Un giorno ventoso che la primavera strappa all’inverno, rifiutandosi di fare il suo lavoro di addolcire il clima, preparando la piazza all’estate, l’università è gremita come al solito, dopo la letargia invernale si rivedono facce presenti solo all’incombere degli esami.
“Ieri ho provato a chiamarti diverse volte, ma non rispondevi mai!”
“Avevo il silenzioso, ho passato il pomeriggio in facoltà.”
“Ho incontrato Silvia. Mi ha detto che non c’eri in biblioteca.”
“Ero al ricevimento del prof di inglese.”
“Di nuovo?!”
“Sto facendo un lavoro facoltativo e dovevo mostrargli la bozza per farmi correggere gli errori di grammatica. Ho ancora difficoltà con le traduzioni dall’italiano e lui è molto disponibile.”
“Fin troppo! – commenta Antonio, con una puntina di malizia per nulla nascosta. – Di solito cerchi il modo per fare il meno possibile e ora addirittura ti impegni nei compiti facoltativi? Non hai sempre detto che solo chi non ha una vita sociale considera la parola facoltativo e che gli altri non la sentono nemmeno?”
“Sì, ma questo corso m’interessa!”
“T’interessa il corso o il professore?” Antonio diventa esplicito con un evidente rossore alle guance che sembra un rosa pallido in confronto al colore acceso assunto dal viso di Caterina a quelle parole.
“Che cazzo stai dicendo?”
“Fai come ti pare, io mi sono stufato di essere messo in secondo piano per ogni scemenza che ti passa per la testa. Questa volta stai esagerando, non intendo continuare a farmi prendere per il culo!”.
Di solito Antonio è molto pacato, nelle discussioni parte sempre svantaggiato perché non è abituato a sostenerle e il suo linguaggio comprende poche parolacce, spolverate solo in rarissime occasioni, magari durante una finale di calcio.
Caterina non l’ha mai visto così e s’infiamma:
“Ti rendi conto che stai facendo tutto da solo? Va bene essere gelosi ma così è davvero troppo!”
“Non credo. Quando fiuto qualcosa non mi sbaglio e non intendo rischiare di aver ragione e continuare a farmi raggirare.”
“Il rischio di sbagliare però lo corri senza farti problemi!”
“Se mi stessi sbagliando avresti almeno opposto un po’ di resistenza.”
“Lo sto facendo!”
“Metti più enfasi nelle faccende di casa!”
“Ne ho abbastanza di questa discussione assurda. Questa poi… prendersela perché studio di più… sei irrazionale!”
“Se te la devo dire tutta è stato Matteo a dirmi del professore. Ha cominciato a darmi del “becco” mentre giocavamo a calcetto e mi ha raccontato che ti trattieni spesso a parlare col professore d’inglese, che ti lancia occhiate eloquenti durante le lezioni e ti tempesta di email. Ha perfino il tuo numero di cellulare!”
“C’è un bel rapporto. Capita quando il prof è moderno e sei interessato alla sua materia.”
“Sarà… ma nel dubbio ci darei un taglio!”
Se ne va senza voltarsi. Si era sempre voltato, tutte le sere, dal giorno in cui si erano messi insieme.
L’aveva conosciuta un pomeriggio a casa di Matteo. Lei aveva suonato il campanello per reclamare degli appunti prestati da svariati mesi.
“Devo ancora darlo quell’esame, mi servono!”
“Non lo darai mai, rimandi da un anno!”
“Devo prestarli ad un altro ragazzo.”
“Ci tieni molto se sei venuta fin qui apposta…”
“Nooo! Normale gentilezza tra compagni.” risponde lei con un leggero imbarazzo.
In quel momento fece il suo ingresso Antonio, nella stanza, ma anche nella vita di Caterina.
“Uao, dopo una maratona di quattro ore di gioco il nostro campione è riuscito a staccarsi dalla Play Station! Caterina, ti presento Antonio, giochiamo a calcetto insieme! Antonio, lei è Cate, una ragazza a posto, se non fosse per quell’abitudine di uscire con tutti gli uomini che le capitano a tiro!”
Matteo era un inguaribile burlone e non resisteva alla tentazione di mettere in difficoltà gli amici.
Uscì dalla sala per cercare gli appunti, senza la più pallida idea di dove li avrebbe trovati.
“Piacere Caterina. Se non vuoi offendere la mia virilità, stando alle parole di Matteo, devi concedermi di offrirti un gelato stasera, dopo la partita.”
