Decisero di uscire.

Lui, il piccolo, morettino risoluto, occhi e riccioli (ri)belli, bicicletta sgangherata.

L’altro, il grande, senza posa, su di un mezzo ben più forte, una ruvida granata.

La strada li accoglieva, roteanti, ronzanti sull’asfalto, i pedali compulsati, prima una forte spinta in basso, poi il rilascio verso l’alto.

Volavano con foga, i manubri stretti in pugno, e negli occhi Gianni Bugno; eran razzi, no anzi Laser, Moser permettendo! E “Saronni famosi” mormoravano fra sé, alterando desinenze ma domando le pendenze.

Un giorno li videro due cani. Affamati, mugghianti, sbrodolavano saliva dai lor cani-ni fumiganti.

Il primo, piccolino, era solo un botolino, se non proprio un… botulino! Ma latrava incessante, con un ringhio risoluto che rendeva il pelo irsuto.

Il secondo, un gran gigante, era molto più aitante e saldo sulle zampe, più nero del carbone, statuario centurione.

Le due bici li passarono e loro non persero un istante: subito partirono. Corsero a perdifiato, il sentiero divorato: e l’asfalto? Azzannato!

Fu allora che il grande si girò, se li vide addosso e capì che l’unica soluzione era una fuga precipitosa, angosciata, in cerca di salvezza!

Ma il piccolo stentava, l’avevano ormai raggiunto, e il maggiore (solo per età, non per coraggio né per risoluzione), riuscì solo a gridargli: “Corri, pedala, metticela tutta! Fa’ come me, guarda come scappo, se solo lo vorrai, non ci prenderanno mai!”.

Il divario aumentava, il fuggiasco senza casco né basco era lontano, ma il piccolo era disperato, quasi raggiunto dai suoi aspiranti si-car(n)i, più cani che cari, certo, e comunque per nulla ca(ri)ni! Famelici, rasentavano ormai i pedali, pronti a saltare addosso al piccolo indifeso.

“Aiuto, aiutooo…” furon le ultime sue parole. Il grande, le lagrime agli occhi, l’aveva ormai lasciato, s’era sottratto al pericolo incombente. Al piccolo non restava più niente, era ormai perduto, eppure seguitava a pedalare, come chi spera in un miracolo, avvolto dall’incanto della speranza in un mondo migliore.

E fu allora che avvenne.

I cani si fermarono. Avevano difeso il loro territorio, ormai gli estranei l’avevano oltrepassato e potevano ritirarsi.

Il grande si sentì un vile meschino, ma abbracciò il fratellino.

Tutto si era risolto, come d’incanto: quelle gambette, cariche di atavica, inestinguibile energia, avevano risolto il problema, la loro lena le aveva salvate, il pericolo ispirate.

I fratellini si strinsero forte, in un abbraccio interminabile, eterno.

Nulla li avrebbe più separati.

Si sarebbero difesi per sempre, uniti in quella stretta fatale che rende cruciale il nostro esser frale, doma l’ignoto, riempie ogni vuoto.

2 pensiero su “Fuga con foga”
  1. Bicicletta! Metafora di vita.
    Quanti chilometri coperti a pedali, con la mia bici sgangherata, che riaggiustavo ogni anno, inventando soluzioni a problemi ricorrenti.
    Quante … fughe in avanti. E quante … destinazioni inseguite, alcune mai raggiunte. Perché non basta arrivare dove ti portano i pedali. Poi, ci vuole qualcosa in più. Qualcosa che venga da dentro. Compreso il coraggio di tirarlo fuori, quando è il momento. Altrimenti, non ti rimane che risalire in bici, invertire la rotta, e tornare indietro.

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