Il sogno di tutti coloro che dalla città si trasferiscono in campagna è avere un animale da compagnia.
Conosco chi si circonda di galline, conigli e perfino asini, ma i privilegiati sono cani e gatti, perché la scusa è avere un valido guardiano o un buon cacciatore di topi e lucertole.
Ovviamente, chi ama gli animali, li ama e basta e sono ridicoli certi cagnolini di dimensioni minuscole con tanto di pedigree che se ne stanno sempre sdraiati sul divano buono e che qualcuno vorrebbe far passare per feroci cani da guardia, così come i bellissimi gatti persiani sarebbero abilissimi cacciatori…
L’amore del padrone suggerisce incredibili bugie, ma Aquila Maestoso Primo fu un caso a sé tra le storie di cani che ho conosciuto, così come lo erano i suoi padroni, persone uniche e particolari tra i tanti personaggi che ho incontrato nella mia vita.
Si chiamavano Lovelli e amavano il vivere in campagna e il fai da te.
Trasferiti da tre giorni nel paesino in cui avevano deciso di trascorrere il resto della loro vita, subirono la visita dei ladri.
E’ qui doverosa una dissertazione: essere derubati è sempre e per tutti un’esperienza sconvolgente, ma nel caso dei Lovelli la cosa era particolarmente grave.
Dal punto di vista psicologico, il furto avvenuto di notte, mentre dormivano tranquilli al piano di sopra e i ladri pascolavano indisturbati al piano di sotto, sconvolgeva le loro teorie sulla popolazione locale.
L’ovvia considerazione era: dove erano finiti? in un luogo dove la notte non  potevano sentirsi al sicuro nemmeno in casa loro?
Dal punto di vista economico, il danno determinato dall’incursione ladresca era considerevole, perché i neocampagnoli sono invasati dal demone dell’operosità e pensano di far da sé tutti i lavoretti di casa, risparmiando così sugli artigiani (oddio come sono cari!) ed investendo in utensili (oddio come sono cari, ma restano e si ammortizzano!).
Si innesca così quel processo altrimenti detto “fabbrica del Duomo” per cui molti neocampagnoli prima o poi disperati vendono la casa oppure si giocano le vacanze a vita.
Orbene i Lovelli, lei, Lucia, un tesoro di donna, saggia ed equilibrata, concreta regina dell’orto, delle conserve e dei biscotti fatti in casa, sempre disponibile e simpatica, lui, Gianfranco, funzionario di una nota multinazionale, nevrotico, appassionato di arte e di antiquariato, precisino, rompiballe, ma gran ballerino di quadriglia nelle feste di carnevale, appartenevano al modello classico del neocampagnolo-faccio-tutto-io.
Ricomprarono gli strumenti di lavoro e divennero diffidenti.
Si sentivano come pionieri nel far-west.
Blindarono porte e finestre, provvidero di spioncino la porta che dava sul giardino (l’attacco dei nativi selvaggi era atteso da lì), oliarono un vecchio fucile da caccia e organizzarono la difesa.
Decisissimi  a vendere cari i loro scalpi, stabilirono di procurarsi anche un cucciolo di cane della razza più feroce possibile, che affondasse i lunghi canini nei polpacci degli invasori.
L’ideale sarebbe stato un esemplare simile alla tigre dai denti a sciabola, ma nessun cane, ovviamente, presenta simili caratteristiche.
Ripiegarono su un molosso o un mastino o almeno un alano gigantesco che incutesse paura a chi si fosse avvicinato alla loro recinzione.
Lanciarono la grida tra amici e parenti per saper chi fosse disposto a regalare loro un simile cucciolo e subito ci fu la risposta di un amico, dell’amico, del fratello di Lucia proprietario di un fierissimo alano femmina, la quale aveva appena messo al mondo la sua prima  cucciolata.
Costui mise a disposizione un cagnolino che, in via dell’ amicizia, sarebbe stato regalato, ma a due precise condizioni: in primo luogo il cucciolo si sarebbe dovuto chiamare Aquila Maestoso Primo; in secondo luogo i nuovi proprietari avrebbero accettato di pagarne il trasporto aereo da Bari a Milano – Linate, perché il cagnino arrivasse in buone condizioni a destinazione.
E ciò avvenne, cosicché i Lovelli passeggiavano baldanzosi per la via Don Minzoni (tutti i paesi dell’hinterland milanese hanno una via che si chiama così) col cagnetto al guinzaglio.
Passarono i mesi, ma il minaccioso alano tardava a manifestarsi e Gianfranco chiamò il veterinario.
Costui, noto nel circondario come uno che ben se ne intendeva di bestie, perché era il figlio del macellaio, era un bravo ragazzo, stella del tennis club locale, uno spirito libero che era riuscito a laurearsi finalmente a quarant’anni, soltanto dopo la morte di uno dei suoi insegnanti universitari che non potendone più della sua goliardia non gli faceva superare l’ultimo esame.
Il veterinario, dicevamo, arrivò, guardò, alzò il sopracciglio e chiese:
“Siete sicuri che la madre sia un alano?”
“Eccome, perbacco, non c’è dubbio!” protestò il Lovelli.
“E siete sicuri che il padre sia un alano?”
“Ma non c’è alcun dubbio! Ecco i documenti. Ecco il pedigree!” riprotestò Gianfranco, mostrando le carte.
Il veterinario lesse, rilesse e sentenziò:
“Poche chiacchiere! Forse i padroni della cagna madre non se ne sono accorti, ma deve essersi fatta coprire anche da qualche altro cane e, a meno che questo non sia un nanetto, è sicuramente un bastardino. Sarà un incrocio con un boxer, comunque di alani non ce n’è neanche l’ombra!”
“Ma farà la guardia? chiese sconsolato Gianfranco.
“Certo!”, rispose convinto il veterinario andandosene, “Tutti i cani dietro un cancello abbaiano.”
Aquila crebbe, per quello che poteva, gioioso, non maestoso, ma era una vera simpatia per i ragazzi ed era sempre all’inseguimento delle cagnette delle cascine dei dintorni.
Ancor oggi, che sono passati tanti anni ed Aquila non c’è più, mi capita di vedere bastardini marroncini di piccola taglia e a pelo corto, sempre festosi, che ricordano un simpaticissimo alano mancato.

 

4 commenti su “Aquila Maestoso Primo”
  1. Il tuo umorismo cara Anna, non manca mai, sapientemente scritto, degno di riflessione e…, aggiungo, i nomi hanno poca importanza, figuriamoci poi, quello che vorrebbero rappresentare, é sempre il carattere e il cuore quello che classifica un fuoriclasse e non lo fa dimenticare.
    Ciao.
    Sandra

  2. Aquila maestoso era comunque un nome azzeccato, e le cagnette sono state le prime a capire che nella botte piccola c´é il vino buono. Sempre bravissima!
    Tilly

  3. Elegante flash di genuina Italianità. Che dire, BRAVA narratrice, brava scrittrice, brava poeta. E poi?… Kisssal…

  4. per Sandra:
    l’umorismo, io credo, è nella vita di tutti i giorni.
    se ci fermiamo a guardare, ad ascoltare tutto, viene seppellito da una risata.

    per Tilly:
    sei sempre carina e gentile.
    grazie per le belle cose che mi scrivi sempre.
    abbiamo evidentemente un sentire comune.

    per Laerte:
    che posso dire ? galante?
    grazie!

    anna

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