Cosa resta nel mio sogno se non la speranza nel domani, che fino a ieri era oggi.
Pregare che i pensieri tristi per il nostro modesto addio, abbiano il coraggio di farsi da parte,
lasciar filtrare il dolce ricordo di giorni centellinati,
tra migliaia vissuti da entrambi,
deposti in mezzo ad altri come diamanti,
mescolati riflessi tra foglie bagnate di tonda rugiada delle nostre esistenze.
Anime di carta carbone, scritte di stessa mano,
matrici separate in momeni diversi,
destinate a posti diversi ed a persone diverse.
Regalarsi a vicenda compromessi impossibili non è servito. Incontrarsi ogni notte in luoghi inesistenti, ballare con la mente, amarsi con l’arma degli scirttori.
Tentare inutilmente di spostare un po’ più in là la mia riga limite, disegnata da bianco gesso, lavato via dall’ultimo timido acquazzone.
Ora la pioggia non bagna più, odo appena il gocciolio sul prato, qualche rigagnolo ancora porta acqua al fiume.
Non vedo più il bianco tratto, cancellato davvero o forse troppo lontano, a metà strada di opposti precipizi, luogo di scelta.
Lascio che un altro giorno passi, inerte, flebo.
Domani traccerò una nuova riga, forse.
Speriamo che sia cessata la stagione delle pioggie.
Triste, come tutti quei sentimenti che si é creduto di possedere e che invece se ne sono volati via. Se la stagione delle piogge é finita, può darsi che il sole, tornando a brillare, restituisca al cuore quel calore di cui necessita.
Sandra
poteva essere un gran bel componimento:
peccato che tu non lo abbia rifinito, curandone l’ortografia e le spaziature, ma sei sempre in tempo, precisando idee che restano in nuce (perchè, per esempio, “flebo”? è un errore ortografico o manca una parola?)
anna