Un tormento indicibile, da strapparsi le unghie a morsi invece che rosicchiarle adagio com’ero solita fare; erano giorni che m’interrogavo sul da farsi.
Il gioco mi aveva preso la mano ed ora la bolla di sapone era pronta a scoppiare.
Non c’era niente d’anormale, in fondo si trattava di un sentimento sincero, andavo ripetendomi senza esserne convinta io per prima.
Si, perché riconoscerlo equivaleva a rimettere in discussione tutta la mia vita.
M’imposi una calma che non sentivo. Sedetti alla scrivania e presi a tracciare, su di un foglio bianco, parentesi e freccine, una sorta di diagramma delle possibilità, o delle conseguenze.
Il sentimento che provavo era intenso, coinvolgente, appagante quindi reale e già questo metteva in crisi la mia relazione con Massimo che da qualche tempo si trascinava lenta nelle abitudini, scarica e povera di stimoli.
Persino il sesso mi riusciva pesante, lo vivevo male ultimamente; non mi veniva spontaneo chiedere. Se non fosse stato Massimo a reclamare attenzione, io n’avrei fatto anche a meno.
Non era vero, non l’era affatto… mi sentivo bruciare di vita, desideravo dare e ricevere con la medesima intensità; vivevo da settimane in uno stato convulso di perenne eccitazione che mi rendeva difficile concentrarmi su qualsiasi cosa che non fosse il mio tesoro, ma raggiungere quel bene prezioso equivaleva a perderlo.
Col senno di poi, riconobbi che lo stratagemma iniziale mi aveva garantito una certa libertà in quel mondo a me estraneo e, per certi versi, mi aveva dato modo di osservare le vite altrui da una “prospettiva” diversa. Poi era apparso il mio tesoro, con il carattere volitivo al di là della fragilità disarmante, e n’ero rimasta colpita.   
Erano nate parole che, diventate frasi e poi lunghissimi scambi d’opinione, avevano stretto un’amicizia sincera. Quando si fosse cominciato a parlare di giochi proibiti, non lo ricordavo più ma ero propensa a credere che, in fondo, se ne fosse sempre parlato. Le frasi avevano assunto significati densi di profumi e d’aromi di pelle, di desideri sopiti e di vivaci umori, liberi finalmente dalla classificazione di giusto e sbagliato e il cercarsi s’era fatto dolce e poi smanioso.
Non c’era giorno che io non sentissi quel richiamo e non rispondessi con uguale slancio. Oramai non mi bastava più parlarne, ogni volta le mie mani tremavano scrivendo le risposte ai suoi messaggi, qualche volta poi, tremavano più in basso, senza falsità, senza pudore alcuno, al di là del buon senso che ancora dominava la mia mente. Faticavo non poco a riconoscermi mentre con una sola mano scrivevo delle sensazioni che l’altra mi dava, immaginando che fosse la sua. La bomba cadde di martedì; una pioggia di meteoriti che presagivano l’arrivo di una catastrofe.
– Ti va se ci vediamo domenica alle 09,00 al chiosco in fondo al parco? Non resisto più; ho bisogno di stringerti. Un abbraccio, uno solo, poi sarà ciò che vuoi tu. –
Mancava meno di un’ora all’incontro che poteva decidere della mia vita; avevo avuto quattro giorni per scoraggiare il mio tesoro, per palesarmi e chiudere definitivamente invece non l’avevo fatto. Avevo taciuto su tutta la linea, cercando un modo qualsiasi per uscirne salvando almeno la dignità di quell’amore.
Si, perché l’unica cosa certa, che avevo compreso, era la profondità del sentimento che ci univa.
Mi preparai al meglio nonostante il peso che bloccava il respiro allo sterno.
Indossai un completo di pizzo creme raffinatissimo e calze autoreggenti dello stesso colore sotto un abito di chiffon stampato, molto femminile. Calzai scarpe eleganti dal tacco altissimo e mi truccai con cura, raccogliendo i capelli con un foulard intrecciato. Presi il cappotto leggero, con il cappuccio rifinito in lapin ed uscii, prima di ripensarci ancora.
Camminai adagio lungo i vialetti del parco, guardandomi intorno senza darlo a vedere. Giunsi in prossimità del chiosco ma non mi avvicinai; sedetti su di una panchina poco distante, al riparo di un olmo in precoce fioritura.
Vidi due giovani entrare nel chiosco e sedere. Indossavano entrambi abbigliamento sportivo e anche a quella distanza mi era difficile riconoscerne la fisionomia.
Poco dopo sopraggiunse una ragazza che si affrettò ridacchiando verso uno dei ragazzi, soffocandolo d’effusioni. In pochi minuti il chiosco era di nuovo vuoto anzi no, c’era qualcuno ancora, seduto a gambe larghe con la schiena curva e lo sguardo assorto sulle proprie mani, che torceva e poi strofinava sui jeans.
Il cuore mi balzò in petto. Il mio tesoro… oh, tesoro. Mi alzai di scatto per la rabbia di non riuscire a trattenere le lacrime ma decisa ad andarmene; era giusto così, continuavo a dirmi. Al riparo del cappuccio, le lacrime continuavano imperterrite a riempirmi gli occhi mentre già muovevo qualche passo verso il selciato.
– Ehi! Aspetti! – La voce squillante mi fermò, posandomi la mano sulla spalla.
Mi voltai a guardare gli occhi del mio tesoro, perché non avevo dubbi in proposito. Era lei! Aveva una figura esile, quasi adolescenziale, con i capelli neri e corti, sparati in aria con il gel, gli occhi grandi di un grigio intenso, il piercing al sopracciglio e la bocca a cuore, il seno piccolo e sodo che tante carezze virtuali aveva strappato alle mie mani. La fissai ammutolita e le lacrime scesero impietose sulle mie guance e sulle mie menzogne. Abbassai lo sguardo per non cogliere in lei l’ombra del disprezzo. Le avevo mentito, le avevo fatto male consapevolmente e non avevo avuto il coraggio di rimediare; mi sentivo l’ultimo verme della terra.
– Sei… sei tu, vero? Ci avevo pensato sai, che potessi essere una donna; scrivevi cose così dolci…-
Sollevai gli occhi e li immersi nei suoi, stupita di non cogliere nella sua voce il minimo accenno di rabbia. Mi accorsi che anche lei, come me, stava piangendo e le carezzai una guancia.
– Come ti chiami? –
Laura – risposi – Mi chiamo Laura.
Volò di slancio tra le mie braccia strofinando il viso sul mio seno, piangendo sommessamente. La strinsi a me, carezzandole i capelli puntuti mentre un accenno di sorriso asciugava le mie lacrime.
Matilde, il mio tesoro, aveva smesso di piangere ed ora mi guardava fisso negli occhi. Pose le mani sul mio volto, avvicinò le labbra e mi baciò.
Il mio cuore riprese a battere; la Vita mi sorrideva ancora.

 

2 pensiero su “AmareAmore”
  1. Sorprendente, davvero non mi aspettavo un finale del genere, ma davvero si possono provare sentimenti simili per qualcuno con cui si parla solo via computer?
    Ancora fatico a convicermene. Il racconto però convince, è scritto molto bene.

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