Quel che sto per raccontare somiglia molto alla realtà. Potrebbe essere vero, spesso anzi accade, ma potrebbe anche essere il puro parto della fantasia: ciascuno lo accolga come meglio crede.
Un uomo maturo, convinto della sua integrità quasi soprannaturale, amava dal profondo del cuore la sua famiglia, costituita da due ragazzi candidi ma svegli e una moglie dotata di una suprema sensibilità. Bella, come solo la perfetta armonia tra lineamenti delicati e un’intelligenza speciale è in grado di assicurare. I figli avevano preso tutto da lei, per una spontanea trasmissione ereditaria. La vita procede, e quanto c’è di bello tende a mantenersi, soverchiando non di rado bruttura e negatività.
Solo che quell’uomo dava tutto per scontato. Quando le cose sembrano ben allineate, i raggi del sole accarezzano la pelle e si cammina saldi e sicuri, ogni cosa sembra favorevole, nessuna ostile. La vita procede d’impulso, come un’onda favorevole per un surfista magistrale, e gli ostacoli sembrano solo lontanissime e arginabili asperità. Vivere così vuol dire divorare la giornata, accarezzare i sogni, donare tutto se stesso alla realizzazione dei propri desideri. È una trappola in cui cadono molti esseri umani, allettati da un futuro prospero e gratificante. Eppure la semplicità resta sempre la chiave di volta di un’esistenza serena e rassicurante. Rispettare il prossimo, ma rispettarsi, anzitutto. Se non ci rispettiamo noi per primi non possiamo pretendere che lo facciano gli altri. Il mondo è famelico e crudele, il posto che il destino ci ha riservato è ambito da altri, pronti a tutto pur di rivestirlo. E noi lì, sicuri di una inamovibilità illesa e imperturbabile, come se tutto ci sia dovuto, nulla precluso,
Un giorno la famigliola decise di concedersi un bel viaggio. Era bello condividere e spartire le gioie di una splendida esperienza comune. E così si volsero verso una delle più belle penisole che il nostro pianeta ci ha voluto donare: ricca di spunti, lusinghe e suggestioni, foriera di singolari emozioni. Mare e sole vi si sposano per illuminare la natura. E proprio lì i quattro decisero di assaporare il gusto speciale del riposo incondizionato, dopo mesi di impegni, ciascuno calibrato sulle reciproche situazioni: le ferie per i genitori, le vacanze estive per i due piccoli studenti.
Il punto d’arrivo era una vera e propria discesa nell’oasi della pace e del benessere. La natura ha donato alla Terra degli angoli straordinari, uno verbo paradisiaci, da cui trapelano strepitosi virgulti. Non tutti riescono a coglierne la specialità, ma sono i punti di forza dei poeti, quegli angoli che li lasciano incantati, facendo apprezzare la superiorità della bellezza. C’è chi abusa dell’aggettivo “divino” per magnificare simili beltà, ma la cosa più semplice è lasciarsi andare, aprire gli occhi incantati di fronte a meraviglie che superano l’ordinario, donando l’accesso, anche effimero, ma pur sempre tale, al soprannaturale.
I quattro cominciarono ad assaporare il gusto di quella città amena. La sera le strade erano ricche di locali accoglienti, pronti a offrire il meglio per chi amasse il gusto voluttuoso dei sapori più allettanti. La notte, serena e rassicurante, concedeva il meritato riposo agli sforzi diurni. Ogni conato era unicamente proteso a non perdere i singoli dettagli delle bellezze che si spargevano in giro. Era proprio il giorno, però, la meraviglia incantevole del viaggio: monumenti storici e affascinanti si alternavano all’esibizione più avanzata della moderna tecnologia, e tutto si incastonava in decorazioni naturali, lusinghevoli e attraenti. Vivere in quella città significava abbinare il lusso alla praticità, il comfort alla funzionalità: in una sola parola, per ricorrere all’ausilio delle straordinarie risorse della lingua latina, era proprio il valēre, ossia lo “stare bene”. Chi lo prova non si rende neppure conto di quale meraviglioso incanto lo stia ammantando. Tutto sembra normale e scontato, eppure così non è. La vita è dura, spesso crudele, le insidie sono dietro l’angolo, pronte a complottare contro ciò che la renda felice. Quando tutto sembra perfetto, ecco pronta la sorpresa. E a quel punto è solo una relazione, a dir poco imponderabile, tra mera sorte, grande capacità reattiva e beneplacito di chi può, a sciogliere il dilemma, offrendo alla vittima predestinata la soluzione inattesa.
