Il giorno della laurea di Irene pioveva e a dirla tutta non sentiva per nulla l’atmosfera festosa in cui erano totalmente immersi gli invitati.
“Che gran cazzata l’alloro, lo spumante e i regali. E poi che senso ha, se fra 5 anni mi troverò a dover accettare un lavoro di merda, piegando la testa e mostrandomi servile con tutti, magari dietro al bancone di un fast food o in sella a una bici mentre consegno cibo da asporto per una qualche multinazionale come Just Eat, Deliveroo o non so chi altro”.
Mentre si perdeva in questi pensieri labirintici, Alberto, suo amico di sempre le si avvicinò.
“Allora sei pronta per il gran giorno?”
“Penso sia un giorno come un altro, comunque sì”.
Ancora 30 minuti e sarebbe toccato a lei.
La discussione andò bene e Irene si laureò con 110 e lode in Psicologia. La tesi aveva lasciato a bocca aperta la commissione, presentando una teoria del tutto originale e per nulla scontata. Irene infatti aveva esaminato il concetto di fuga e rimozione, collegandolo alla dimensione del turismo di massa, ai villaggi turistici e all’alienazione forzata imposta dalla cultura di massa. Ma la parte più interessante della tesi riguardava la funzione catartica e pedagogica della fuga. Grazie al distacco e alla piena presa di coscienza dell’io, staccato dal contesto di convivenza forzata routinaria, ciascuna persona avrebbe capito esattamente ciò che è indispensabile e ciò che invece rappresenta un elemento superfluo se non dannoso. Una fuga scelta e non imposta avrebbe potuto rivelarsi molto utile, purché non fosse perenne e purché l’individuo non perdesse di vista la dimensione sociale in cui è inserito.
La tesi di Irene però non era una semplice discussione o dissertazione, ma faceva parte di un piano ben preciso. Sarebbe fuggita, si sarebbe fatta una vita altrove, partendo con altre 5 amiche, le uniche persone di cui si fosse mai fidata. Il piano si sarebbe avviato proprio nel giorno della tesi e si sarebbe portato a termine nel giro di qualche mese.
Il giorno della partenza fu invece rimandato e Irene si trovò a partire da sola per la Cina. Due amiche erano purtroppo morte in un incidente d’auto e le altre tre, per la disperazione si erano date all’alcol e alla droga. In quella partenza dolorosa, Irene capì che era stata troppo tempo ferma e che si era aggrappata con tutte le sue forze a piccole rocche di immutabilità, che aveva considerato come eterne persone che il destino le avrebbe strappato poco tempo dopo.
“L’unica costante nella nostra vita siamo noi stessi. Non c’è nessuna fuga, ma non possiamo stare fermi ad aspettare un nuovo autunno. O sarà inverno ancor prima che cada il primo fiocco di neve”.