenetrabile e immersa in una fitta nebbia.

 

Mi guardo dentro, e scopro che le cicatrici del recente passato rendono la mia pelle meno fragile, e mi aiutano a non piangere più, ad accettare ora con rassegnazione il destino che ha voluto darmi e poi togliermi tutto questo. Comprendo che il volerne capire le oscure ragioni porterebbe la mia mente in un posto lontano da cui non so se riuscirebbe mai a tornare, io che cerco sempre di capire, di sviscerare tutto, sono qui in un dominio imponderabile in cui nulla è definito, nulla è completamente comprensibile.

E come accade dopo aver fatto un sogno molto reale, resto un attimo ferma in attesa di svegliarmi completamente, nell’aria pungente del mattino aspetto che il getto dell’acqua fresca mi tolga la sabbia dagli occhi, perchè dev’essere quella che me li fa lacrimare …

 

4 pensiero su “Come in un Sogno”
  1. il risveglio da un sogno bello è sempre difficile, ma la realtà è la realtà.
    di essa siamo impastati, di vero e di concretezza e quando i sogni ogni mattino si dissolvono, sappiamo anche che la vita è una e merita di essere vissuta pienamente.
    ciao
    anna

  2. Sei bravissima come sempre!
    E’ un piacere leggere le tue cose.
    grazie

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