Lui era lì. Ad un certo punto sentì l’organismo traballare, il suo corpo fu aggredito da sussulti incontrollabili, incontrovertibili. Il suolo era pronto ad accoglierlo, il vuoto lo assediava, aereo e compatto. Cadde. Lo avvolse il nulla del buio più assoluto. Intorno a lui tutto era sparito, dalla dolcezza infinita degli affetti alla bellezza del panorama, fino al vocio stesso della gente, protesa nel suo perenne movimento in cerca di obiettivi accessori e contingenti.
E lui non c’era più. Era piombato nel limbo del transeunte, in cui non esiste più nulla. È splendido, anche se utopico, pensare che nell’aldilà ci sia dell’altro, meglio o peggio, rispetto a ciò che ci circonda qui sulla Terra. Una cosa è sicura: tutto ciò che è tangibile è vero, del resto non c’è altro che speranza: bella, sì, ma pur sempre tale. Molti mondi vengono creati per sopperire alla nostra finitudine: alcuni sono incantevoli, altri un po’ meno, ma tutti sembrano dettati dal sogno irreale di un’esistenza imperitura. Eppure non c’è il minimo dubbio che la cosa migliore sia cercare di vivere bene finché si è in vita, perché dopo non c’è più nulla, solo il buio della scomparsa. Si entra nel vortice più assoluto, che concede la vita ed è subito pronto a riprendersela, assorbendone ogni delizioso dettaglio.
Questo lui non l’aveva mai neppure immaginato. Finché si opera in mezzo alla gente e si è membri attivi di una comunità alacre e produttiva, a tutto si pensa tranne che alla fine. Si dà la vita per scontata, come un bene comune prezioso ma inoppugnabile. Chi non c’è più è visto tutelato da Esseri supremi, che si prendono cura della sua nuova esistenza, se ben ossequiati. E si cerca di giudicare accidentale ogni prematura scomparsa, ogni recesso rispetto ad un’esistenza ottimale, per qualità, durata, riuscita generale.
I giorni passavano, e lui era entrato nella nuova dimensione. Non sapeva neppure di essere sveglio, rispondeva senza coscienza a tutte le domande che gli venivano poste. Fai questo, e faceva quello; prendi quello, e prendeva quell’altro. La connessione tra facoltà cerebrali ed efficacia operativa era totalmente svanita. Viveva senza coscienza e nulla poteva più ricondurlo sul percorso consueto. Tutto ciò che lo attorniava era sparito, la testa non dirigeva più il corpo, che si muoveva distorto e inoperoso. Solo la disperazione animava i cuori dei suoi cari, fatalmente sempre più rassegnati alla perdita di ciò che avevano avuto, e ora davano per irrimediabilmente compromesso…
Eppure un giorno la luce si fece nuovamente strada tra quei vicoli ciechi. Gli occhi si aprirono, e lui rivide la vita. Ed eccola lì, quella che era stata, ed era ancora, la sua Luce: notte e giorno era rimasta sveglia ad aspettarlo, e ora piangeva nel vedere il suo amore nuovamente vigile e cosciente. Il suo sguardo lo avvolgeva con tenerezza, appianando ogni ruvido livore frastagliato dall’immensa disavventura. Quegli occhi vigili, vivi, donatori di una nuova esistenza, lo avevano salvato. Lui era di nuovo immerso nella bellezza del mondo che ci circonda, meraviglioso ma mai scontato. E lei lo accompagnava, con il sorriso luminoso di chi è bella fuori e dentro. La sua purezza aveva nullificato il male, rinserrandolo nell’orrore che lo genera e lo propaga tutt’intorno. Il bene aveva trionfato sul male, il bello sul brutto, il candore sull’orrore. Quella purezza, dilagante come un dolce e adorabile effluvio, si era cosparsa sul corpo lesionato del suo uomo, donandogli nuova linfa vitale.
