Non mi ero mai resa conto di quanto siano importanti i vicini di casa e di quanto influisca la loro presenza sulla vita di tutti i giorni, finché non mi sono ritrovata a vivere di fronte a due zoticoni con figli degni di loro.
Tutto è cominciato quando mio marito ed io abbiamo deciso di acquistare una casetta fuori città per trascorrervi dapprima i weekend e le vacanze estive e, in prospettiva futura, la nostra vecchiaia.
Cercavamo un luogo non troppo lontano dal posto in cui risiedevamo, abbastanza comodo con l’autostrada, ma servito anche dai mezzi pubblici. Miravamo ad una cittadina tranquilla e con un bel panorama. Volevamo, poi, che la casa non fosse isolata, che potessimo andare a piedi a comprare il giornale ogni mattino, fermandoci a bere un caffè. Desideravamo, infine, che ci fossero negozi per l’acquisto di quanto può essere necessario alla vita di tutti i giorni, senza dover ricorrere ai grandi centri commerciali per soddisfare i bisogni quotidiani, visto che per una vita avevamo corso per il nostro lavoro, per i noi stessi e per la nostra famiglia.
Con tutte queste pretese la ricerca non è stata facile.
Per quasi due anni abbiamo spulciato annunci di vendite immobiliari e abbiamo preso contatti con un numero indefinito di agenzie.
Abbiamo visitato tuguri di ogni genere, prospettati come l’occasione del secolo.
Ci siamo difesi strenuamente da proposte impossibili per l’acquisto di immobili improbabili e poi alla fine, quando ormai non ci speravamo più, ecco l’abitazione che desideravamo: quasi diroccata, certo, ma con grandi possibilità.
Avremmo potuto realizzare tutti i nostri desideri: era una casa con una storia sua, dal momento che era parte di un antico edificio storico; era indipendente, poiché aveva un accesso proprio, consistendo in un complesso a sé stante; si affacciava su un ampio giardino, ricco di piante profumate e per giunta era a pochi passi dal centro.
Di contro, era rimasta disabitata per più di trent’anni, necessitava di un’opera di restauro coraggioso e costava molto.
Ci sono momenti, però, in cui il raziocinio va in vacanza e scatta un amore profondo per quella che senti essere la scelta della tua vita. Così, sarà stato per il soffitto a cassettoni oppure per lo splendido panorama che si gode, ci trovammo proprietari del nostro rudere che da quel momento assorbì soldi, tempo e attenzioni in quantità superiori alle nostre stesse previsioni.
Tutto avrebbe potuto essere sopportato se non fossimo, però, incappati nella sventura delle sventure: la famiglia dei nostri vicini di casa.
Costoro sono in cinque, madre padre e tre figli di un’età compresa tra i sei e i quindici anni.
Niente da eccepire sulla cosa. Anch’io ho tre figli, anche mia sorella ne ha tre, sono abituata ai bambini che mi piacciono e mi divertono.
Ma i miei dirimpettai sono esseri umani di un genere a parte: costituiscono tutti insieme l’anello di congiunzione tra l’uomo e la scimmia.
I genitori parlano del loro lavoro in giardino, ricevono clienti, discutono di parcelle, dei sistemi per aggirare vincoli e del modo per truffare gli ignari clienti.
I figli sono degni prodotti dell’ambiente familiare in cui vivono.
Il maggiore è un bambino con grossi problemi di relazione, che in una famiglia normale sarebbe accettato, compreso, amato e seguito.
Nella sua famiglia, invece, è sempre solo, lasciato a ripetere quotidianamente il suo gioco ossessivo di tirare calci ad un pallone per ore di fila. Sempre da solo e sempre lo stesso gioco.
La figlia minore viene chiamata dalla madre Principessa e gode di tutte le attenzioni materne e paterne. Fin da piccola ha imparato ad esprimersi e a pretendere queste attenzioni piangendo. Ancora adesso, che è in grado di parlare con proprietà, quando vuole qualcosa, piange.
Il figlio di mezzo, quello oppresso tra una sorella prepotente e un fratello problematico, per sopravvivere ha elaborato un sistema suo, cioè si estranea dalla realtà che lo circonda rifugiandosi nella lettura. Spesso la madre gira urlante per casa, non lo trova e si dispera, mentre il ragazzo è lì  nella sua stanza a leggere, quando tutt’intorno a lui si scatena il putiferio familiare.