Antonio non usciva con una ragazza dall’ultima glaciazione e non se la sentiva di lasciare un’opportunità insfruttata solo per paura di un rifiuto. Di certo non immaginava che per Caterina ogni pretesto era valido per uscire con un ragazzo, anche solo per farsi un nuovo amico, le piaceva più di ogni altra cosa circondarsi di uomini.
Fin da piccola aveva prediletto la compagnia dei cugini maschi e alle elementari si rifiuta di passare il tempo con le bimbe, preferiva i maschietti.
Alle superiori, quando le erano spuntati due seni di tutto rispetto, aveva incrementato il numero degli amici e cominciato ad avere periodici fidanzatini, di solito più grandi di lei, anche di una decina d’anni.
Al terzo anno di liceo aveva conosciuto Paolo Fiore, il suo prof di filosofia che, a differenza di altri insegnanti, sarebbe degno di menzione nella sua biografia.
Aveva iniziato ad interessarsi alla materia con uno slancio inedito, maggiore di quello con cui leggeva i manga giapponesi, sua passione sin dall’infanzia.
Durante le lezioni prese l’abitudine ad intervenire per commentare i testi dei grandi della storia del pensiero, distinguendosi per l’interesse più che per i voti ai compiti scritti.
Per ottenere risultati più alti, chiese un colloquio pomeridiano con il professor Fiore, il quale accettò di buon grado, orgoglioso della sua intraprendente studentessa, con la speranza di far di lei una matricola della facoltà di Lettere e Filosofia.
Negli anni questi incontri erano diventati abituali e si erano spostati dall’aula insegnanti del liceo al bar degli artisti, poco frequentato ma ricco di storia, fino a diventare occasioni irrinunciabili situate nel luogo più in armonia con il filosofo da studiare.
Per affrontare Blaise Pascal erano addirittura andati a sedersi sulle panche di una chiesa.
Caterina non era innamorata del suo professore quarantenne, lui non lo era di Caterina.
La ragazza, tuttavia, non era nemmeno un’amante sfegatata della filosofia, sebbene col tempo si fosse appassionata.
All’inizio Kant le era parso noioso e troppo complesso, ma quando Fiore cominciò a parlarle dell’idealismo, delle potenzialità della ragione, del noumeno, col suo modo di parlare coinvolgente, la voce che si avvicinava con i passi felpati alle orecchie, con l’andatura seducente di un gatto persiano e componeva paragoni arditi, nitidi come acquarelli dai toni pastello, Caterina capì che Kant era un pensatore di meraviglie.
Tutti quei filosofi diventavano degli amici invisibili e imprevedibili, che godevano, a suo parere, nel complicarsi la mente fino all’eccesso. Doveva ammettere, però, che il suo interesse era per il professore, non per Platone o Spinoza. Voleva la sua compagnia, niente di più. Vedere che si preoccupava per il suo andamento scolastico, gioiva per i suoi successi e cercava di inculcargli i principi da seguire per una vita serena.
Ottenere il diploma non le regalò la meritata soddisfazione stampata sui volti dei suoi compagni a chiusura di un lungo ed importante capitolo della loro vita.
Sapeva che da quel momento sarebbe stata davvero sola e divenne preda di una terribile tristezza che s’impegnò ad incrementare in tutti i modi possibili. Per cominciare, dette il benservito a Michele, l’istruttore di palestra con cui stava da un anno.
Maturò un cinismo e uno scetticismo che sparirono solo dopo molti mesi di università.
Nuove amicizie, nuovi passatempi, tante uscite con ragazzi, rigorosamente maturi, secondo il suo gusto.
L’attaccamento al docente di inglese ricalcava il legame con il professor Fiore, eppure le due materie non avevano niente in comune.
Come al liceo, il fatto nutriva un pullulare di voci maliziose che nuoceva alla sua reputazione quanto a quella del professore. L’insegnante non se ne curava molto e solo un paio di volte sentì il bisogno di mettere a tacere qualche studente pettegolo.
Quando quella sera, dopo la partita di calcetto, Antonio aveva accompagnato Caterina a prendere un cono e poi a casa, gli era sembrata una ragazza normale, senza troppi misteri. Era rimasto colpito dal suo umorismo, dal modo di parlare e da quello di camminare. Senza dubbio era seducente ed aggraziata e aveva l’aria di saperla lunga in fatto di uomini.