Ma… rito non era, era un miracolo! Il miracolo fuoriesce dalla norma, compie un salto quantico inafferrabile, fuori dall’umano comprendonio. Chi sente di esserne stato beneficiato non vivrà più come prima, perché anzitutto capirà di aver commesso molti errori, che l’hanno portato sul cipiglio del non plus ultra. Inoltre vivrà il resto della sua vita pensando che non può dedicarla ad altri che a chi lo ha voluto fino all’estremo, nonostante i suoi limiti, i suoi difetti, le sue spesso oscure complessità. Il miracolo è qualcosa di mirabile, lo dice il termine stesso, del resto… Ma esiste, e tant’è: avvolge e privilegia.
Vivere non è affatto una cosa scontata, e vivere bene ancor meno. Se ci riusciamo non lo dobbiamo solo a noi stessi, ma anche e soprattutto alla straordinarietà di chi ci circonda, riempiendoci l’esistenza, ravvivandola e talora persino restituendocela.
È tutto quel che mi ha dettato il cuore e l’ho scritto di getto.
Più che un racconto, è un flusso di coscienza, ma dalle coordinate chiare e fruibili (non come l’Ulisse di Joyce, per intenderci), nonostante sia riportato in modo dotto e forbito. Infatti l’accuratezza con cui sono esposte idee e sensazioni, il lessico mai sciatto anche quando vuole essere colloquiale, perfino l’uso di figure retoriche come la metafora o di termini desueti (ma in nessun caso stucchevoli) non appesantiscono il discorso che l’autore porta avanti e non sminuiscono il messaggio che traspare chiaro e solo in apparente contraddizione con quanto sopra: un elogio della semplicità, della genuinità, della freschezza dei veri valori, in primis l’amore, per i quali passa l’umana “salvezza”, almeno su questa Terra, e forse unica via possibile alla Felicità, che in questo apologo sembra essere stata raggiunta in modo catartico, passando per una terribile prova, descritta per l’appunto minuziosamente e al contempo con espressioni evocative che la sublimano e la rendono universale e patrimonio di chiunque abbia una sensibilità spiccata come quella dell’autore.
Carissimo Dino, per chi come me ha l’anno scorso condiviso dalla tua viva voce questa tua esperienza, rileggerla così come tu la rivivi nella memoria dà una sensazione ancora più forte, ancora, paradossalmente, più “viva”! Direi che la hai rielaborata in prosa sì, ma in forma “poetica” (penso ad esempio alla poesia in prosa del celeberrimo, almeno ai miei tempi, “Addio ai monti” della Lucia manzoniana). Di più: una sorta di onda musicale la attraversa e la pervade tutta, un’onda che continua a risuonare dopo che si è finita la lettura. D’altronde, come non aspettarselo da chi è capace di creare pascolianamente stupendi versi in lingua latina?! Insomma, oserei dire che hai trasformato questa tua angosciosa, terribile esperienza in un inno alla vita, in un’opera d’arte nel senso più puro e più bello del termine, in uno straordinario cammeo da cui traspaiono l’affetto e l’amore della tua compagna di vita e dei tuoi figlioli, che tu ricambi alla grande. Forse un vero musicista (un Morricone?), potrebbe trasformarlo in uno spunto per costruire una drammatica e nel contempo meravigliosa sinfonia, proprio a partire da quell’onda musicale che lo pervade… chissà! Come tu stesso scrivi, “La vita è dura, spesso crudele, le insidie sono dietro l’angolo”: ma stavolta, anche grazie all’amore, il bene ha trionfato sul male, la vita sulla morte. Grazie per questo dono, per averlo condiviso con i tuoi amici ed avermene messo a parte!
Il tuo amico Felice
Non sono brava con le parole, ma questo racconto mi ha toccato nel profondo. Bellissimo.