La vita è feroce, spietata.
Un giorno siamo avvolti dal tripudio dell’umana esistenza: liberi, felici, esultanti.
Poco dopo l’anima sfiorisce, appassita.
Potremmo definirlo un passaggio di stato… in termini militari, da maggiore a minore.
Prima si gioisce, ricchi di fastosa opulenza.
Poi si cede, di schianto. I capelli brizzolati, i piaceri ormai andati, soverchiati dal passaggio di stato.
C’era stato. Sì, uno stato di salute imperante. Indomito, supremo, accecante. Avanzava convinto di sé, delle proprie azioni, della bontà di convinzioni radicate.
Ma tutto d’un tratto, senza alcun preavviso, si perse, smarrito.
Erano belle quelle oasi verdi… fiori commisti a fili d’erba spianati, con insettucci iridescenti a suggerne la linfa.
I prati gli avevano donato la ricchezza interiore, la certezza delle interiora, la bontà suprema.
E poi venne l’inverno.
Bianco, canuto e trasparente. Diafano, con le sue cordate increspate.
Nessuno, che voglia campare, si lascia incantare. Ma esso compare, come no? Compare il compare, perfido contraltare di un canto corale.
La vita è un dilemma. Più spesso una flemma, di rado una gemma. Noi che avvertiamo il passaggio di stato, subiamo un processo per nulla filtrato, da un eccesso all’opposto, l’inverso predisposto.
Nessuno può frapporre il minimo ostacolo a quell’esito incombente. Qualcuno trascolora i capelli, altre levigano la pelle. I colori a iosa, frapposti ad ogni cosa, son solo disperati tentativi di stornare un destino.
Ma il fato è lì, spietato.
Noi sotto di lui, cucinati allo spiedo. È inutile dire: «Non tocca a me, non ci credo! Rinuncio, anzi… vedo!». Non è un gioco d’azzardo, ma il destino beffardo, che condanna al silenzio, senza lezzi né assenzio, a rinverdire un’età ormai trascolorata, sofferta, avanzata.
So di dire cose dolorose, lancinanti, fortasse fatali. Pazienza, c’è anche chi può starne senza, farne a meno e viver sereno.
Ma io non ci riesco. Non posso occultare quel che mi preme dentro, arrecando ogni male.
Il cervello a volte ci aiuta, ci porge i benefici della ruta: un nome, un destino, e con la minuscola e con la maiuscola! Ci dona di fatto una chiave di volta, i vantaggi della svolta.
Ma la vita, atroce, ci addossa una croce.
Ponzio, sì, che aveva capito: lavarsi le mani, e tutto è finito!
Eppure non è così facile. Le mani son d’oro, almeno quelle… dei manigoldi! E per questo non si riesce a lavarle, ma restano intrise e imbrattate, in omaggio ai lavori forzati, noi misere vittime di spietati reati.
Lo status quo antea… che meraviglia, quanti ricordi! Ma il passato è perduto, possiamo sforzarci in tutti i modi di serbarne la memoria e ci resta la Storia, ancora una volta con l’iniziale maiuscola, a dispetto dei suoi pavidi detrattori.
Potremmo proseguire all’infinito, con una requisitoria spietata e indolente.
Ma cosa importa di questo alla gente?
Restiamo qui fermi, ormai li abbiamo addosso, quei perfidi germi…
E allora torniamo sereni, liberandoci dei freni, vessanti e inibitori, accogliamo quei signori pretori, i bagliori risanatori di destini genuini, senza confini!

Un pensiero su “Passaggio di stato”
  1. Passaggio di stato è un testo dal quale, leggendolo, non si può che rimanere colpiti. Leggo una sorta di amarezza di fondo, di rassegnazione per il tempo che avanza inesorabile; una metamorfosi improvvisa e definitiva coglie quasi di sorpresa e segna il passaggio in una nuova fase (più triste o più consapevole?) della vita. Sono colpito

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