A parte la collera che mi prende, se sono involontaria testimone di ciò che accade, mi chiedo cosa frulli nel cervello di costoro per farli comportare così.
Mi chiedo, cioè, se sono io che ho un modo di considerare l’educazione e i rapporti verso gli altri troppo esigente o se questi tizi siano proprio al di là del bene e del male.
Se padre e madre non avessero rapporti con nessun altro al mondo, potrei comprendere il loro modo di fare, ma hanno una pletora di persone che li frequenta.
Ora, io mi dico: come fanno questi ultimi ad essere loro amici? Se io vedessi un mio amico, e dico a.m.i.c.o, agire in quel modo, prenderei le distanze. Non mi farei incantare.
Io abito vicino a costoro, tutto sommato a distanza di pochi metri.
Sono costretta a partecipare alla loro vita familiare, anche se non voglio.
Quando posso, tengo le finestre chiuse; quando imperversano in giardino, per non sentirli, faccio lunghe passeggiate, sicuramente salutari, evitando così di sentire i fatti loro.
Non posso, però, non chiedermi: dove inizia il mio diritto di non sentire le beghe dei miei vicini di casa?
Ho riflettuto a lungo sulla cosa, perché mi infastidisce assumere la posizione della persona scorbutica, che si scaglia contro la gioventù festosa e dirompente.
Qui non si tratta, però, di esuberanza giovanile (la loro) e di riottosità senile (la mia), ma di buona e cattiva educazione.
La riprova della loro insensibilità è data dal modo in cui trattano il loro gattino, un bel soriano tigrato con attenti occhi verdi, sempre pronto alla caccia, che spesso viene dimenticato senz’acqua e senza cibo o lasciato fuori dalla porta di casa quando imperversa il cattivo tempo.
Io, che amo cani e gatti, soffro per lui.
L’anziana signora Mariuccia, che abita poco lontano, se ne prende spesso cura.
Gli dà croccantini e cibo in scatola, che tiene sempre in dispensa, anche se il suo vecchio gattone nero è morto da qualche tempo: non sopporta di vedere Miciotto maltrattato e provvede spesso a nutrirlo, accarezzandolo e ripetendo tra sé: “Povera bestia, le vere bestie sono i tuoi padroni…”.
Che cosa rende gli esseri umani tanto diversi?
L’educazione, il carattere, l’esempio, il DNA?
Non riesco a rispondere a questa domanda.
A scuola, in famiglia, ovunque mi sia trovata a vivere, fin da piccola mi è stato insegnato “a comportarmi bene”.
Ma cosa significa?
O, meglio, cosa significa per me e cosa significa la stessa frase per i miei vicini di casa?
Io sono cresciuta pensando che attorno a me, nel regolare i miei rapporti con gli altri, ci fosse un limite invalicabile che mi proteggeva e che stabiliva, però, anche il mio spazio di azione.
Se non volevo infastidire ed essere infastidita, non dovevo oltrepassare quella barriera ideale.
Adesso quello spazio si chiama “privacy”.
D’altro canto, però, è stata scoperta, quindi valorizzata e successivamente imposta, la socializzazione.
Ricordo quei giudizi scolastici idioti, tanto in uso fino a poco tempo fa, che, dovendo sostituire il voto di condotta, dicevano di un alunno vivace e, spesso, troppo vivace,: “è ben socializzato”.
E cosa voleva dire?
Niente.
Con il passar degli anni la “buona socializzazione” è diventata la capacità di parlare tutti insieme, a voce troppo alta, spintonandosi e sopraffacendosi, mancando di rispetto agli altri e alla fine anche a se stessi.
Quei ragazzi sono cresciuti, hanno messo al mondo dei figli e li hanno allevati così come hanno potuto, credendo di essere nel giusto. Non capiscono, però, in quale equivoco siano caduti e che cosa si perdano.
Che cosa?
La tranquillità, innanzitutto, e poi la correttezza e l’educazione, cioè la capacità di tirar fuori da sé e dagli altri il meglio di ciò che un essere umano possiede, ovvero il rispetto dell’uno per l’altro.
Da questo, forse, si deve partire per ricominciare a creare una società credibile, formata da uomini seri, operosi, coscienziosi e, perché no?, riservati.
Chiedo troppo?
Cambio casa?
Spero sempre che vincano il superenalotto e partano per lidi lontani e a me sconosciuti…