Uscirono molte volte e finirono per mettersi insieme per effetto della routine che si era impadronita del loro rapporto. A forza di vederli insieme, i loro amici avevano iniziato a considerarli una coppia, finchè non si sentirono l’uno il partner dell’altra.
In diverse occasioni avevano parlato del particolare rapporto di Caterina con gli uomini del fatto che trovasse Antonio troppo piccolo per lei, nonostante avesse qualche anno in più.
Caterina gli voleva bene lo stesso, ma sentiva che lui non era in grado di darle tutto quello di cui aveva bisogno.
Così quando lui la pianta in asso, lei non si strappa i capelli, anzi, si sente quasi sollevata.
Nei giorni successivi sperimenta la gioia di riappropriarsi del proprio tempo libero e si mette a studiare sul serio, sopratutto per l’esame di inglese. Impegno premiato con il suo primo trenta e lode. Con suo sommo stupore, il professore, che si fa chiamare Adriano dall’allieva, accetta di vederla anche dopo la fine del corso, per farla esercitare con la lingua, con l’inglese, s’intende.
Durante i loro incontri, parlano sempre meno di verbi e costrutti, il loro argomento principale diventata lei, il suo futuro, le sue passioni, la sua bravura. Col trucco di parlarle in inglese, Adriano riesce a farle i complimenti più diretti, che mai oserebbe pronunciare in italiano. Caterina si sente apprezzata e protetta, finalmente felice.
La sua felicità dura ben poco.
Un pomeriggio di giugno, mentre sorseggiano thé freddo al limone nel giardino di Adriano, lui si avvicina a Caterina e tocca con delicatezza la spallina del suo fresco abito a fiori.
“Cosa stai facendo?”
“Hai delle spalle bellissime.” Il professore, quarantasei anni suonati e due matrimoni mal riusciti alle spalle, le bacia il collo, mentre Cate, attonita, capisce.
Non avrebbe mai sostituito il padre morto prima di conoscerla. In tutti quegli anni non ne aveva mai parlato con nessuno, tutti sapevano che la madre era divorziata e il padre viveva con un’altra donna a Milano, dove gestiva un ristorante. Lei lo aveva pensato ogni giorno, raccolto tutte le informazioni esistenti da chi l’aveva conosciuto, per trovare qualcuno che gli somigliasse. Lui era un insegnante in effetti, in una città ormai lontana da quella in cui la madre si era trasferita per cercare di andare avanti dopo l’incidente del marito. Con lei Caterina era cresciuta bene, sempre seguita e riempita di coccole. Dopo un po’ aveva cominciato ad allontanarsi dalla madre, a sentire la necessità di un uomo, di stabilità e sicurezza e l’aveva cercata negli amici, nei fidanzati, nei professori, in tutti coloro che corrispondevano almeno in parte alla descrizione di suo padre. Nessuno al mondo però poteva amarla nel modo in cui l’avrebbe amata lui.
Mi scuso con gli eventuali lettori per gli errori nelle concordanze dei verbi.
tratti un argomento molto delicato che interessa molte giovani donne che talvolta possono essere fraintese nei loro comportamenti verso l’altro sesso.
l’immagine del padre, la sua presenza, la sua assenza, l’imporanza che ha nell’educazione dei figli non può essere sottovalutata.
gli uomini non lo sanno o non lo capiscono o non lo vogliono capire, ma, oltre a tutto il resto, le donne cercano nell’uomo che scelgono anche l’immagine del padre, in ogni senso.
fiumi di inchiostro su questo.
brava
ciao
anna
Io ho perso il papá da piccola, e ti assicuro che il mio modo di amare é diverso, mi dono sempre anima e cuore, anche con gli amici. Purtroppo c´é sempre chi se ne approfitta, ho sofferto molto per questo, ma ho imparato a difendermi… forse.
Tilly
Il mio problema è sempre questo: la penna scivola verso situazioni ad alto impatto emotivo, difficili da descrivere senza esserci passati col rischio di offendere chi ne ha sofferto davvero. Le mie intenzioni non sono mai di sottovalutare gli effetti di un trauma o di una perdita, spero si capisca. Ho conosciuto di recente un’altra persona che non ha mai visto suo padre e mi rendo conto che la crescita diventa ben più complessa di come posso immaginarla. Spero di non provocare mai dolore a nessuno con quello che scrivo.