 

5 commenti su “La versione di Anna”
  1. Esattamente Anna, troppa gente è convinta di essere socievole e vitale magari suonando le 4 trombe della sua auto sotto casa tua alle 2 di notte salutando così la sua morosa o roba del genere. Il rispetto per gli altri resta un concetto astratto, un’utopia, quando dovrebbe essere la base dei rapporti tra gli Homo Sapiens, Sapiens ed invece altro non siamo che Homo Vulgaris.

  2. Sono d’accordo con Laerte. Avere dei vicini educati é veramente una fortuna, e spesso determina la qualità della vita. Inutile far notare gentilmente certe insofferenze, a costoro, in genere, la cosa non tange, quindi conviene sopportare, e il che non é giusto, o meglio ancora in una loro uscita di casa in tutti i sensi,
    La buona educazione, non dovrebbe essere una cosa rara, ma una regola di vita.
    Che dire cara Anna? Una bella vincita, lo sarebbe per tutti.
    Grande,
    Sandra

  3. Io ho vissuto parte della mia infanzia con i miei nonni paterni, e non capivo quando mia nonna, sempre in lotta con la vicina, diceva: “meglio no male marito ca no male vicino”. Credo che per il tuo problema non ci sia soluzione, non ti resta altro che sopportare, se non vuoi passare per impicciona e pettegola; consolati sapendo che io vivo a pochi metri da una coppia di pazzi che litigano tirandosi di tutto, mal comune……
    Tilly

  4. Guarda, Anna, quello che tu hai trattato è un problema di cui proprio ieri parlavo con una mia amica. Abito nel centro storico di una cittadina, in una casa con due appartamenti. Il mio e quello al piano di sopra, dato in affitto ad un mio coetaneo, che non perde occasione per impormi la sua musica! Ho provato diverse volte ed in maniera gentile a fargli capire che mi infastidiva. La sua risposta è stata: ho studiato musica per tre anni, lavoro tutto il giorno e la sera mi rilasso ascoltando la mia preferita. Gli ho detto che anche io lavoro tutto il giorno e non è giusto che debba tenere il volume della tv sopra la media per riuscire a sovrastare il suono che proviene dall’appartamento sopra! Ogni volta mi chiede scusa, ma poi lo rifà e non importa se sono le 23 di sera. Abbiamo una scala in comune che lui non pulisce MAI. Gli ho detto anche questo. Risposta: lavoro tutto il giorno. Insomma, senso civico zero. Spero ogni giorno che decida di cambiare casa. Chissà, magari vince al superenalotto!
    Baci, Mary

  5. cara Mary,
    non ci rendiamo conto di quale bene sia la discrezione, la riservatezza, l’educazione finchè non ci imbattiamo nel contrario.
    non so cosa si insegni a scuola, ma ricordi ache tu quei colleghi che urlano per farsi sentire dagli allievi?
    si ottiene molto di più abbassando la voce – a scuola io dicevo che lo Stato mi pagava per insegnare, non per curarmi il mal di gola -,che alzando il tono.
    pensa agli allievi che entrano in classe dopo l’insegnante… a me non è mai successo: chi c’era, c’era e chi no, stava fuori.
    fatta l’esperienza una volta, non succedeva più per tutto il resto dell’anno scolastico e per tutta la classe.
    ecco da dove escono quei personaggi da osso nei capelli e anello al naso che perpetueranno comportamenti abnormi e villani.
    chi sa che può andare in deroga una volta, ripeterà l’esperienza all’infinito, forse lamentandosi perfino della maleducazione e dell’incomprensione altrui.
    c’è troppo timore di assumere responsabilità e posizione e troppa protezione e giustificazione verso il “poverino”, senza contare che accettare che un altro si comporti da “poverino”, vuol dire tagliarlo fuori dalla possibilità di non esserlo.
    un atteggiamento responsabile e corretto, una netta presa di posizione sono scelte coraggiose, anche se tanto vituperate dalle quattro oche televisive che pontificano su come ci si deve comportare e nella vita reale non hanno niente, ma proprio niente, da insegnare a nessuno.
    baci baci
    anna

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